Creato da pierrde il 17/12/2005

Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

IL JAZZ SU RADIOTRE

 

martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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JAZZ & WINE OF PEACE

Pipe Dream

violoncello, voce, Hank Roberts

pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig

trombone, Filippo Vignato

vibrafono, Pasquale Mirra

batteria, Zeno De Rossi

Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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JAZZ DAY BY DAY

 

 

L'agenda quotidiana di

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festival cliccando qui

 

I PODCAST DELLA RAI

Dall'immenso archivio di Radiotre è possibile scaricare i podcast di alcune trasmissioni particolarmente interessanti per gli appassionati di musica nero-americana. On line le puntate del Dottor Djembè di David Riondino e Stefano Bollani. Da poco è possibile anche scaricare le puntate di Battiti, la trasmissione notturna dedicata al jazz , alle musiche nere e a quelle colte. Il tutto cliccando  qui
 

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Messaggi di Ottobre 2009

ULRICH GUMPERT/GUNTER BABY SOMMER DAS DONNERNDE LEBEN (INTAKT) 2009

Post n°1352 pubblicato il 31 Ottobre 2009 da pierrde
 


Ulrich Gumpert piano
Günter Baby Sommer drums, percussion

1. Locker vom Hocker (Sommer) 7: 59
2. Von C bis C (Gumpert) 6 : 29
3. Blues für P. K. (Sommer) 2 : 51
4. Ermutigung (Biermann, Arr. Gumpert) 2 : 03
5. Free For Two (Sommer/Gumpert) 4 : 43
6. Inside Outside Shout (Sommer) 6 : 59
7. Funk For Two (Gumpert) 4 : 02
8. Kami-Fusen (Ino, Arr. Sommer) 6 :18
9. Soldat, Soldat (Biermann, Arr. Gumpert) 4 : 52
10. Free Of All (Sommer/Gumpert) 7: 00
11. Das kann doch nicht alles gewesen sein (Biermann, Arr. Gumpert) 1: 51

Da sempre ho amato i musicisti capaci di mettersi in gioco ad ogni concerto, in special modo quelli dotati di profondo senso di ironia e autoironia. Da questo punto di vista Gunter Sommer ha poco da invidiare ad Han Bennink, e non a caso i due sono stati a lungo i beniamini di un festival come quello di Clusone, dove più che le star del jazz da sempre sono apprezzati i musicisti dallo straripante calore umano. Questo album è il reincontro dopo trentanni dal primo duo, di due amici, che calcano insieme i palcoscenici di tutto il mondo con il loro Zentral Quartett completato da Conrad Bauer ed Ernst Ludwig Petrowski . Raccontano le storie della loro vita, fatta di complicità, senso del ritmo, passione, follia ed umorismo. Quadretti ora irridenti ora di disarmante liricità, dove marcette ironiche vengono spazzate da brusche accelerazioni, e nel mezzo di un fitto dialogo di matrice free ecco improvvisamente sbocciare una melodia irresistibile. Il piacere dell'incontro e del confronto è traboccante, non c'è competizione, i due si rilanciano l'iniziativa con astuzia e sagacia seguendo una trama spiazzante ma straordinariamente swingante ed appassionante. Nell'album composizioni alternate dei due e tre canzoni di Wolf Biermann arrangiate da Gumpert. Tra i brani migliori, una strampalata Free for Two in cui sembrano fare capolino gli accordi di Tea for Two precede il tema ostinato di Sommer Inside Outside Shout ed il ritmato Funk for two. Dolcissima la melodia di Kami-Fusen, impagabile la feroce e corrosiva satira di Soldat Soldat e simbolicamente caustico il pezzo finale, che tradotto significa Ma Non Può Essere La Fine.  Un disco divertente, straripante, dolce ma con un pizzico di malinconia, lirico e a tratti astratto, proprio come è la vita che questi due grandi musicisti cosi' bene sanno descrivere.

