Mondo Jazz
Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.
IL JAZZ SU RADIOTRE
martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
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Pipe Dream
violoncello, voce, Hank Roberts
pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig
trombone, Filippo Vignato
vibrafono, Pasquale Mirra
batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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Messaggi di Novembre 2008
Post n°1101 pubblicato il 12 Novembre 2008 da pierrde
Ho sempre amato il viaggio. Ancora più il significato e l’avventura che implicano un viaggio. Purtroppo la maggior parte di noi è solo turista . Motivi di tempo, di lavoro o di famiglia. Anch’io naturalmente condivido questa condizione . Ma almeno come predisposizione psicologica e culturale mi piace immaginarmi viaggiatore. E ora, dopo alcuni anni senza grandi avventure mi si presenta l’occasione di viverne una. Tra due giorni partirò per un viaggio nel sud est asiatico : il Vietnam, la Cambogia, la Malesia. La baia di Halong, Hanoi e Huè, Saigon e Angkor Vat, e, per finire, Kuala Lumpur. Ne consegue che il blog si ferma per almeno venticinque giorni. Poco male, era ora di ricaricare le pile, cominciavo a divertirmi di meno….. |
Post n°1100 pubblicato il 11 Novembre 2008 da pierrde
Non lo dico io, che già ho abbondantemente scritto in proposito, lo dice Thierry Quenum sul nuovo numero di Jazzit in edicola in questi giorni. Il critico francese pare inconsapevolmente riprendere i temi della animata discussione che nei giorni scorsi ha tenuto banco su questo blog. Ne pubblico una parte, a mio parere significativa e che in gran parte condivido, senza per questo voler rinfocolare polemiche. Si tratta di un parere qualificato e che proviene da un osservatore esterno, poi naturalmente ognuno può trarre le proprie considerazioni. ......voglio parlarvi di voi ed esporre il punto di vista di un osservatore francese.....La prima osservazione ha a che fare con il posto che occupano i musicisti americani nei programmi dei vostri festival e concerti, cosi' come nei workshop e negli stage di jazz. Niente del genere accade in Francia, Germania, Scandinavia. Mi è stato spiegato che una stupida legge relativa alle tasse fa si' che molto spesso ingaggiare musicisti americani costi assai meno che far suonare un italiano. Ed ecco quello che lascia perplessi: il valore del musicista in questione non sembra intervenire affatto su questo piano. E in effetti si vedono spesso nei cartelloni delle rassegne italiane musicisti americani pressochè sconosciuti nel resto d'Europa. Io però scorgo in questo fenomeno un'altra ragione. Una sorta di complesso italiano (il contrario dell'arroganza francese) nei confronti degli Stati Uniti. Un complesso che, senza dubbio, non ha la sua origine nel jazz.......... Avete torto, cari amici italiani. I vostri musicisti jazz sono tra i più interessanti d'Europa, addiritura del mondo, e spesso valgono molto di più di certi americani considerati da voi come degli dei. Non farò nomi...ma anche si. Qualche anno fa ero ad Amburgo per un concerto del quartetto di Chris Potter seguito dal duo di Enrico Rava e Stefano Bollani. Il fatto stesso di far suonare un duo dopo un quartetto pare già indicare che per la Radio della Germania del Nord che organizzava il concerto, Rava e Bollani superavano Potter nella gerarchia di valore. D'altro canto prendere il testimone dopo la profusione di enmergia e di volume sonoro sviluppata