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Mondo Jazz

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martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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batteria, Zeno De Rossi

Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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LA RIVOLTA DI JAZZISTI E METALMECCANICI

Post n°3816 pubblicato il 01 Dicembre 2014 da pierrde

Qual è la vostra filosofia di vita? Perché fare il discografico?
Nasce da una duplice esigenza. Da un lato la necessità di produrre musica senza dover "dipendere" dalle scelte di altre label (o dagli eventuali rifiuti). Dall'altra da una passione viscerale per le musiche contemporanee, nel tentativo di fare emergere ciò che continuerei a definire "underground", senza tema di smentita. 

Come reperite i nuovi talenti?
Non reperiamo alcun nuovo o vecchio talento. Esiste la musica e chi la suona, il resto essendo stimolo e prurito di certa nosologia dell'oggi. Siamo una realtà artistica aperta. Chiunque ne può far parte. Così come accogliamo le proposte discografiche di esterni e interni a Improvvisatore
Involontario.

A cosa è dovuta la crisi del disco? E' da attribuire a mp3, peer to peer, o c'è dell'altro?
E' sempre un insieme di concause che determina l'entropia o il collasso di un sistema. Certamente le nuove modalità di fruizione, la musica liquida, hanno avuto un ruolo determinante. Però ciò non spiega, ad es., il ritorno di fiamma del vinile, ossia di un supporto ben più "ingombrante" del cd medesimo. Inoltre c'è da appurare quale sia poi il settore di riferimento del supporto, le aree dei generi e dei sottogeneri: jazz, pop, rock ecc. Nel caso specifico del jazz, vi è una maggiore resistenza, dovuta forse al valore di "feticcio" del cd, spesso oggetto di crapula da post concerto, scalpo da mietere sistematicamente. Se ci si pensa bene è un assurdo nell'era di Spotify. Ci piace pensare che sia una cosa positiva (anche se non esiste alcuna ragionevole base per fondare tale bonaria sensazione). Personalmente vendo quasi tutti i miei cd ai concerti. 

Qual è lo scenario futuro?
A) Il passaggio di Nibiru e la fine della specie. B) Una rivolta di jazzisti e metalmeccanici capeggiata da Giuseppi Logan. C) La fine del monopolio Siae e la defiscalizzazione delle musiche d'arte. (L'ipotesi A è di certo quella più attendibile dal punto di vista probabilistico). 

Anche le major non godono un buon stato di salute. In periodi di crisi è meglio essere "più piccoli"?
La "Crisi" è sempre una benedizione. Crollano vecchie ideologie, si mettono a ferro e a fuoco i palazzi dei vecchi tiranni. Come la muta del serpente, essa è funzionale al "cambiamento". Questa non è una crisi del settore. Semmai è una crisi epocale. Nell'ambito museale del jazz nostrano, riterrei più opportuno semmai parlare di ristagno, di stasi. Gli ultimi decenni hanno visto sperperare immani risorse nell'ambito delle musiche jazz, comunque si voglia definirle. Le oligarchie che gestiscono la grossa fetta della torta, rappresentano i feudi di un sistema arroccato su se stesso, che si fagocita da solo. Le "politiche culturali" (uso un eufemismo) degli ultimi decenni hanno finito col castrare qualsivoglia necessità dialettica tra i "vecchi e giovani". È emerso dunque un quadro nominalistico, parrocchiale, che ha finito con l'appiattire la proposta diffusa, determinando una peculiarità tutta nostrana: la mancanza assoluta di un confronto (o di uno scontro) tra generazioni di musicisti. Ciò è stata prerogativa d'ogni libera espressione artistica che si rispetti, da che mondo è mondo. Non si parla di grandi cose tipo, che ne so, il Surrealismo o l'avvento della Musica Seriale. Ci si riferisce a certa temperie, che determina, nello scambio dialettico e aspro, le micro-fratture, le venature e le crisi di alcuni fattori del gusto estetico, predisponendo il terreno agli avvicendamenti dei protagonisti che abitano la scena di riferimento. Dunque in Italia si vive una sorta di congestione. È passata questa mitopoiesi del "mercato del jazz", quasi di " default", ossia delle peculiarità del pop prestate alle dinamiche di un contesto differente, in una operazione di mimesi in senso brutto. Da qui quanto ne consegue. Il dramma è che queste cose le dicono oramai in pochi. I giovani, che dovrebbero mettere a "ferro e fuoco" il tutto, sono indolenti e come impauriti. Non si capisce che cosa abbiano da perdere. 

Stralci di una intervista di Alceste Ayroldi a Francesco Cusa su Jazzitalia.net

 

I progetti del collettivo Improvvisatore Involontario, gli Involontari coinvolti e la discografia sono consultabili in una brochure. E’ in pdf ed è semplice da consultare. Fate click qui.

 

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Gianni M. Gualberto il 02/12/14 alle 08:23 via WEB
The first condition of progress is the removal of censorship. E' evidente che non tutti condividono il pensiero di Shaw: d'altronde, la censura è come tormentarsi i riccioli, un sintomo di manifesta insicurezza, un frisson di viltà, e dunque non è possibile replicare all'ultima frasetta sciocchina di Orsenigo. Mi dispiace per Francesco Cusa, più che per me (la mia opinione sulla qualità culturale dei blog è nota...). D'altronde, dopo avere letto che Joshua Redman suona in modo imbarazzante (una frase che può appartenere solo al lessico di un dilettante che non ha mai impugnato uno strumento musicale), perché stupirsi dell'inanità di spirito di un pubblico commento spiritoso come una rapa? Appunto, dispiace per Cusa che, da persona seria, è finito in mani poco serie.
 
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