V A L U T A Z I O N E : * * * * 

 
 
 

ANTHONY DAVIS IN DIRETTA RADIO DAL FESTIVAL DI BOTTICINO

Post n°1351 pubblicato il 30 Ottobre 2009 da pierrde
 

Appuntamento raro e prelibato questa sera su Radiotre Jazz Suite: dalle 22,30 in diretta da Botticino sarà possibile ascoltare il concerto del quintetto di Anthony Davis. Il pianista americano non è tra le figure di jazzisti più conosciute, ma la sua caratura artistica è notevole. Negli ultimi vent'anni è divenuto un importante compositore, autore di opere a tutto tondo in cui musica contemporanea, afro-americana e classica si fondono con risultati notevoli. E' del 1986 la prima alla New York City Opera di X, The Life and Times of Malcom X, alla quale sono seguite Under Double Moon (1989), Tania (1992) e Amistad (1997), progetti che spaziano dalla storia del popolo nero a quella dei suoi protagonisti fino  a spaziare nella fantascienza. Prima di questa corposa attività, accompagnata anche da una cattedra all'Univesità di California, Davis ha svolto una intensa attività come pianista, sia in solo che con propri gruppi. In Europa era abbastanza popolare negli anni 80' per i suoi duetti con il flautista James Newton ed il vibrafonista Jay Hoggard. Il festival di Botticino lo riporta in Italia con due concerti nella giornata odierna: alle 19 presenta una nuova composizione, Letters from Lincoln per pianoforte solo. Alle 22,30 si esibirà con il quintetto Episteme che lo vede affiancato da Gerry Hemingway alla batteria, Lisle Ellis al contrabbasso, Mark Feldman al violino, J.D.Parran ai clarinetti e flauto. Appuntamento da non perdere.

Nel video, unica presenza di Davis su You Tube, una gustosa mezz'ora di lezione attorniato da due cantanti e presentato dal grandissimo trombonista George Lewis.   

 
 
 

LE MIGLIORI DELLA SETTIMANA

Post n°1350 pubblicato il 30 Ottobre 2009 da pierrde

 
 
 

TOMASZ STANKO - DARK EYES (E.C.M.) 2009

Post n°1349 pubblicato il 29 Ottobre 2009 da pierrde
 

Tomasz Stanko Quintet
Dark Eyes

Tomasz Stanko trumpet
Alexi Tuomarila piano
Jakob Bro guitar
Anders Christensen bass
Olavi Louhivuori drums
 
So Nice
Terminal 7
The Dark Eyes Of Martha Hirsch
Grand Central
Amsterdam Avenue
Samba Nova
Dirge For Europe
May Sun
Last Song
Etiuda Baletowa No. 3
Tomasz Stanko Quintet
Dark Eyes
Nuovo album e nuova formazione per il sessantasettenne trombettista polacco, che dal suo approdo nella scuderia di Manfred Eicher negli anni 90', sta vivendo una lunga e felice stagione creativa. Abbandonato il pregevolissimo Simple Acoustic Trio di Marcin Wasiliewski che lo ha a lungo accompagnato, ora il gruppo è composto dai finninci Alex Tuomarila al pianoforte e Olavi Louhivuori alla batteria, e dai danesi Jakob Bro alla chitarra e Anders Christensen al basso elettrico. Per quanto lo scarto tecnico rispetto al Simple sia netto, in realtà il gruppo di accompagnatori non influenza più di tanto il risultato dell'opera: come sempre le sapienti composizioni del leader unite alla sua personalissima e maliconica poesia fanno si' che Dark Eyes sia un album riuscito e assolutamente godibile. Atmosfere intense, intrise di lirismo, con una vena introspettiva che si alterna a momenti di fragile espansività, un timbro unico che cattura immediatamente, carico di fascino e di bellezza sospesa: lo stile di Stanko è magistralmente personale, e le composizioni sanno entrare lentamente ma inesorabilmente nell'immaginario dell'ascoltatore. L'album prende il titolo dal terzo brano, ispirato ad un enigmatico ritratto (Hirsch, dreaming woman, 1909) del pittore austriaco Oskar Kokoschka: la melodia è inquietante, tesa e pulsante. Nel primo pezzo, So Nice, l'affascinante tema è costituito da otto note ripetute prima di giungere ad una variazione e ad un epilogo, rafforzando l'immagine della tromba solista contemporaneamente hot and cool, meditativa e scatenata. La scrittura di Stanko valorizza il pianoforte di Tuomarila, ma è sopratutto il colore che la chitarra di Bro sa tessere che rende la tela ricca di dinamica e di iterazioni. Come in quasi tutti i progetti del trombettista polacco ci sono anche temi di Kryzstof Komeda (Dirge for Europe e la conclusiva Etiuda Baletowa No. 3), compositore e mentore della fase iniziale della carriera di Tomasz. 
V A L U T A Z I O N E : * * * *

