Creato da pierrde il 17/12/2005

Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

IL JAZZ SU RADIOTRE

 

martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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JAZZ & WINE OF PEACE

Pipe Dream

violoncello, voce, Hank Roberts

pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig

trombone, Filippo Vignato

vibrafono, Pasquale Mirra

batteria, Zeno De Rossi

Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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JAZZ DAY BY DAY

 

 

L'agenda quotidiana di

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I PODCAST DELLA RAI

Dall'immenso archivio di Radiotre è possibile scaricare i podcast di alcune trasmissioni particolarmente interessanti per gli appassionati di musica nero-americana. On line le puntate del Dottor Djembè di David Riondino e Stefano Bollani. Da poco è possibile anche scaricare le puntate di Battiti, la trasmissione notturna dedicata al jazz , alle musiche nere e a quelle colte. Il tutto cliccando  qui
 

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Messaggi di Febbraio 2012

ROSSINI

Post n°2165 pubblicato il 29 Febbraio 2012 da pierrde

O

Oggi ricorre l'anniversario della nascita di Gioacchino Rossini, avvenuta 220 anni fa a Pesaro il 29 febbraio 1792. Mi sarebbe molto piaciuto celebrarlo con un video tratto dal doppio album dal vivo a Zurigo nel 1986 di Mike Westbrook e della sua band.

Purtroppo non esiste niente di simile su You Tube, e credo che il lavoro del pianista e compositore britannico sia conosciuto da pochi, almeno da noi. Ai melomani invece segnalo lo speciale sul compositore in onda fin dalla mattina su Radiotre e che si protrarrà fino a notte fonda.

Per ricordare il compositore ecco allora uno dei brani più famosi, utilizzato anche da Stanley Kubrik in Arancia Meccanica. Anche Google ricorda Rossini con un Doodle su misura, eccolo:

Gioachino Rossini (all’anagrafe Giovacchino Antonio Rossini) è il personaggio celebrato oggi con un doodle sulla pagina principale del motore di ricerca. Un omaggio, quello pubblicato da Google, a uno dei più importanti e influenti compositori italiani di tutti i tempi, autore di opere come “Il barbiere di Siviglia” e “Guglielmo Tell”.

Il particolare logo odierno è stato realizzato per ricordare il 220esimo anniversario della nascita di Rossini, avvenuta il 29 febbraio 1792 a Pesaro, appena tre mesi dopo la scomparsa di Mozart. Nato da genitori musicisti, a soli quattordici anni si iscrive al liceo bolognese, dove scrive “Demetrio e Polibio”, presentato però solo nel 1812. Nel corso della sua carriera diede vita a decine di opere, spaziando tra i generi più disparati, dalle commedie alle tragedie. Oltre a quelle citate in apertura, altre sono “La Cenerentola”, “Semiramide”, “Tancredi”, “La gazza ladra” e “Le Comte Ory”.

Gioachino Rossini morì per un tumore il 13 novembre 1868 nella sua villa francese di Passy, vicino a Parigi. Nove anni dopo le sue spoglie vennero portate in Italia e ora riposano presso il Tempio dell’Itale Glorie, nella Basilica di Santa Croce a Firenze.

 
 
 

BILL REMEMBER CLIFFORD

Post n°2164 pubblicato il 29 Febbraio 2012 da pierrde

Bill Carrothers entra in scena, si toglie le scarpe (!), siede su una vecchia seggiola ancora imbrattata di vernice, toglie l'orologio e inizia a scaldare le mani mentre rivolge un saluto al pubblico e presenta i suoi magnifici compagni di avventura, il solido e affidabile Drew Gress e lo scoppiettante Bill Stewart alla batteria.

Inizia cosi' il concerto al teatro Manzoni di Milano, un'ora e mezza circa di musica intensa, raffinata e godibile sulle note di alcune composizioni di Clifford Brown, lo straordinario e sfortunato trombettista scomparso giovanissimo in un incidente automobilistico.

I brani (tra tutti i più famosi, Joy Spring e Daahoud), pur risalenti agli anni '50, sembrano rivestiti di nuova luce e appaiono assolutamente convincenti nel loro alternarsi tra ballate e ritmi zigzaganti. Purtroppo dalla mia postazione il volume di suono del pianoforte non è mai riuscito a raggiungere il giusto livello, sicchè le doti di originalità di Carrothers sono un pò rimaste tra le pieghe di una amplificazione imperfetta.

Negli attacchi in solo o nei momenti più contemplativi è apparsa comunque evidente la qualità elevata della stoffa del pianista, caratterizzata da un uso armonizzante della mano sinistra e successivamente da tempi serrati che rimandano ad una influenza nei confronti di Bud Powell.  