da un quartetto con batteria, poteva sembrare una scommessa rischiosa per il duo. Potter e i suoi compagni, sicuramente affaticati dalla lunga tournèe che terminava, hanno suonato bene ma senza guizzi, sui soliti riflessi e clichè di un gruppo americano della loro generazione: tecnica impeccabile,ma poca musica, poco feeling e poca comunicazione con il pubblico che applaudiva educatamente come ci si aspetta dai tedeschi. I due italiani, invece, nel giro di due minuti avevano il pubblico in tasca. Certamente per musicalità e virtuosismo, ma anche per la loro umanità, il loro umorismo, le loro presentazioni italo-anglo-tedesche dei pezzi...Insomma per la carica vitale di cui era piena la loro esibizione. Il pubblico, radioso, ha lasciato il teatro dopo interminabili applausi e richieste di bis. ....Gli italiani sono coscienti dell'opinione che gli ascoltatori stranieri hanno di questi musicisti ?...Sanno che alcuni di loro sono star europee, addiritura mondiali ? E che Rava e Bollani (ma potrei parlarvi di Trovesi, che ha trasformato con la sua musica un villaggio normanno in colline toscane; o Pino Minafra, che ha incendiato il Palazzo dei Congressi di Le Mans; o Francesco Bearzatti, che ha dato agli spettatori del festival Banlieus Bleues l'impressione di sudare, di felicità, in pieno inverno parigino...) che hanno ricevuto rispettivamente il Jazzpar Prize a Copenhagen e l'European Jazz Prize a Vienna, che valgono molto più degli americani che monopolizzano le scene italiane. Non ho niente contro gli americani, ma trovo siano sopravvalutati dal pubblico e dagli operatori italiani. E trovo che, se fanno ombra ai musicisti italiani, ancora di più ne fanno agli altri musicisti europei.......Mathias Ruegg della Vienna Art Orchestra mi diceva qualche tempo fa che prendeva clarinettisti italiani nella sua orchestra (Nico Gori, Mauro Negri) perchè erano i migliori. L'Italia gli ha mai reso omaggio invitandolo a tenere stage d'arrangiamento o direzione d'orchestra ? No, in compenso li fa tenere, decine e decine di volte, da Carla Bley... L'articolo completo su Jazzit di novembre/dicembre nella rubrica Ici la France |
Post n°1098 pubblicato il 08 Novembre 2008 da pierrde
Il tema, affascinante e parallelo a quello dei libri di iniziazione personale, lo rilancia Rodolfo sul suo blog NoteDissonanti . Anch'io in passato ne ho parlato, anche se da una angolazione diversa, partendo cioè da come e quando è scattata la...molla della passione. Più difficile invece parlare di un disco, anche perchè difficilmente si è trattato di uno solo. Posso raccontare la mia esperienza personale con questa meravigliosa musica. Negli anni dell'adolescenza ero un patito dei vari Zappa, Hendrix, Grateful Dead, Jefferson. Non era difficile, era la musica della mia generazione e bastava avere le orecchie aperte ed un minimo di curiosità intellettuale. Quando credevo di aver scoperto tutto della musica (rock), ho cominciato ad annoiarmi e a gettare lo sguardo in altri ambiti. Non è stato facile, nel mio profilo racconto di un concerto di Nunzio Rotondo che mi ha illuminato, ma se dal vivo è una cosa, il disco è tutt'altra faccenda. Rotondo lo ascoltai una settimana dopo il trio di Romano Mussolini. Avevo 17 anni e nessuno strumento per capire quella musica: mi annoiai profondamente, trovando la musica di Romano di una difficoltà enorme. Dal torpore mi risvegliò il jazz rock di Rotondo, molto più vicino a ciò che ascoltavo e capivo. Nunzio parlando con noi ragazzi, (erano due concerti