 
 
 

JAZZ TIMES IN DIGITALE. GRATIS IL NUMERO DI NOVEMBRE

Post n°1348 pubblicato il 28 Ottobre 2009 da pierrde
 
Tag: DAL WEB

Qualche mese fa avevo parlato della crisi editoriale che aveva colpito diversi magazines dedicati alla musica jazz: in Francia Jazz Magazine e Jazzman si sono fuse, con risultati piuttosto buoni, anche se è prevalso lo stile e l'imprintig della rivista più anziana e titolata a discapito della freschezza e della spensieratezza dei più giovani. Negli Stati Uniti si era paventata addiritura la chiusura dello storico Jazz Times, che in pratica dopo il passaggio di proprietà era stampato e spedito solamente agli abbonati. Ora la buona novella per bocca del direttore di Madavor Media, Joan Linch: la rivista avrà una edizione in digitale con un abbonamento ridottissimo, solo 20 dollari annui per 10 numeri mensili, cosa che favorirà sopratutto noi appassionati d'oltre oceano in passato duramente penalizzati da tariffe e ritardi postali. Notevole poi la possibilità estesa a chiunque di poter leggere il nuovo numero, quello di novembre facendosi una propria opinione personale della rivista in maniera assolutamente gratuita scaricando sul proprio pc il sample a questo indirizzo


Credo che il magazine sia di buona qualità, il prezzo assolutamente fattibile, pertanto chi decidesse di abbonarsi lo potrà fare cliccando :
 

 
 
 

SCOMPARE SIRONE, UNA COLONNA DEL REVOLUTIONARY ENSEMBLE

Post n°1347 pubblicato il 27 Ottobre 2009 da pierrde


 
Sirone (Norris Jones) died on Wednesday 21st October 2009 in Berlin, at the age of 69. He was one of the finest free jazz bassists, appearing on recordings with Pharoah Sanders, Noah Howard, Sonny Sharrock, Marion Brown, Dewey Redman, Cecil Taylor, Phalanx, and, most famously, The Revolutionary Ensemble, with Leroy Jenkins and Jerome Cooper. This bass solo comes from the Marion Brown album 'Why Not', released on ESP Disk in the late 60s.
Un breve ritratto del contrabbassista su Wikipedia :  

 
 
 

CORMONS, TERRA DI VINO, MULTICULTURALITA' E JAZZ

Post n°1346 pubblicato il 26 Ottobre 2009 da pierrde
 

Jazz & Wine of Peace Festival giunge alla dodicesima edizione, confermando una tradizione consolidata di eccellente rapporto tra territorio, cultura enologica e proposte musicali di prim’ordine. Le stesse dimensioni contenute del borgo fanno si’ che la rassegna abbia quello spirito di familiarità, di genuina capacità di incontro tra appassionati di differente nazionalità accomunati da sincero amore per il jazz e per questa magnifica terra. Una buona metà degli spettatori che hanno affollato il Teatro Comunale era infatti di provenienza austriaca o slovena, tanto da giustificare gli annunci bilingue che hanno accompagnato ogni serata. Inizio affidato la sera del 22 ottobre al trio Depart dell’istrionico sassofonista viennese Harry Sokal, che ha divertito e convinto con un agile set giocato sul filo della perizia tecnica, ben sorretto dalla compatta sezione ritmica, con abbondanti spruzzate di ironia ed un sagace uso dell’elettronica.