Chi invece non è stato affatto penalizzato dall'amplificazione è lo strepitoso Bill Stewart, una fucina di idee e ritmi, sempre sul tempo e dotato di un timing impressionante. Un meritato successo, ma mi è rimasta la voglia di riascoltare Carrothers in condizioni migliori, magari in solo. Peccato che nei nostri festival estivi vengano premiati più o meno sempre gli stessi nomi da molti anni a questa parte e solo alcuni direttori artistici si sforzino di cercare musicisti meno battuti. Se qualcuno di loro mi legge suggerisco questo pianista: certamente non attirerà le folle che Sting porterà in Umbria, ma in quanto a originalità non c'è assolutamente gara....

 
 
 

JAZZ DISCUSSION

Post n°2163 pubblicato il 28 Febbraio 2012 da pierrde

Come padrone di casa, avendo più volte espresso la mia opinione, sono rimasto in disparte ad assistere alla discussione, traendo stimoli e giuste osservazioni ora dall'uno ora dall'altro.

Mi pare di poter dire, a questo punto, che a meno di interventi di altri appassionati che ancora non abbiano espresso una loro idea originale, il dibattito si sia esaurito nella cristallizzazione delle rispettive posizioni.

Le posizioni sono state espresse con chiarezza e forza, magari anche a discapito di qualche ruggine personale. Difficile che qualcuno cambi la propria idea, ma in fondo non era questo l'obiettivo quanto mettere sul tavolo e sviscerare le diverse ottiche con le quali è possibile osservare quel vasto movimento di musicisti e idee che va sotto il nome di jazz italiano.

Credo che ognuno, e parlo dei lettori che non sono intervenuti, si sia fatta la propria opinione. La discussione non si ferma certamente qui, come tutte le correnti che hanno attraversato e segnato la storia della musica afro-americana, anche il jazz nato e sviluppatosi fuori dalla sua culla naturale ha una vicenda che è in divenire e che probabilmente sarà descritta e inquadrata più compiutamente dagli storici che verranno. 

Anche sul sito di Gerlando Gatto, A Proposito di Jazz, si è sviluppato un dibattito sul tema che però ha seguito percorsi differenti. Da ultimo un editoriale di Luigi Onori che riepiloga la situazione. Il link per leggere l'intervento :

 http://www.online-jazz.net/wp/2012/02/12/molte-le-cose-da-fare-per-avere-ancora-speranza/

 
 
 

CHICO BY BARBARA E MONICA

Post n°2162 pubblicato il 26 Febbraio 2012 da pierrde

Concerto delizioso e minimalista quello di sabato sera al Teatro della Società Operaia di Chiavenna.

Una chitarra e due voci, Barbara Casini e Monica Demuru, ed il vasto repertorio musicale e letterario di Chico Buarque de Hollanda affrontato con passione, ironia e buon gusto, con una scelta attenta tra canzoni provenienti anche da musical e film.

Un concerto propedeutico, che grazie al riuscito connubio tra testi recitati e cantati ha permesso a tutti noi che il portoghese non lo conosciamo di apprezzare in tempo reale lo spessore poetico dei versi di Chico, il suo sguardo ironico e stralunato della realtà sociale brasiliana, il suo modo disinibito e contagiosamente allegro di parlare dei sentimenti.

E mentre l'ammirazione per l'autore carioca diventava palpabile, nel teatro cresceva di pari passo anche l'apprezzamento per la verve recitativa di Monica e il canto timido ed emozionante di Barbara.

Due belle voci, una bella serata di musica d'autore, un progetto sicuramente riuscito. E i chiavennaschi ? Non pervenuti, a giudicare dalle poche decine di spettatori, per fortuna calorosi ed appassionati.

(Foto di Marina Magri)

 
 
 

TRIBE AL BIRDLAND

Post n°2161 pubblicato il 25 Febbraio 2012 da pierrde

Mentre io e i miei 150-200 lettori quotidiani siamo qui a interrogarci sul significato e sul valore del jazz italiano, la sua figura più rappresentativa, Enrico Rava, è in tournè negli Stati Uniti e nei giorni scorsi assecondato dal quintetto Tribe (Petrella, Guidi, Evangelista e Sferra) ha dato una serie di concerti al Birdland.

Ecco allora una recensione di Ben Ratliff tratta dal New York Times. Ratliff, scrittore, critico e anche blogger, ma sopratutto personaggio completamente estraneo alle vicende delle quali noi dibattiamo, è sicuramente una voce autorevole e influente.

