Mondo Jazz
Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.
IL JAZZ SU RADIOTRE
martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
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JAZZ & WINE OF PEACE
Pipe Dream
violoncello, voce, Hank Roberts
pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig
trombone, Filippo Vignato
vibrafono, Pasquale Mirra
batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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Messaggi di Settembre 2008
Personnel: Richard Galliano (accordion); Gonzalo Rubalcaba (piano); Charlie Haden (double bass); Mino Cinelu (drums, percussion). V A L U T A Z I O N E : * * * 1/2 |
Post n°1064 pubblicato il 28 Settembre 2008 da pierrde
Il 28 settembre del 1991 era una giornata piovosa e fredda. Lessi la notizia della morte di Miles casualmente sul televideo. Era, ed è ancora, il musicista che amavo di più. Fu come perdere un amico fraterno, un universo sonoro perfetto, una emozione permanente. Negli ultimi anni si accompagnava a musicisti spesso appena mediocri; la musica dei suoi gruppi era un impasto che strizzava più di un occhio all'aspetto commerciale ma era sufficiente che Miles fosse in serata, e, appena avvicinata la tromba alle labbra, anche se il sottofondo era alquanto discutibile, subito ne scaturiva poesia . Una brezza purissima, un filo magico, un timbro inconfondibile. Time after time, appunto... |
Da diverso tempo il pianista romano ha raggiunto una cifra stilistica ed una invidiabile maturità artistica che ne fanno uno dei pianisti più interessanti della realtà europea. A riprova di quanto detto ecco un nuovo album per Cam Jazz in cui il nostro affronta il repertorio di Armando Trovajoli accompagnandosi ad una eccellente ritmica francese, con Dominique Di Piazza al basso elettrico e Dedè Ceccarelli alla batteria. Il repertorio in cui Faraò scava non appartiene nè ai pezzi più famosi nè tanto meno a quelli più jazzistici usciti dalla penna del maestro Trovajoli. Singolare è anche il trattamento che il pianista riserva ai brani, cambiandone il tempo a seconda delle proprie esigenze espressive. L'album infine è completato da quattro composizioni originali, perfettamente calate nello spirito e nell'ambience propositiva. Le fonti ispirative di Faraò sono riconducibili all'energia di McCoy Tyner e alla creatività di Herbie Hancock, ma Antonio riconduce il tutto entro un personale ambito e il risultato è un pianismo agile, generoso e contemporaneamente potente, con una profonda vena lirica che sempre più spesso affiora. In questo senso magnifici sia la versione in solo de Il Prete Sposato che il brano scritto in ricordo del padre, grande appassionato di jazz, scomparso nei giorni della registrazione dell'album (My Father's Song II). Ennesimo plauso anche all'etichetta romana per la qualità tecnica ed artistica della registrazione. Non solo l'album suona bene, ma c'è anche un grande suono ! Track listing, informazioni e possibilità di ascolto cliccando qui V A L U T A Z I O N E : * * * * |
Il primo album di Guidi aveva suscitato l'interesse e l'ammirazione di critica e appassionati. Anch'io nel recensirlo ne parlavo con stupore e curiosità. Un musicista cosi' giovane in grado di esprimere una maturità già definita e un bagaglio tecnico cospicuo è un avvenimento di notevole importanza nell'ambito del jazz italiano. Il pianista umbro vanta una preparazione accademica che gli conferisce un background raffinato e colto, senza contare il profondo amore e la conoscenza dei grandi protagonisti del jazz, Miles e Ornette in particolare . Il nuovo album vede all'opera tre quarti della precedente formazione, con l'ingresso di Stefano Senni al contrabbasso in sostituzione di Francesco Ponticelli. Complessivamente un passo avanti rispetto a Indian Summer: una compattezza ed un affiatamento maggiore, un pugno di belle composizioni ed una sagace scelta di temi noti, spaziando da Coleman alla musica latino-americana per finire all'elettronica. Kinzelmann si conferma sassofonista molto interessante, lucido e viscerale, cosi' come la sezione ritmica, incalzante ed elastica. Guidi mi impressiona ancora di più per il tocco raffinato, il gusto e la sensibilità espressiva e la varietà compositiva. Forse nell'album sono affastellate anche troppe piste da sviluppare, con il rischio di non mettere a fuoco una direzione precisa. Ma forse, avere tanta carne al fuoco, è sinonimo di ricchezza ispirativa e gusto nell'attingere a ciascuna fonte per costruire e completare la propria tavolozza. Il tempo dirà quali strade Giovanni e i suoi sceglieranno di approfondire. Per ora limitiamoci a gustare questo album prelibato: l'atmosfera sospesa di Qizas, quizas, quizas, il rockeggiante Franckie Bear, il grappolo di note maliconico e dolcissimo che introduce You are here ed infine The House Behind This One, il brano struggente e miracolosamente equilibrato che da il titolo all'album e che forse è ripreso da una poesia di Raymond Carver dallo stesso nome. Track listing, formazione e informazioni, e la possibilità di brvi ascolti cliccando il sito Cam Jazz . V A L U T A Z I O N E : * * * * |