A seguire il nuovo quintetto di Tomasz Stanko, che ha proposto integralmente il nuovo album (Dark Eyes) appena licenziato per la E.C.M.. Il giovanissimo quartetto che lo ha accompagnato è formato da due musicisti danesi e da due finlandesi, ed ha messo particolarmente in luce le buone prove di Alexi Tuomarila al pianoforte e di Jakob Bro alla chitarra. Senza l’afflato poetico della tromba di Stanko difficilmente la musica avrebbe però preso quota. Le nuove composizioni presentate nell’album sono al servizio della particolare vena introspettiva segnata da grande originalità che contraddistingue le recenti stagioni creative del trombettista polacco. Rimane il rimpianto per il precedente trio capitanato dal pianista Marcin Wasiliewski che accompagnava Stanko con ben diversa cifra stilistica ed espressiva.

L’apertura mattutina del 23 ottobre si è svolta nella raccolta chiesetta di San Giovanni con un intimo ed emozionante set di Asja Valcic al violoncello e Klaus Paier a fisarmonica e bandoneon. Una proposta che unisce suggestioni classiche a musica popolare, toccando infine l’apice con il tango malinconico e sferzante di Astor Piazzolla nel bellissimo Oblivion suonato come bis.

La maggiore delusione del festival, come era facile supporre a chi già avesse avuto modo di conoscerne il progetto, è venuta dal Ripple Effect di Jack DeJohnette e John Surman. Due assoluti giganti del jazz contemporaneo impegnati in una musica di facile esotismo, senza punte creative ne idee particolarmente pregnanti. Non si riesce a comprende il motivo di tanto spreco di talento.

Diverso il risultato del set del tentetto di Ken Vandermark, forse troppo provato da un trasferimento in pulmann di ben quindici ore: musica arcigna, molto rigorosa e coerente con l’universo sonoro del leader, ma senza concessione alcuna. Poco più di un’ora di concerto tra complesse strutture, pirotecnici volteggi nei quali erano liberate dosi massicce di energia, aspra e ammirevole ma forse con un tasso lucidità inferiore alla necessaria capacità di comunicazione .

Il concerto di apertura di sabato 24 ottobre ha visto protagonista il New East Quartet di Anatoly Vapirov, una formazione che annovera l’originale batterista Vladimir Tarasov, una delle colonne della celebrata prima versione del Ganelin Trio . Dopo una apertura astratta, il concerto ha preso una piega decisamente più improntata a temi popolari dell’est europeo sapientemente smontati e rimontati con gusto e sapienza . La bellissima sonorità del tenore di Vapirov ha giocato con pieni e silenzi, conducendo un set godibile ed equilibrato.

Il clou della serata era però ovviamente costituito dal quartetto 858 di Bill Frisell, autore di una prova maiuscola, di forte impatto e notevole raffinatezza. Come un sapiente vino del Collio, la musica del chitarrista americano è apparsa subito ben strutturata, impregnata di un forte retrogusto folk e aromatizzata con profumi minimalisti, sentori classicheggianti e aromi squisitamente jazzistici. Musica prevalentemente scritta, con brevi ma succosi spazi improvvisativi e aperture melodiche di effetto emotivo immediato. Un gruppo particolarmente affiatato per un jazz da camera in grado di soddisfare i palati più raffinati.