The Italian trumpeter Enrico Rava has a soft, open, even sound, without vibrato, and he started his early set at Birdland on Thursday with a three-part suite of his own music. Enlarge This Image Richard Termine for The New York Times From left, Gianluca Petrella, Enrico Rava and Gabriele Evangelista of the Enrico Rava Quintet, at Birdland.

Breaking news about the arts, coverage of live events, critical reviews, multimedia and more. Go to Arts Beat » A sortable calendar of noteworthy cultural events in the New York region, selected by Times critics. Go to Event Listings » “Choctaw,” a fast-moving song rooted in a single chord with a lot of expressive, figurative improvising was sandwiched between “Planet Earth” and “Tears for Neda,” ballads with strong melodies and bubbling free rhythm from piano, bass and drums.

If you cued up those songs, from his album “Tribe,” released last year by ECM, you’d be hearing a lot of pathos. On Thursday, happily, the music was harder to define. It sounded a little nostalgic for the stretches of time that he lived and worked in New York, in the 1960s and ’70s. You heard echoes of the strong, strange melodies and agitated mobility of music by Ornette Coleman, Don Cherry, Paul Bley and Carla Bley. But you didn’t hear only that. Mr. Rava, 72, has been playing at Birdland once a year or so, and it’s good to see him in real time.

His sound is special, but he doesn’t make it feel precious, or guarded, or set off. He doesn’t put it on a cushion. He’s never stuck in one position, and he’s a member of his band, not just its regent. His quintet, with much younger players — the trombonist Gianluca Petrella, the pianist Giovanni Guidi, the bassist Gabriele Evangelista and the drummer Fabrizio Sferra — thoroughly changed some of the pieces as they moved along: tonality, rhythm, everything.

“Certi Angoli Secreti” began as a mischievous minor waltz evoking Nino Rota movie scores, but Mr. Guidi smuggled all sorts of other language into it: blues, minimalism, bebop, all running together on an even plane. The song might have contained some pretty clichés, but Mr. Guidi helped the group transcend them.

A version of Cherry’s “Art Deco” began with an unaccompanied duet, full of improvised counterpoint, between Mr. Rava and Mr. Petrella, the front line and core of the group. Their dispositions work beautifully together: Mr. Petrella with his quick reflexes and sudden bursts into pure sound and texture; Mr. Rava’s with his steady, stately playing. But they didn’t merely act as opposites, they often seemed to be trained on the same goal. Their playing was, now and then, the real thing: searching, impulsive, almost self-sacrificial.

 
 
 

ON LINE IL PRIMO NUMERO DEL 2012 DI PAN

Post n°2160 pubblicato il 25 Febbraio 2012 da pierrde

Il formato è Pdf, il quadrimestrale è scaricabile gratuitamente ed è dedicato interamente ai protagonisti della rassegna Crossroads che sta per prendere il via in Emilia Romagna con una serie nutrita di interviste e profili.

Lo trovate qui: 

http://www.erjn.it/pan/

 
 
 

SILVIA BOLOGNESI DAL VIVO A BATTITI

Post n°2159 pubblicato il 24 Febbraio 2012 da pierrde
 

Hear in Now è il nuovo progetto della contrabbassista Silvia Bolognesi, nato dall'incontro con due musiciste della scena creativa di Chicago e New York: Mazz Swift, violinista di Burnt Sugar, e Tomeka Reid, esponente della nuova generazione AACM, collaboratrice di Nicole Mitchell, Mike Reed, Dee Alexander.

"E' una musica fatta di nuove sensibilità che volano e saltano su campi di blues, jazz, folk e classica, senza tuttavia trasformarsi in alcuno di essi. È solo MUSICA, priva di nome ma eloquente, non identificabile all'interno di un'unica categoria. Dodici corde illuminate che cantano come una voce unica" così ha scritto William Parker nelle note di copertina del CD di debutto del trio, appena pubblicato dalla Rudi Records. Abbiamo intercettato il trio nel corso di una loro tournée italiana e a loro dedichiamo buona parte della puntata odierna di battiti, nella quale le tre musiciste eseguiranno i brani contenuti nell'album e parleranno della loro attività.

Battiti, sabato 25 febbraio ore 0,00

 
 
 

SI PUO' PARLARE DI JAZZ ITALIANO ?

Post n°2158 pubblicato il 23 Febbraio 2012 da pierrde

Esiste una scena italiana del jazz? E, se sì, quali sarebbero i tratti della sua “riconoscibilità”? Attraverso le interviste inedite a trentatré protagonisti di una vicenda artistica e umana che si dipana dalla seconda guerra mondiale ai giorni nostri, il libro, "Una preghiera tra due bicchieri di gin. Il jazz italiano si racconta", guida il lettore nei territori italiani del jazz e dei suoi immediati dintorni.