organizzati per le scuole), ci consigliò un album di un musicista che conoscevo già ma dal titolo difficile. Si trattava di Bitches Brew di Miles Davis. Era da poco uscito e già stava rivoluzionando la musica. Naturalmente lo acquistai e, altrettanto naturalmente, non riuscii ad entrarci per molto, molto tempo. A distanza di alcuni anni mi riavvicinai al jazz grazie alle avanguardie di Chicago, i musicisti dell'associazione AACM : Anthony Braxton, Leo Smith, George Lewis, Muhal Richard Abrams, e, naturalmente, quel gruppo formidabile, capace di entusiasmarmi ogni volta che li ho rivisti, l'Art Ensemble of Chicago (quei signori nella foto che campeggia a fianco del nome del blog, per coloro che ignorassero le persone). Il disco che mi conquistò alla musica afro-americana fu Tutankamon, concept album dell'Art Ensemble che ho arato a furia di ascolti. Da li' una incredibile corsa...all'indietro, grazie al libro di Arrigo Polillo, Jazz, la scoperta dei grandi e, in alcuni casi, la riscoperta delle loro musiche. Accostandomi a Duke Ellington scoprii di conoscere benissimo tutti i suoi temi famosi. Mood Indigo, Satin Doll, Caravan, non avevano segreti per chi è stato bambino negli anni 60': in attesa della Tv dei ragazzi mamma Rai ci mostrava il cinescopio e ci faceva ascoltare musiche su musiche. Erano gli album di Count Basie, Duke Ellington, Louis Armstrong. Riprovai allora ad ascoltare quell'osso duro che era Bitches Brew: dopo poche note mi emozionai. Era bellissimo, una musica sublime, e non riuscivo a credere di non averlo capito subito.... |
Post n°1097 pubblicato il 07 Novembre 2008 da pierrde
Se qualcuno crede che gli Stati Uniti sono il paese dove tutto è possibile è bene che si informi: siamo arrivati prima noi. Qual'è la nazione dove un pluri-indagato in madornale conflitto di interessi è presidente del consiglio ? E quale premier si permette di fare le corna, dare del kapò, del coglione o del ragazzo abbronzato ? Dove chi difende la famiglia di famiglia ne ha più di una ? E' inutile, siamo mooolto più avanti noi...... |
Post n°1096 pubblicato il 07 Novembre 2008 da pierrde
ASSOCIAZIONE CULTURALE SECONDO MAGGIO XV Stagione Atelier Musicale (L’altra metà del suono) Sabato 8 Novembre 2008, ore 17,30 Auditorium Di Vittorio Camera del Lavoro Corso di Porta Vittoria 43 – Milano RIFLESSIONI SUL GATTOPARDO SALVATORE BONAFEDE piano solo Programma: N. Rota Viaggio a Donnafugata (andata) S. Bonafede Reputation and Character N. Rota Mazurka Polka S. Bonafede Controdanza/taceas, me spectes N. Rota Galop Quadriglia S. Bonafede Taceas, me spectes G. Verdi Gran valzer S. Bonafede Angelica N. Rota Valzer del commiato Viaggio a Donnafugata (fine) Voce recitante Gianni Bombaci Conduce Maurizio Franco Alcuni anni orsono, il mondo di Salvatore Bonafede, pianista palermitano che ha vissuto per molti anni negli Stati Uniti, ha incrociato quello di Giuseppe Tomasi di Lampedusa grazie alla proposta di José Rallo e Vincenzo Favara, dell’azienda vinicola Donnafugata, di arrangiare le musiche del Gattopardo in chiave jazzistica. Le musiche erano quelle di Nino Rota, scritte per il memorabile film di Luchino Visconti, girato nel 1963 con attori protagonisti Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale, e la loro rielaborazione avvenne in un Cd pubblicato nel 2006 dalla Cam Jazz e titolato Journey To Donnafugata. L’album raggruppava intorno a Bonafede musicisti di grande valore (da Enrico Rava a John Abercrombie, da Ralph Towner a Clarence Penn, Ben Street e