L’ultima giornata ha visto sotto i riflettori il talentuoso pianista americano di origine indiana Vijay Iyer inizialmente alla testa del trio con il quale ha appena pubblicato il bellissimo Historicity, successivamente affiancato dall’altro talento indo-americano, il sassofonista Rudresh Mahanthappa. Un set che ha messo in luce il pianismo potente, colto e serrato, contraddistinto da un uso particolarmente accentuato della mano sinistra in chiave armonica più che ritmica che rende Iyer immediatamente riconoscibile. Un gruppo omogeneo ed affiatato che ha guadagnato il consenso del folto pubblico. L’ingresso di Mahanthappa ha aggiunto spezie inusuali, mostrando una evidente complicità tra leader e sassofonista. Un ottimo bis suonato dai due senza sezione ritmica ha chiuso un concerto intenso ed emozionante.

Il gran finale è stato all’insegna del puro divertimento grazie al quintetto di James Carter, una vera e propria forza della natura con una capacità strumentale impressionante per swing e tecnica prodigiosa. Il gruppo ha snocciolato una sequenza di standards, da Sidney Bechet a Clifford Brown, sino al poco battuto Odeon Pope, mettendo in luce una grande voglia di divertirsi e divertire, e poco importa se Corey Wilkes non è parso inappuntabile sui tempi lenti, e se lo stesso Carter alla lunga ha finito per gigioneggiare un po’.

Il festival si è chiuso con tutto lo staff di Controtempo schierato sul palco a salutare ed applaudire e a farsi applaudire dal pubblico: un gesto di ammirevole simpatia che denota la profonda carica umana che contraddistingue la gente friulana.

 
 
 

C'E' POCO DA RIDERE....

Post n°1345 pubblicato il 20 Ottobre 2009 da pierrde
 



 
 
 

APPUNTI

Post n°1344 pubblicato il 20 Ottobre 2009 da pierrde

Sto per raggiungere il traguardo temporale dei quattro anni: pochi blog a tema squisitamente jazzistico ci sono riusciti. Le visite giornaliere si sono attestate tra le 100 e le 140, contro punte in passato di 200-250. Mi rendo conto dei limiti di un blog frutto di passione personale di un singolo: i neofiti ed i digiuni ne sono espulsi quasi immediatamente, gli appassionati magari vorrebbero più analisi e profondità. Ho scelto volutamente un approccio più "visivo" e meno concettuale per diversi motivi: dal tempo necessario alla scrittura fino alla frequenza dei post . Ogni tanto ho espresso opinioni poco argomentate e affrettate, venendo immediatamente ripreso: segno di un seguito certo non numeroso ma attento. Qualche volta ho commentato l'attualità, dalla politica alla cronaca. Continuerò a farlo, anche se in dosi omeopatiche per non stravolgere l'argomento principe . Tra pochi giorni mi prenderò una vacanza intensiva a base di musica come da moltissimi anni non riuscivo più a fare: andrò infatti a Cormons per seguire l'intero festival (22-25 ottobre). Abituato a partecipare a rassegne e festivals a spizzichi per mancanza di tempo o distanze, mi pare un lusso incredibile. 

Arrivederci alla prossima settimana con le cronache dal festival. 

 Qui il programma 


 
 
 

ROTHKO

Post n°1343 pubblicato il 18 Ottobre 2009 da pierrde
 

Due modi differenti ma ugualmente interessanti di rendere omaggio ad una delle figure più interessanti della pittura contemporanea.