E visto che il dibattito qui come in altri luoghi spesso verte su queste tematiche, ecco i pareri forse più significativi (anche se in maniera necessariamente succinta) che l'autore, Nicola Gaeta, raccoglie nel suo libro al quale naturalmente rimando gli interessati per approfondimenti.

C'è da dire che la domanda, posta a quasi tutti gli intervistati, ha avuto risposte che grosso modo si sono equivalse sia a favore che contro.

Di mio sottolineo l'intervento di Gualberto nel post dedicato all'intervista a Roberto Gatto come particolarmente significativo, largamente condivisibile nei contenuti e nei toni e invito i potenziali interessati all'argomento a non farsi scoraggiare dalla lunghezza dello scritto: indipendentemente da come la si pensi merita assolutamente la lettura.

Spezzo inoltre una lancia ancora a favore di Gatto: come lui sono stanco di sentire progetti improbabili dedicati a cantanti e cantautori che sarebbe meglio lasciare stare. Avanti di questo passo e tra un pò ci toccherà vedere una rielaborazione jazz dello Zecchino D'Oro..... 

 

L'Italia, dove il jazz è arrivato più tardi che nel resto dell'Europa, ha trovato la sua specificità nella melodia,nel porre l'accento sull'emozionalità,in un certo lirismo. In questo senso c'è un jazz italiano. Anche se va detto che il jazz è una musica codificata, per poterla praticare necessita di un background culturael specifico, è una musica che ormai ha una storia, quindi, anche avendo un profumo speciale, il jazz italiano si riferisce ovviamente sempre a questi codici e a questa storia. (Aldo Romano)

Andare a recuperare le canzoni di Battisti e De Andrè la considero una forzatura: quelli sono musicisti, cantanti, che debbono restare li', in quel ambito, non si può "jazzificare" tutto. Quando andiamo a suonare in America non parlano di Italian Jazz, suoniamo la stessa cosa che suonano loro o che suonerebbe un greco o uno svedese. poi noi nel nostro paese suoniamo una musica che ci siamo un pò ritagliati su misura, ci permettiamo di fare la canzone napoletana, ci permettiamo di fare l'aria d'opera, tutta una serie di cose  che il musicista che interpreta cerca con la sua sensibilità di rendere credibili. Qualcuno non è affatto credibile. La domanda che mi pongo è: si può fare tutto in jazz, tutto è lecito ? Secondo me, no. C'è bisogno di un filtro, di una sensibilità che non tutti hanno. (Roberto Gatto)

Il jazz italiano ha il suo punto debole nelle ritmiche, il jazz americano continua ad essere forte per i batteristi, c'è poco da fare, se non sei neroamericano hai dei problemi. Non è un problema di tecnica, alcuni musicisti italiani tecnicamente sono scafatissimi, è un problema di linguaggio, di cultura, di concezione. (...) Ci sono molti musicisti italiani che hanno acquisito la cultura per fare jazz, ma la capacità di essere originali è caratteristica di pochissimi di loro. (Sergio Veschi)

Il jazz è uno solo e il termine "jazz italiano" non significa niente. Dico subito che uno dei difetti del jazz italiano sta appunto nell'autoqualificarsi "jazz italiano". (Gianni Lenoci)

 

 

 
 
 

NEW THING SU I-PAD E PC

Post n°2157 pubblicato il 22 Febbraio 2012 da pierrde

New Thing (2004)

«Ogni volta che appare un romanzo imparentato con il mondo del jazz bisogna incrociare le dita e sperare per il meglio: la maggior parte degli scrittori, infatti, sembra incatenata a una immutabile, infrangibile, catena di clichés ormai rancidi puntualmente riproposti a ogni uscita in libreria: locali fumosi, atmosfere notturne, musicisti sfigati e bohèmien, droga, genio e sregolatezza, il tutto rigorosamente Round Midnight. Questo vale sia per gli autori italiani che stranieri, e dimostra in maniera lampante che se questi scrittori 


hanno bisogno di continuare a orecchiare simili banalità significa che di jazz conoscono poco e capiscono ancora meno. Questo New Thing, invece, [...] va accolto come una ventata di aria fresca in una stanza chiusa da decenni.  [L'autore] dimostra non solo una conoscenza enciclopedica della musica afroamericana, ma anche di ciò che ha dato vita a quell’espressione artistica. Le lotte per i diritti civili, i tumulti antirazzisti, la voglia di riscatto sociale e di giustizia, le speranze e la sofferenza di un’intera generazione militante.» (Tuttolibri – La Stampa, 13/11/2004)

Che si dice su Anobii – L’antico sito dedicato – ePub – Mobi (Kindle) –Rtf

Il collettivo di scrittori bolognesi Wu Ming ha sempre dimostrato passione autentica verso la musica jazz, e sul sito Giap è possibile scaricare per I-Pad o anche per pc la maggior parte dei loro libri.