Michele Rabbia), ma il progetto ha poi vissuto, in concerto, nella dimensione del piano solo inframmezzato da alcune letture del testo letterario, come avviene oggi nel concerto dell’Atelier. Un’operazione più complessa di quanto possa all’apparenza sembrare, perché per un musicista siciliano il mondo evocato nel romanzo rappresenta un passato mai del tutto cancellato, soprattutto dal punto di vista psicologico, quindi il portato extramusicale assume un ruolo non secondario. Sebbene il film abbia soprattutto rappresentato il punto di partenza della stesura prettamente musicale, le atmosfere della parte visiva hanno infatti avuto una influenza significativa sull’ispirazione di Bonafede, in quel periodo frequente visitatore di Villa Boscogrande, a Palermo, uno dei luoghi principali in cui la pellicola fu girata. La fonte di ispirazione più forte è stata però la lettura stessa del romanzo, che come tutti sanno venne pubblicato postumo nel 1958 grazie a Giorgio Bassani e alla Feltrinelli, mentre in precedenza era stato rifiutato dalla Einaudi su parere di Elio Vittorini, che successivamente riconobbe onestamente il suo errore. Da quel momento, la vicenda che intreccia l’arrivo dei garibaldini in Sicilia con la decadenza della grande nobiltà isolana, è entrata a far parte delle principali narrazioni letterarie del ‘900 italiano, riflesso della sottigliezza del pensiero siciliano, rispecchiata nella famosa frase: se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi! Nelle note di copertina del Cd, lo stesso Bonafede sottolineava che il suo lavoro di arrangiamento e composizione si lega alla contraddittorietà di un’isola nella quale modelli culturali e filosofici si sono stratificati nel corso dei secoli; in tal senso, gli accordi iniziali sospesi suggeriscono con le loro durate irregolari i tre angoli dell’Isola e circoscrivono la suite fino ai tre accordi che precedono il finale. Il risultato del lavoro del pianista è stata una musica che univa, e unisce ancora oggi nella versione in solo, la conoscenza profonda del jazz (dalla tradizione alle linee contemporanee) con i colori provenienti dal mondo eurocolto, ma anche con gli influssi dell’area mediterranea, dalla cui organica fusione nel segno dell’estetica, del modo di concepire la creazione artistica tipico del jazz, deriva una musica dalla calma, controllata espressività. La sfaccettata personalità di Bonafede, unita al suo rigore lirico, ha prodotto quindi una tipologia di arrangiamenti nei quali gli spunti provenienti dai nuclei melodici e armonici della colonna sonora del film, gli sono serviti come base per un lavoro di arrangiamento e trasformazione in grado di proiettarli all’interno del proprio universo poetico. La musica evidenzia sia una sottile passionalità sia una vena malinconica, unite in un connubio che dà vita a un mondo sonoro carico di suggestioni, profondamente calato nella visione del jazz di un artista non solo europeo, ma siciliano, quindi naturalmente legato all’ampio ed eterogeneo ambito culturale di un luogo di eccezionale ricchezza culturale. La sua lettura de Il Gattopardo non è quindi né un ricalco jazzistico di melodie entrate in parte nella memoria collettiva, né un’astratta proiezione intellettuale dei temi del romanzo in chiave musicale; è, invece, un coinvolgente viaggio sonoro nel quale il gioco dei ricordi e delle riflessioni si proietta emotivamente nella trama musicale, realizzando uno sfaccettato mosaico di umori attraverso il linguaggio del jazz contemporaneo.