In questo secondo video, con la musica di Morton Feldman, scorrono le riproduzioni di alcune delle tele più famose di Mark Rothko. Il suo lavoro si concentrò sulle emozioni di base, spesso riempendo grandi tele di canapa con pochi colori intensi e solo piccoli dettagli immediatamente comprensibili. Per questo può anche essere considerato precursore dei pittori colorfield. È infatti tra la fine degli anni '40 e l'inizio degli anni '50 che sviluppa il suo stile della maturità. Luminosi rettangoli colorati sembrano stagliarsi sulla tela librandosi al di sopra della sua superficie. Tuttavia Rothko rimase semisconosciuto sino al 1960, sostenendosi insegnando arte, prima presso il Brooklyn Jewish Academy Centre e poi alla California School of Fine Arts di San Francisco.

http://it.wikipedia.org/wiki/Mark_Rothko

 
 
 

FORMAGGIO OLANDESE

Post n°1342 pubblicato il 17 Ottobre 2009 da pierrde
 
Tag: DAL WEB

Cheese Kit Diptych is an installation by artist Walter Willems consisting of two drum kits. In one, full rounds of real (mainly Dutch) cheese sit atop drum stands; in the other, plastic cheese replicas usually found in store display windows are employed. In this absurd setting Willems reinforces the international stereotype of the Dutch by using a classic Dutch export product as its main ingredient.

Cheese Kit Diptych was created specifically to be played by world-renowned Dutch improvisational jazz drummer Han Bennink. Bennink, ambassador of the Dutch free jazz scene, is known for his ability to drum on any surface, teeming with humor, virtuosity, and creativity through his animated style. Willems considered his installation incomplete until Bennink played both of the drum kits.

The drum performance by Han Bennink was recorded on June 17, 2005 at the Museum of Contemporary Canadian Art where the Cheese Kit Diptych installation was a featured artwork in the Demons Stole My Soul: rock 'n roll drums in contemporary art exhibition. As part of the performance Bennink also played a conventional drum kit and a pair of wooden shoes.

Avevo visto all'opera percussionisti di varie estrazioni suonare "strumenti" impensabili, dalla lama della sega percossa con i martelletti (M'Boom Re Percussion) alla sedia utilizzata come kit drum per tenere il tempo del Bolero di Ravel (Breuker Kollektief), ma solo la fantasia vulcanica di Han Bennink, del quale avevo appena postato un altro video di incredibile originalità, poteva fare si che esistesse un set drum a base di .....forme di formaggio, sia reali che di plastica. Potete vederne ulteriori sviluppi anche nella   Parte2 , con un kit convenzionale, e nella Parte3 per ...zoccoli olandesi.

Cheese !

 
 
 

IL NUOVO ALBUM DI BILL FRISELL

Post n°1341 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da pierrde
 
Tag: DAL WEB

 

Nato come progetto commissionato da Chuck Helm, direttore del Wexner Center of the Arts dell'Università dello Stato dell'Ohio, Musical Portraits from Heber Springs: Bill Frisell's Disfarmer Project, è diventato un disco pubblicato nel luglio scorso dalla casa discografica Nonesuch. Il lavoro trae la sua ispirazione da una collezione di fotografie realizzate fra gli anni '30 e '40 del Novecento dal fotografoMike Disfarmer. Le fotografie ritraggono gli abitanti della cittadina di Heber Springs nello Stato dell'Arkansas. Si tratta di straordinari ritratti recuperati dopo la morte del fotografo e diventati oggi parte della collezione fotografica del Museum of Modern Art e del Metropolitan di New York.

Mike Disfarmer, sconosciuto in vita e oggi venerato alla stregua di un maestro, si chiamava in realtà Michael Meyers ed era nato nel 1884 da genitori tedeschi emigrati negli Stati Uniti. Cresciuto in una comunità agricola, Meyers decise di cambiare il proprio nome in Mike Disfarmer proprio per dissociarsi dalla famiglia e dalla comunità di contadini in cui era costretto a vivere (Meyers in tedesco arcaico significa "fattore"). Sosteneva addirittura di essere stato catapultato nella sua famiglia da un tornado che passava di lì per caso.