Qui segnalo con i link la possibilità di leggere New Thing, un testo dedicato agli anni '60 e al free jazz.

 

http://www.wumingfoundation.com/giap/?page_id=6338

 
 
 

PISAPIA, IL SINDACO CHE IL TRASH SPAZZA VIA.....(SPERIAMO)

Post n°2156 pubblicato il 21 Febbraio 2012 da pierrde

Ci sono le date dei concerti, ci sono i nomi delle star, ci sono i biglietti in vendita. C'è tutto. C'è perfino il nome dell'organizzatore della rassegna. Ma il Comune si ostina a dire che la stesura del calendario per il Milano jazzin festival all'Arena è ancora da decidere. E tenta di tirare il freno a mano. Il bando per organizzare le serate musicali della prossima estate sarà pubblicato entro il 10 marzo. (....)

Intanto la società Four One si è portata avanti e ha già messo in agenda fior fior di artisti: Cranberries (4 luglio), Marilyn Manson (11 luglio), Kasabian (18 luglio), Beach boys (27 luglio), Alice Cooper (31 luglio). E se non dovesse vincere il bando per l'Arena? «Gli artisti verranno lo stesso a Milano - spiegano alla società di eventi, rassicurando i fans - Cambieremo solo la location». «Per ora è tutta teoria» ribadiscono in Comune. Insomma, l'organizzazione procede a due velocità ben diverse: da un lato il mercato dei concerti che, per affari, non stanno certo ad aspettare i tempi del Comune di Milano. Dall'altro l'apparato amministrativo, lento, che arriva sempre dopo, a cose fatte.

 E che, questo sì, rischia di far saltare i concerti già annunciati come certi dai siti web. Il dubbio sorge a scorrere i nomi degli artisti sui programmi on line: rockettari satanici non più di primo pelo, spacca-timpani simil metal che poco avrebbero a che fare con lo spirito della rassegna estiva dell'Arena. La programmazione dei concerti si chiama pur sempre Milano jazzin festival. E qualche tocco di jazz ce lo si aspetta pure nel calendario di luglio.

 Poi, per carità, vanno benissimo anche gli Alice Cooper di turno, ma non ci si può discostare più di un tot dalla filosofia del festival. In questo senso il bando comunale può nascondere qualche sorpresa. Le ipotesi sono due: o si decide di riscrivere i programmi musicali, ringraziando il signor Manson e il signor Cooper per la disponiblità ma invitandoli a ritirare i trucchi nella trousse. O si decide di accettare la proposta che i promoter hanno lanciato sul mercato «senza l'oste» e, magari, di cambiare nome alla rassegna dove di «jazz» resta solo il nome. (Maria Sorbi, Il Giornale, 21 febbraio 2012)

 

 
 
 

FRATELLO DI UN'ALTRO PIANETA

Post n°2155 pubblicato il 21 Febbraio 2012 da pierrde

Da poco è disponibile su You Tube il film del 2005 di Don Letts, un documentario sull'eclettico e strepitoso Sun Ra e sulla storia della sua musica e della sua Arkestra. Impossibile per me, vecchio cultore del mito di Sun Ra, resistere alla tentazione di pubblicarlo.

Il mio ricordo della mitica Arkestra, ascoltata molte volte, si focalizza sulla prima e sull'ultima volta. La prima avvenne al festival tedesco di Moers nel 1978, e naturalmente fu scioccante per me: energia, divertimento, colore, passione. Insomma un ricordo ancora vivo.

L'ultima è associata al Capolinea, storico locale milanese anch'esso scomparso da lungo tempo: nel piccolo palco del club l'orchestra pigiata su se stessa suonava con calore musiche di Fletcher Henderson e poi del leader, passando con imperturbabilità dallo swing al free con un salto di alcuni decenni.

Quando Sun Ra mori', nel maggio del 1993, il mensile francese Jazz Magazine usci' con una bellissima copertina con la didascalia "Il sole si è spento".

Sun Ra was born on the planet Saturn some time ago. The best accounts agree that he emerged on Earth as Herman Blount, born in Birmingham, Alabama in 1914, although Sun Ra himself always denied that Blount was his surname. He returned to Saturn in 1993 after creating a stunningly variegated and beautiful assemblage of earthly and interplanetary music, most notably with his fervently loyal Arkestra.