Maurizio Franco (dalle note di presentazione del concerto) |
Nei mesi di novembre e dicembre la programmazione della Casa del Jazz sarà particolarmente intensa e qualificata. In primo luogo con il festival ECM,dall’11 al 13 dicembre,che conferma la Casa del Jazz come partner preferito dell’ECM per collaborazioni che sono iniziate nel 2006.Il festival ECM presenterà il trio di Norma Winstone (un progetto anglo/italiano)11 dicembre,il trio “Melos”di Tsabropoulos,Lechner e Gandhi (Grecia,Germania,Italia),12 dicembre e il gruppo di improvvisazione free “Dans les arbres”(Norvegia Francia),il 13 dicembre. Non esiste un altro posto posto a Roma in cui la musica si ascolti con tale qualità acustica e cura per l’ambiente come alla Casa del Jazz. L’attività di divulgazione del jazz da parte della Casa del Jazz è testimoniata dal clamoroso successo delle guide all’ascolto di Gerlando Gatto , Massimo Nunzi e Franco Piana e dall’importanza delle presentazioni librarie “Jammin’ the book”,curate da Luigi Onori,che proseguono anche nel mese di novembre con appuntamenti settimanali il lunedi,martedì e mercoledì. In questi ultimi giorni l’archivio della Casa del jazz si è arricchito di nuove acquisizioni come la collezione del Senatore Fulvio Palopoli,mentre sono in arrivo altre prestigiose collezioni. Ci auguriamo che la Casa del Jazz sia messa in grado di continuare le attività che l’hanno resa nota in tutto il mondo anche il prossimo anno. Protagonisti della scena italiana, europea e americana nel fitto programma che è possibile consultare sul sito www.casajazz.it |
Post n°1094 pubblicato il 05 Novembre 2008 da pierrde
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Nel gestire il mio blog ho appreso da subito che il tempo va gestito al meglio. Inutile parlare di album o di musicisti che non mi convincono, meglio dedicarsi a tempo pieno alla musica che amo. Raramente sono uscito da questa semplice regola, e quando l'ho fatto è stato sempre per puntualizzare, mai per stroncare, anche perchè la mia stroncatura fa giustamente un baffo a chicchesia. Allevi l'ho sempre visto come un sopravalutato, ma sopratutto come un musicista che è o puo essere molte cose, ma certamente non un jazzista. D'altronde lui stesso, persona intelligente e simpatica, l'ha ribadito molte volte. Non si considera un jazzista, e certamente non c'è traccia di qualsivoglia improvvisazione nei suoi album e nemmeno nelle registrazioni dal vivo. Questo per me basta a chiudere il discorso. Oggi mi sono imbattuto su Allaboutjazz nella recensione di Paolo Peviani dell'album Evolution. Mi sono pienamente riconosciuto nell'analisi limpida e pacata, senza furori critici e a mio giudizio molto equilibrata. Avendo anch'io ascoltato l'album in questione, mi sono trovato a meravigliarmi della incredibile pochezza musicale delle composizioni e delle orchestrazioni. Una sensazione di vacuità profonda che mi ha riportato al concerto di Michael Nyman durante il festival di Novara nella scorsa estate. In un mondo colmo di jazzisti misconosciuti, sottovalutati e dalle straordinarie qualità, parlare di Nyman e Allevi è solo perdere tempo. Speriamo che anche i direttori artistici dei festival italiani prima o poi arrivino alla stessa conclusione... Leggi la recensione di Paolo Peviani |
Da qualche giorno è nei negozi il nuovo album di Sonny Rollins, Road Show volume 1. La storia è particolare e merita di essere raccontata. C'è negli States un fan particolarissimo di Sonny, si chiama Carl Smith e possiede una collezione incredibile di registrazioni live del suo idolo. Carl ha messo a disposizione di Sonny il suo smisurato archivio di bootleg e il sassofonista, aiutato da Clifton Anderson, trombonista del gruppo ma anche nipote di Sonny, si è messo al lavoro selezionando i nastri di qualcosa come diciassette anni di concerti, dal 1980 al 2007. Di conseguenza è facile immaginare quante pietre preziose vedranno la luce in questa serie che si preannuncia molto lunga e ricca di soddisfazioni. In attesa di ascoltare l'album è possibile leggerne la recensione grazie al blog di Marc Myers . |
Post n°1091 pubblicato il 02 Novembre 2008 da pierrde