Contattato anni fa da Chuck Helm, Bill Frisell partì alla ricerca di testimonianze sulla vita e l'opera di Mike Disfarmer. Attraversò mezza America per giungere infine a Heber Springs, Arkansas, dove conobbe il becchino locale, Tom Olstead, fotografato in gioventù da Disfarmer, il quale gli raccontò una serie di aneddoti che permisero a Frisell di meglio focalizzare il personaggio. Ne sono nate una serie di vignette musicali che si pongono da un lato come una sorta di commento in musica delle fotografie in bianco e nero di Disfarmer, e dall'altro come ricostruzione immaginifica delle vicende personali dello stesso fotografo.

Pensate inizialmente per un trio (a fianco di Frisell del progetto erano parte anche il virtuoso di steel guitar Greg Leisz e la violinista Jenny Scheinman), le composizioni hanno poi trovato una forma definitiva nelle mani di un quartetto completato dal contrabbassista Victor Krauss. Settantun minuti di musica e ventuno tracce che esplorano un'epoca e una geografia rurale alla quale Frisell ha già tributato svariati omaggi in passato. Bill Frisell si muove perfettamente a suo agio in un territorio a cavallo fra musica country e bluegrass, jazz e blues acustico e dimostra ancora una volta tutta la sua capacità di rendere vivido il paesaggio americano e di sottolinearne il carattere grazie anche all’uso di un strumentazione povera e rispettosa della tradizione (steel guitar, chitarra, mandolino, violino, contrabbasso). Oltre agli originali di Frisell, da segnalare anche due cover: That's Alright Mama di Arthur Crudup I Can't Help It (If I'm Still in Love with You) di Hank Williams Sr.

Fonte :  www.rtsi.ch

 
 
 

NORMAN MCLAREN/OSCAR PETERSON

Post n°1340 pubblicato il 14 Ottobre 2009 da pierrde
 

Begone Dull Care è sicuramente un cortomertraggio di notevole interesse e largamente in anticipo sui tempi. L’opera di Norman McLaren è datata 1949, ed è forse il primo cartoon in cui, protagonista la musica, non vi è nessuna storia raccontata dalle immagini. Al contrario, i disegni rappresentano l’espressione del flusso di coscienza tipica dell’improvvisazione jazz. McLaren, immedesimandosi nel trio di Oscar Peterson, segue la musica con immagini astratte e funzionali: nella prima parte del filmato linee bianche ottenute con graffi direttamente sulla pellicola, emergono contro il nero dello sfondo per sottolineare le corrispondenti linee musicali di Peterson, poi i colori e i continui cambi di geometrie riprendono l’improvvisazione dei musicisti, accompagnandone l’estro con pari fantasia. L’opera di McLaren è stata accostata al lavoro di Jackson Pollock e anche all’astrattismo di Willem de Koonig.

 
 
 

KEITH JARRETT - TESTAMENT (E.C.M.) 3 CD 2009

Post n°1339 pubblicato il 12 Ottobre 2009 da pierrde
 


Tracks: CD1 (Salle Pleyel, Paris: November 26, 2008): Part I; Part II; Part III; Part IV; Part V; Part VI; Part VII; Part VIII. CD2 (Royal Festival Hall, London: December 1, 2008): Part I; Part II; Part III; Part IV; Part V; Part VI. CD3 (Royal Festival Hall, London: December 1, 2008): Part VII; Part VIII; Part IX; Part X; Part XI; Part XII.

Personnel: Keith Jarrett: piano.