Sun Ra and his Arkestra were the subject of a few documentary films, notably Robert Mugge's 'A Joyful Noise' (1980), which interspersed performances and rehearsals with Sun Ra's commentary on various subjects ranging from today's youth to his own place in the cosmos. Today's documentary, Don Letts' 'Sun Ra, Brother From Another Planet' from 2005, reuses some of Mugge's material and includes some additional interviews.

 

 

Per molto tempo le notizie sulla sua vita furono frammentarie e contraddittorie, in quanto lui stesso ha affermato di non essere originario di un luogo sulla terra ma di appartenere alla "razza degli angeli" e di provenire da Saturno. La sua filosofia era incentrata sulla pace ed è stata denominata "afrofuturismo", in quanto sosteneva la provenienza della gente afro-americana da un altro mondo e conteneva concetti tratti da diverse correnti di pensiero (rosacrocianesimo, pensiero cabalistico, religione egizia e liberazionismo afro-americano).

Il suo stesso nome è composto da "sun" (sole in inglese) e "Ra" (il dio egizio del Sole). Durante la sua vita ebbe però anche diversi altri nomi, fra i quali Le Sonra e Sonny Lee. Secondo fonti biografiche[1] nacque in Alabama e si mostrò subito come un pianista molto dotato. Influenzato dalle musiche di Duke Ellington e di Fats Waller e dallo stile stride dopo aver frequentato le scuole nel suo stato, cominciò una carriera semi-professionale a partire dal 1934. Le difficoltà relative alla sua scelta di mantenere una grossa orchestra nello stile di Ellington e Fletcher Henderson, furono affrontate de Ra producendo la propria musica ed organizzando le proprie attività concertistiche.

La strada della produzione indipendente, accanto a molte altre caratteristiche dello stile musicale e spettacolare di Ra, come l'uso di costumi, testi e danza e dell'improvvisazione collettiva nell'organizzazione degli eventi, che divengono sempre più importanti dagli anni sessanta in poi, fanno di lui un precursore per gli orientamenti di musicisti che si riconoscevano in concetti quali 'free jazz', 'new thing', 'great black music'.

Dopo essersi spostato nel 1946 a Chicago, lavorò per un primo tempo con l'ormai decaduto Fletcher Henderson (che pur tuttavia era uno degli idoli di Sun Ra) e poi in un trio (1948) con Coleman Hawkins e Stuff Smith. Fu nel 1952 che cambiò definitivamente il suo nome legale in Le Sony'r Ra e cominciò a usare il suo pseudonimo di Sun Ra, organizzando un gruppo tutto suo di cui facevano parte artisti emergenti come James Spaulding, che in seguito sarebbe diventato famoso al fianco di Freddie Hubbard.

Questo gruppo prese il nome di "Arkestra" che, a partire dalla fine degli anni '50, cominciò ad avere anche un particolare modo di presentarsi, facendo uso di vestiti che rassomigliavano quelli degli antichi egizi. L'organico dell'Arkestra non fu mai stabile, così come non lo fu il suo nome che cambiò diverse volte in Solar Arkestra, Myth Science Arkestra, Astro Infinity Arkestra. Per tutti gli anni '60 l'Arkestra si evolse in un gruppo che comprendeva 30-40 artisti, compresi ballerini, mangiatori di fuoco e, ovviamente, musicisti.

Nell'epoca del fenomeno hippie e della psichedelia molti musicisti, fra i quali anche i Grateful Dead, rimasero sbalorditi e vennero anche influenzati dalle sonorità mistiche dell'Arkestra e di Sun Ra. Nel 1971 Sun Ra tenne un corso presso l'università della California, a Berkeley, trasmettendo insegnamenti che provenivano da diverse corrente filosofiche: vi erano presenti scritti di Madame Blavatsky, Henry Dumas, dal Libro dei morti e su argomenti quali i geroglifici egizi e il folklore afro-americano. Influenzato fin da giovane dalla musica dell'era swing, nelle sue composizioni si sentono gli echi di artisti come Count Basie e Ahmad Jamal, ritmi e armonie che si avvicinano a volte al boogie woogie, per avvicinarsi paradossalmente alla musica dell'ultimo John Coltrane e ai fraseggi bruschi e sfuggenti di Thelonius Monk.