Après Herbie Hancock qui apparaît dans un clip de soutien, Patricia Barber qui a chanté au Victoires du jazz avec un badge à son effigie au bras, Joshua Redman qui lui a dédié son interprétation de Just in Time à La Villette, ce sont plusieurs autres grandes figures du jazz aux Etats-Unis qui s'apprêtent à faire cause commune en faveur de Barack Obama dans la présidentielle américaine. Le 1er octobre, Dee Dee Bridgewater, Dianne Reeves, Roy Haynes, Brad Mehldau, Joe Lovano, Roy Hargrove, Christian McBride, Stanley Jordan, Hank Jones, Charlie Hunter et Doug Wamble en duo, Bilal et Robert Glasper, Stefon Harris, Kurt Elling, Roberta Gambarini et d'autres invités participeront à New York à un grand concert placé sous la bannière "Jazz For Obama" dont tous les bénéfices iront au fonds de campagne du candidat démocrate. Une affiche à faire pâlir même ceux des amateurs de jazz qui ne voteront pas pour lui ! Vincent Bessieres Fonte : www.jazzman.fr |
Post n°1057 pubblicato il 15 Settembre 2008 da pierrde
“Il Secolo del Jazz” è in programma al Mart di Rovereto dal 15 novembre 2008 al 15 febbraio 2009. L’esposizione è co-prodotta dal Mart con il Museé du Quai Branly di Parigi e il Centro de Cultura contemporànea de Barcelona. La musica jazz è una delle espressioni più importanti del XX secolo: nuovi ritmi, colori, e linguaggi sonori - nati da uno storico confronto tra diverse culture - hanno segnato ogni aspetto della scena artistica mondiale. La grande esposizione autunnale del Mart propone una lettura multidisciplinare di questa storia complessa e affascinante, coinvolgendo il pubblico in un mondo di suoni che ha colorato tutte le altre arti, dalla pittura alla fotografia, dal cinema alla letteratura, senza dimenticare la grafica e il fumetto. LA STORIA DEL JAZZ, FILO ROSSO DEL SECOLOL’esposizione è articolata cronologicamente intorno a una timeline lungo la quale si snodano, anno dopo anno, i principali momenti della storia del jazz. Spartiti, affiches, dischi, riviste e giornali, libri, fotografie e altri memorabilia evocano i numerosi episodi del periodo storico considerato. Dalle partiture per banjo di Gottschalk a Nobody di Bert Williams (1905) – successi che precedono l’avvento del misterioso termine “jazz” – ai manifesti per il Gran Bal Dada del 1920, fino a quelli di Joel Shapiro per il Lincoln Center (1996). Un filo rosso scandito ovviamente da una vastissima documentazione sonora, passando per dischi, concerti e registrazioni fondamentali, come quella di Strange Fruit da parte di Billie Holiday, nel 1939. Nel corso degli anni i momenti di incontro tra il jazz e le arti visive nobili o meno nobili, alte o basse, sono stati moltissimi, come dimostrano le piccole esposizioni tematiche o monografiche di approfondimento. Ad Harlem un nutrito gruppo di talenti – scrittori come Langston Hughes o Claude McKay, pittori come Aaron Douglas, Palmer Hayden, Archibald Motley jr., William H. Johnson, Winold Reiss e altri – inaugurano la celebre Harlem Renaissance, con il sostegno di personalità bianche affascinate dalla cultura nera quali – tra gli altri – Carl van Vechten, che le renderà omaggio con un celebre romanzo, Nigger Heaven (1926). Il jazz, tuttavia, non infiamma solo gli artisti neri della Harlem Renaissance, ma diventa una fonte d’ispirazione rivendicata da molti pittori modernisti americani degli anni venti e trenta. Le opere astratte di Arthur Dove o quelle più ambigue di Stuart Davis costituiscono, tra le tante produzioni, un esempio emblematico. Conquistato dal jazz e dalla danza fu Piet Mondrian, appassionato in particolare dei ritmi indiavolati dei pianisti di boogie woogie di cui possedeva i dischi. Dopo il fox trot alla fine degli anni venti, questa musica influenzò direttamente i suoi ultimi capolavori newyorkesi. Il rapporto privilegiato tra jazz e arte si intensifica ulteriormente nel dopoguerra. Spesso senza il minimo intento illustrativo, i pittori astratti tentano di ritrovare sulla tela la spontaneità e l’improvvisazione propria dei musicisti. È il caso, per esempio, di Jackson Pollock, i cui drippings sono spesso eseguiti con la musica jazz in sottofondo. Nessuna sopresa, dunque, che Ornette Coleman utilizzi il