Creare dal nulla un universo compiuto che solo un attimo prima non esisteva. E’ questa l’esperienza unica che un concerto in solo di Keith Jarrett offre al pubblico che assiste ai suoi concerti. In questo senso il suo nuovo triplo album, che racchiude due concerti dati nell’arco di soli cinque giorni, è a mio parere l’avvenimento discografico dell’anno. Si potrà obiettare che la produzione discografica di Jarrett è divenuta negli anni ipertrofica, che si tratti di piano solo o del trio ogni angolo e piega dell’universo jarrettiano è stata abbondantemente esplorata, ma rimane comunque una qualità complessiva a livello di eccellenza impossibile da ignorare. Testament ripercorre con lo stile unico e immediatamente riconoscibile tutto il complesso mondo interiore che ogni appassionato ben conosce, e lo fa con lievità e ispirazione, con feroce concentrazione e con pagine di bellezza impossibili da descrivere con semplici parole. Proseguendo il filo del discorso intrapreso conRadiance (2002) e The Carnegie Hall Concert (2006) Jarrett propone una sequenza di improvvisazioni di durata media, ognuna in grado di esplorare differenti facce e stati d’animo, ora agitate e pensose, a volte di lirica immediatezza,facendo affiorare sentimenti e passioni spesso di segno opposto, procedendo con lucida determinazione in un cammino che lo vede figura unica nel panorama contemporaneo. Ad un mood di estrazione classica contrappone virate bop, frasi intrise di gospel, ricami di abbacinante folgorazione. Stilemi tipici del pianista, come gli ostinati sulle note basse che immediatamente richiamano le pagine del Koln Concert, sono contrapposti a momenti più liberi e aperti,mantenendo un groove costante nella esplorazione di idee al confine del free.La aperta confessione di Jarrett nelle note di copertina sul difficile periodo che stava vivendo nei giorni dei concerti, la separazione dolorosa dalla moglie, getta una luce ulteriore sul groviglio di pathos, rabbia e dolcezza che marcano indelebilmente ogni brano. Il primo dischetto riporta per intera la serata alla Salle Pleyel di Parigi, e la differenza rispetto agli altri due compact, relativi al concerto alla Royal Albert Hall di Londra, è marcata. La musica è nervosa, agitata, con rari ma magnifici squarci di luce in un mare in tempesta. Il concerto londinese è più pacato, riflessivo, abbondantemente permeato di lucida grazia. Il flusso di idee e di coscienza è ininterrotto,accompagnato dai gemiti e dai lamenti del pianista, il tocco è di vertiginoso splendore, la musica estatica ed intrisa di una profonda spiritualità.Capolavoro.

 

V A L U T A Z I O N E : * * * * *


 
 
 

CARTE

Post n°1338 pubblicato il 10 Ottobre 2009 da pierrde
 

Si, proprio le carte da poker, o da scala 40, o, come io preferisco, da burraco. Ebbene, come era facile immaginare, ci sono anche le carte a tema jazzistico. Sono ad opera di Kuto, un disegnatore jazzofilo spagnolo che collabora con il sito Tomajazz . Si possono ordinare tramite internet, ma si possono perfino vedere tutti e 54 i personaggi cliccando sui nomi (non cominciamo con le polemiche sugli esclusi.....)


>Louis Armstrong >Charlie Parker >Duke Ellington >Lester Young >John Coltrane 
>Miles Davis >Billie Holiday >Benny Goodman >Ella Fitzgerald >Benny Carter
>Sarah Vaughan >Max Roach >Dinah Washington >Art Tatum >Count Basie
>Cannonball Adderley >Thelonious Monk >Bud Powell >Jelly Roll Morton 
>Sidney Bechet >Django Reinhardt >Stan Getz >Chet Baker >Gerry Mulligan
>Dizzy Gillespie >Roy Eldridge >Stephane Grapelli  >Gil Evans >Charles Mingus
>Ben Webster >Wes Montgomery  >Earl Hines >Jack Teagarden  >Ray Charles
>Johnny Hodges  >Art Blakey >Oscar Peterson >Clifford Brown >Gene Krupa
>Fats Navarro >Dexter Gordon  >Lennie Tristano >Erroll Garner  >Horace Silver
>Coleman Hawkins >Charlie Christian >Nat King Cole >Bill Evans >Ornette Coleman 
>Chick Corea >Fats Waller >Cecil Taylor >Sonny Rollins  >Winton Marsalis

 
 
 
 

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