Sun Ra fu influenzato anche dalla musica classica, definendo come suoi compositori preferiti Chopin, Rachmaninov, Schoenberg e Shostakovich. Fu un pioniere delle nuove sonorità dovute alla musica elettrica, sperimentando, fra i primi, le potenzialità del sintetizzatore e delle tastiere elettroniche (come il Yamaha DX7 o l'italiano Eko Tiger) al posto del pianoforte: fu il primo a usare il Minimoog a partire dal 1969. La sua filosofia influenzò fra gli altri gli MC5, Daevid Allen, i Lightning Bolt ecc. La particolarità della sua Arkestra (che è tuttora in attività, diretta dal sassofonista Marshall Allen) lo fece essere presente anche in due film: fra cui A Joyful Noise (1980) e Space Is the Place del 1974. Con quest'orchestra registrò più di 200 dischi, la maggior parte dei quali con l'etichetta da lui fondata, la "Saturn" (Wikipedia)

 
 
 

PARLARE DI JAZZ CON GYORGY LIGETI

Post n°2154 pubblicato il 20 Febbraio 2012 da pierrde

D

Dopo Philip Glass ecco un altro importante compositore contemporaneo, Gyorgy Ligeti, parlare di jazz e di jazzisti.

Interessanti le sue notazioni su Monk, Evans, Peterson, Miles ed il suo sguardo complessivo sulla musica del '900.

L'intervista, ad opera del pianista Benoit Delbecq, originriamente comparve su Jazz Magazine del settembre 1998 ma ora è stata trascitta e pubblicata su Do The Math. Ecco l'incipt con il successivo link per la lettura integrale:

 

Benoît Delbecq: In the booklet of Pierre-Laurent Aimard's CD of the Etudes pour Piano (Sony Classics) you mention that both Thelonious Monk and Bill Evans have had a significant influence on you.

György Ligeti: Indeed, in the sphere of jazz those musicians are truly my favorite. Their touch, their poetry. In jazz music there are great virtuosos like Oscar Peterson or Art Tatum, but it's something else.Do you like Peterson?

BD: Er...I mean...what he plays now...

GL: Yes, it's commerce !

BD: Nevertheless on the very topic of virtuosity...

GL: It's impressive! Just like Albert Ammons or James P. Johnson, who worked on a sort of a – let's call it - poetry of the speed. Now, there is this disc where Chick Corea plays with Herbie Hancock. One finds there incredible polyrhythms with subtle offsets that, to my sense, are based on a perfect knowledge of both Latin American and African music. It's one of my favorite jazz discs. But, for me, the great poet-composer was Monk. As far as touch is concerned, Bill Evans is a sort of Michelangeli of jazz. Do you agree?

Link: 

http://dothemath.typepad.com/dtm/gy%C3%B6rgy-ligeti-interviewed-by-beno%C3%AEt-delbecq-.html

 
 
 

INTERVISTE

Post n°2153 pubblicato il 20 Febbraio 2012 da pierrde

Spizzicando nella rete si trovano sempre pagine interessanti e che vale la pena riportare. E' il caso di queste due interviste, al fotografo Andrea Boccalini e al batterista Roberto Gatto, dalle quali riprendo alcuni passaggi interessanti.

 

Le nuove tecnologie permettono a chiunque di poter fare se non ottime, buone foto.. cosa fa la differenza?

Le nuove tecnologie aiutano sicuramente a fare delle ottime foto, ma solamente da un punto di vista estetico e tecnico. Fortunatamente non sono in grado di ricreare la realtà impressa nell'immagine. La differenza quindi è nella capacità di saper cogliere lo sguardo del soggetto ritratto o il momento cruciale dell'evento a cui stiamo assistendo, li non esiste tecnologia che ci possa aiutare, o ci sei o no ci sei, o lo senti o non lo senti. La storia l'hanno scritta molte immagini belle e che raccontavano molto, oppure immagini esteticamente non impressionanti ma in grado di descrivere un epoca. La tecnologia aiuta solamente l'aspetto effimero della fotografia, ma non quello sostanziale che ha ancora un valore, sebbene più esiguo.

 

I jazzisti, notoriamente poco avvezzi a curare l'immagine oggi ne sembrano addirittura ossessionati.. Marsalis fu il primo e gli altri hanno seguito a ruota... quanto conta l'immagine rispetto al contenuto, ora?

Nel jazz non si è ancora arrivati ai livelli di esasperazione del Pop, tranne che per qualche caso piuttosto raro. penso che a salvarlo da questa deriva sia il fatto che il pubblico sia ancora di nicchia e sia un pubblico spesso consapevole dei contenuti e non si lasci ingannare dalle apparenze. Quindi si ha ancora la libertà di apparire per ciò che si è senza preoccuparsi di ciò che i media hanno venduto al grande pubblico per mascherare una carenza di contenuti artistici.

Questo in linea di massima, ovvio che poi c'è l'aspetto edonistico e egocentrico più o meno spiccato in ogni artista che può manifestarsi in diverse maniere. Finché questa attenzione non serve a mascherare un vuoto creativo e quindi ad ingannare la platea meno preparata non penso ci sia nulla di male. Negli anni passati si suonava in giacca e cravatta, e non a caso i jazzisti della vecchia scuola si presentano eleganti anche al sound check, difficile trovare Ornette Coleman in Bermuda e infradito.