Al suo apparire la trasmissione parve un'oasi di bon ton e cultura, con un clima rilassato e divertente, in un palinsesto costruito su programmi senza idee e senza senso. Sono passati alcuni anni, e, inevitabilmente, le cose sono cambiate. Il programma è oramai solo il veicolo pubblicitario di una gruppo di soliti noti, un cerchio di una cinquantina di personaggi, che a turno si presenta per sponsorizzare il nuovo film o un libro o un album. Insomma per fare la solita marchetta. Nessuna differenza in pratica con le molteplici trasmissioni contenitore che già infestano le reti. Quello che indispone è un acritico consenso nei confronti di chiunque, Tronchetti Provera trattato come Gino Strada, Baglioni allo stesso livello di Maurizio Pollini, il libro di successo del momento considerato alla stregua dei classici. La manifestazione più deteriore del buonismo, l'incapacità di distinguere il grano dal loglio, una anestesia generale della ragione, roba che davanti alle genuflessioni a Marco Tronchetti Provera non pensavo ad altro che a cosa gli avrebbe invece chiesto Beppe Grillo. Anche Antonio Albanese e Luciana Littizzetto, nonostante l'indubbio carisma alla distanza diventano prevedibili. Ogni tanto capita che in trasmissione vengano invitati dei jazzisti: ricordo Paolo Fresu, Stefano Di Battista, Enrico Rava. Questa sera Stefano Bollani. Si capisce che si tratta di musica e di musicisti che non rientrano nelle corde del presentatore, avvezzo a Celentano e poco più. Poco importante, certo è, per quello che ho appena detto, che è impossibile pretendere che in questa trasmissione si chiamino jazzisti che non rientrino nei soliti dieci abusati nomi. Il programma è l'esempio perfetto di neo conformismo, di sinistra certo, ma comunque conformismo. Meglio spegnere la televisione. |
Post n°1090 pubblicato il 01 Novembre 2008 da pierrde
Free Jazz. Mai stile musicale è stato così strettamente legato ad un singolo musicista e ad una sua opera in particolare. Era il 1960 quando Ornette Coleman registrò quello che sarebbe presto diventato il manifesto per eccellenza della “liberazione” totale del jazz. Liberazione che non era soltanto musicale ma anche, e soprattutto, politica. Nella musica di Ornette Coleman i ruoli complementari di solista e accompagnamento non hanno più ragione di esistere. Armolodia: così ha definito questo approccio improvvisativo il suo creatore, senza mai riuscire (pur provandoci più volte) a definire a parole il suo significato, pur mettendone efficacemente in pratica il senso. La stessa parola, fondendo etimologicamente i due concetti di armonia e melodia, annulla anche grammaticalmente la distanza che separa la dimensione orizzontale della musica da quella verticale, fondendole insieme per eliminare qualsiasi tipo di gerarchia formale e compositiva. Come è stato autorevolmente affermato, quella operata da Coleman è una "permanent revolution", una rivoluzione permanente che mai diventerà parte del mainstream. Sono passati ben quarantotto anni da quel famoso 1960 e Ornette oggi ne ha quasi ottanta; ma di certo non lo si nota nella sua musica, ancora fresca e piena di idee, né nella sua energia esecutiva. Coleman non può essere considerato semplicemente un jazzista. Figura sempre in bilico tra la cultura afro-americana e le avanguardie europee, il sassofonista statunitense ben si colloca al fianco di quei compositori che, come regola principale della propria arte hanno scelto la condizione di borderline, sempre in bilico tra confini. FONTE : www.aperitivoinconcerto.com Lunedi' 3 novembre al Teatro Manzoni l'immaginifico Ornette Coleman per un concerto di grande fascino. Purtroppo non ci sarò : troppo lontana la città e troppo impraticabile per me la serata di lunedi'. Ma negli ultimi tre anni ho avuto modo di ascoltare due volte Ornette con la stessa formazione del Manzoni. L'ultima volta nel luglio del 2007 a Perugia: un concerto miracoloso per forma e sostanza con nemmeno la metà del pubblico accorso la sera precedente per Jarrett. Non sempre qualità e quantità vanno d'accordo, ma leggo che nello specifico, il concerto milanese vanta il tutto esaurito e che, addiritura, esiste una scaletta dei brani in programma . |
AUTORI DEL BLOG
Andrea Baroni
Fabio Chiarini
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Franco Riccardi
Ernesto Scurati
Inviato da: Less.is.more
il 24/08/2019 alle 11:46
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il 13/07/2019 alle 20:06
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