White Light dell’artista per illustrare la copertina del suo celebre album Free Jazz (A Collective Improvisation), capostipite del free jazz. Certi artisti, come Larry Rivers, si cimentano in modo più o meno regolare nella pratica di uno strumento. Sassofonista di tutto rispetto, Rivers non manca di evocare la pratica musicale in molte delle sue tele. Questi musicisti-pittori non devono tuttavia impedire di considerare attentamente che dopo l’estinzione della Harlem Renaissance e la fine della seconda guerra mondiale numerosi artisti di grandissimo talento mantengono alta la fiaccola della creazione artistica africana-americana, molto spesso in rapporto diretto con il clima musicale proprio del jazz. Da Romare Bearden a Jean-Michel Basquiat, la creatività nera nel dopoguerra e nel periodo contemporaneo non cessa di crescere e perfezionarsi, assumendo una specificità sempre più marcata. Celebrata da un’ esposizione al Whitney nel 1998, la memoria di Bob Thompson, artista meteorico ispirato sia dalla Free Music, sua contemporanea, sia dall’Italia del Rinascimento, non può essere dimenticata. Batterista a tempo perso, Thompson, prima della sua recente riscoperta da parte del mondo dell’arte, era famoso tra gli amanti del jazz, a causa di una suite che il sassofonista Archie Shepp gli aveva dedicato. Il parallelismo, a una ventina d’anni di distanza, tra due carriere stroncate dalla droga ha talvolta giustificato l’avvicinamento di questo notevole artista e di Jean-Michel Basquiat. Più di ogni altra musica il jazz ha suscitato l’interesse dei fotografi. Alcuni, come Herman Leonard o William Claxton, ne fanno una vera e propria specialità e gli devono la loro fama. Altri, destinati a essere ricordati come i più rappresentativi del secolo, gli dedicano una parte importante della loro carriera. Al di là dei grandi classici del cinema che, da Ascenseur pour l’échafaud a La Notte, hanno utilizzato il jazz sia come protagonista che come colonna sonora, esiste una moltitudine di Soundies — questi cortometraggi musicali sono gli antenati dei nostri videoclips e sono stati girati per la maggior parte intorno agli anni trenta e quaranta — e un numero non meno considerevole di trasmissioni televisive. Una selezione molto nutrita di questo ricchissimo materiale audiovisivo assicura la dimensione sonora e vitale dell’esposizione. Come altre arti dello spettacolo, il jazz ha ampiamente ispirato grafici e illustratori: affiche, inserti pubblicitari, prospetti, programmi di concerti. Alcuni di questi personaggi talvolta giocavano su più fronti; come Burt Goldblatt, le cui innumerevoli copertine lo mostrano di volta in volta fotografo, disegnatore o grafico. Questa musica dunque sembra essere un’instancabile fonte d’invenzione: dalla tipografia d’ispirazione svizzera al kitsch, passando per le infinite variazioni sul tema dell’arte moderna. Una nota particolare meritano le diverse copertine di dischi realizzate da un giovane Andy Warhol, tra cui quelle per Kenny Burrell e Johnny Griffin. COMICS & FUMETTIArte molto vivace, anche il fumetto ha riconosciuto nel jazz tematiche atte a nutrire le sue vignette. Da Jost Swarte, discendente distaccato e ironico dell’arte moderna, a Loustal, a Louis Joos, a Muñoz & Sampayo, molti disegnatori di fumetti hanno raccontato a loro modo le storie, piccole o grandi, della musica nera americana. Il Secolo del Jazz non dimentica naturalmente la dimensione europea dell’effetto jazz. Questa musica sincopata infatti invade l’Europa sin dagli esordi. È noto per esempio che l’arrivo a Parigi della Revue Nègre e di Joséphine Baker segnano profondamente gli anni del primo dopoguerra, immortalati in pubblicazioni come Le Jazz Hot, del 1934, di Hugues Panassié. È sufficiente nominare Boris Vian, che fu direttore di Jazz News, per evocare questo periodo della cultura francese che naturalmente viene trattato in mostra con un’attenzione del tutto particolare. D’altronde la Francia non è forse teatro di una vera e propria guerra, se non di religione, di clan scatenati dall’invenzione del Be-Bop? Il medesimo scompiglio travolge ugualmente l’Italia e la Spagna. Là come altrove, concerti, dischi e riviste specializzate, alimentano la cronaca locale di una vita musicale che ispira artisti importanti quali Lucio Fontana, Renato Guttuso e Pino Pascali in Italia o, in Spagna, Antoni Tapiès. Info: |
E' nato un nuovo sito italiano dedicato alla nostra musica: si chiama Jazz In Rete e lo si può trovare cliccando qui . Articoli, notizie, video e novità, il tutto con una grafica semplice e ben fatta. Il mio benvenuto alla redazione e buon lavoro ! |
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