Penso che Marsalis, Roy Hargrove e molti altri artisti con un look molto ricercato, più che ai musicisti pop si ispirino alla tradizione dei grandi jazzisti del passato, anche se con un appeal molto più mediatico. Per esempio trovo molto più ossessionati dall'immagine di se stessi quei musicisti che giocano sulla totale avversione all'immagine, Jarret docet. Penso che questi casi siano frutto di una strategia di immagine e comunicazione molto più estrema e studiata di quanto non lo sia l'attenzione al proprio look.

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/blogs/fanfara-frenetica/andrea-boccalini-fotografo-jazz#ixzz1mpqVZtjW

Il jazz si sta diffondendo anche tra il grande pubblico. Sta perdendo forse l’aura di musica d’èlite che lo accompagnava?

«Contrariamente a quanto qualcuno ha affermato, il jazz è una musica d’èlite. Non è un caso infatti che questa musica si suoni nei club, che ospitano un pubblico ridotto. In America, la dimensione propria del jazz è quella dei club».

L’America è la ‘culla’ del jazz. Ma qualche anno fa si diceva che gli italiani ‘lo fanno meglio’...

«Un abbaglio mostruoso, nel quale forse sono caduto anch’io. Abbiamo raggiunto un livello molto alto, ma l’Italia non è un paese ‘fatto’ per questa musica. Non viviamo la frenesia di una città come New York, abbiamo altri usi e costumi. Abbiamo bravi musicisti che suonano il jazz, ma fare veramente jazz vuol dire ‘vivere’ questa musica a 360 gradi, nel suo ambiente, studiandolo e ricercando continuamente».

E lei studia?

«Continuamente. Confesso però che tempo fa non lo facevo: ho sempre pensato che suonando spesso avrei potuto evitare di studiare. Sbagliavo».

Come ha cambiato idea?

«Dopo un viaggio a New York ho avuto una sorta di visione. In quei giorni ho vissuto veramente la città e il jazz: concerti, jam session, prove a casa dei musicisti. Lì devi continuamente misurarti con quello che la ‘Grande mela’ sforna ogni giorno e con tanti musicisti, spesso più bravi di te. Mi sono detto ‘forse è meglio tornare a studiare’».

Continua su : 

http://www.ilrestodelcarlino.it/modena/spettacoli/musica/2012/02/15/668388-modena-baluardo-jazz-gatto.shtml

 
 
 

MORE MONK

Post n°2152 pubblicato il 19 Febbraio 2012 da pierrde

C'è una scena in Straight No Chaser, il documentario di Charlotte Zwerin prodotto da Clint Eastwood e dedicato alla vita di Thelonious Sphere Monk, che è la sintesi dell'arte tutta di questo musicista imprendibile, indomabile e infinito. La band sta suonando Evidence, durante l'assolo del sassofonista Charlie Rouse, Monk si alza e inizia a ballare.

Una danza goffa, derviscia. Gira su se stesso Monk, un omone di cento chili che si avvita felice come un bambino-farfalla sul proprio baricentro. Poi ritorna al piano e lo martella, i piedi tengono il ritmo, le gambe volano disarticolate. È l'estasi, è la scossa elettrica. È il jazz. È Monk. Monk che suona se stesso e che usa il pianoforte semplicemente per dare voce a tutte le note, montagne di note, che gli vorticavano tra il cuore e la testa, tra i mocassini eleganti ed i cappelli dalle fogge bizzarre.

Daniela Amenta, sito de l'Unità

 
 
 

IDEE CHIARE

Post n°2151 pubblicato il 19 Febbraio 2012 da pierrde

 

CHIASSO - All’interno di un festival musicale articolato su vari giorni e con un ampio ventaglio di proposte è normale, se non addirittura fisiologico, che ci siano, qualitativamente, degli alti e bassi. Ci sono però delle eccezioni, come il XV festival di cultura e musica jazz di Chiasso, consumatosi durante il finesettimana allo Spazio Officina e che, nonostante l’assenza nel suo cartellone di nomi di grande richiamo, ha piacevolmente stupito per varietà e qualità dell’offerta che durante le tre serate è stata alta e in grado di soddisfare le aspettative di un pubblico numeroso e molto attento. Buona musica in pressoché tutte le serate, dunque, con pochi picchi di grande eccellenza, ma anche con rari momenti in cui la noia l’ha fatta da padrone e quindi tutta da gustare nelle sue infinite sfumature.

Mauro Rossi, Corriere del Ticino, 13 febbraio 2012

Una domanda: ma gli sarà piaciuto o no ? 

 
 
 
 

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