Creato da pierrde il 17/12/2005

Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

IL JAZZ SU RADIOTRE

 

martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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JAZZ & WINE OF PEACE

Pipe Dream

violoncello, voce, Hank Roberts

pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig

trombone, Filippo Vignato

vibrafono, Pasquale Mirra

batteria, Zeno De Rossi

Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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JAZZ DAY BY DAY

 

 

L'agenda quotidiana di

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festival cliccando qui

 

I PODCAST DELLA RAI

Dall'immenso archivio di Radiotre č possibile scaricare i podcast di alcune trasmissioni particolarmente interessanti per gli appassionati di musica nero-americana. On line le puntate del Dottor Djembč di David Riondino e Stefano Bollani. Da poco č possibile anche scaricare le puntate di Battiti, la trasmissione notturna dedicata al jazz , alle musiche nere e a quelle colte. Il tutto cliccando  qui
 

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Messaggi di Marzo 2013

L'IMPOSSIBILE POSSIBILE

Post n°2693 pubblicato il 31 Marzo 2013 da pierrde

“Quando un paese vive una crisi profonda tende a chiudersi in se stesso e rischia di implodere. Producendo un'altra crisi, stavolta interiore. Concentrati sul quotidiano che sembra vacillare, si perde quel filo che annoda la parte introspettiva di noi stessi con quell'esteriorità che rappresenta la società della quale facciamo parte e che sembra non volersi occupare di noi. Storicamente si assiste al declino dell'uomo quando questo non è capace di trovare un equilibrio tra il proprio pensiero e quello collettivo. É qui che l'arte e la cultura possono rappresentare la chiave per rileggere il mondo e osservare così la crisi da un'altra angolazione. In una contemporaneità dove l'economia è padrona sembra necessario dare un significato alle cose attraverso ciò che esse generano esteriormente, senza porre l'accento su ciò che, invece, suggeriscono nel microcosmo personale. Non è casuale che il termometro dello stato di un Paese sia relazionato al PIL e al debito pubblico, senza tenere in considerazione la sua ricchezza storica e culturale oltre che la qualità delle scuole e delle Università.”

"L'Impossibile Possibile" - Lectio Magistralis di Paolo Fresu, Università degli Studi Milano Bicocca, 27 marzo 2013

Fonte: - diana - Blue in Green/Facebook

 
 
 

THE TOP 100 ALTERNATIVE ALBUMS OF THE 1960s

Post n°2692 pubblicato il 31 Marzo 2013 da pierrde

The Top 100 Alternative Albums of the 1960s

Come sempre in questi casi e' lo spirito del gioco che deve prevalere ma il tutto è condotto in modo intrigante e piacevole. Ad ogni album compare la foto di copertina e segue una breve descrizione.

Naturalmente c'è tanta musica jazz, il rock psichedelico e visionario i quegli anni ed una spruzzatina di world ante litteram. Il tutto si può leggere e vedere cliccando qui:

 http://www.spin.com/#articles/best-100-albums-1960s-sixties-alternative-list

 

 
 
 

BUONA PASQUA

Post n°2691 pubblicato il 31 Marzo 2013 da pierrde

 

Il ritmo ha qualcosa

di magico; ci fa

perfino credere

che il sublime

ci appartenga.

Goethe

 
 
 

CIAO ENZO, CIAO ISIO

Post n°2690 pubblicato il 30 Marzo 2013 da pierrde

L'esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque.  Enzo Jannacci

L'esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque (Enzo Iannacci)

 

Isio Saba è stato un pioniere del jazz management in Italia e, pochi lo sanno, è stato anche un grande fotografo.

(Luciano Vanni)

 
 
 

FRANCESCO CAFISO SU ANDYMAG

Post n°2689 pubblicato il 30 Marzo 2013 da pierrde

Qual è la tua idea di musica e in che modo pensi di averla espressa nei tuoi dischi?

Secondo me la musica è essenzialmente comunicazione. Mi piace pensare al fatto che chi ascolta, indipendentemente dalla propria preparazione e dalle preferenze specifiche, riesca ad apprezzarla. Uno dei miei obiettivi principali, oltre a quello di essere un musicista versatile, è quello di essere un musicista che sappia trasmettere una vasta gamma di emozioni e che sappia comunicare col proprio pubblico; al di là del fatto che si tratti più o meno di un pubblico colto ed esperto. Per farlo, credo sia fondamentale conoscere profondamente il linguaggio del jazz e la sua storia; cercare di essere un musicista che affondi le proprie radici nella tradizione del jazz, ma che miri anche alla ricerca di un suono e di un modo di esprimersi assolutamente originali. Naturalmente tutto questo è frutto di anni di studio, esperienze e ascolti.

Riguardo alla tradizione del jazz hai alcuni punti fermi che ritieni imprescindibili del tuo bagaglio formativo?

Ritengo che non si possa pretendere di essere definiti “jazzisti” se non si conoscono i linguaggi di grandi personalità come Louis Armstrong, Lester Young, Coleman Hawkins, Duke Ellington, Billy Strayhorn, Thelonious Monk… E poi ancora Charles Mingus, Miles Davis, Charlie Parker, John Coltrane, Ornette Coleman e tutti gli altri pilastri della musica jazz. Dovrebbero essere sempre un punto di riferimento e una costante fonte d'ispirazione. Questi musicisti sono e saranno sempre di estrema attualità perché rappresentano l'enciclopedia del jazz. Chiunque abbia voglia di imparare il “linguaggio” del jazz, deve attingere dal loro vocabolario per poi, ovviamente, cercare di proiettarsi in avanti, in modo assolutamente naturale... Essendo appunto uno dei dettagli importanti nella mia musica, credo e spero che nei miei dischi si evinca.
La tradizione è sicuramente il trampolino di lancio per il futuro del jazz e questo pensiero inevitabilmente si riflette nella mia musica, sia a livello compositivo ma soprattutto nell'improvvisazione

E chissà quanti episodi divertenti avrai vissuto con Wynton Marsalis...

Scherziamo ancora in tour proprio come quando avevo tredici anni. Una volta, in Olanda, mi disse di andare nella camera 127 per fare una lezione con Frank Morgan. Appena entrato nella sua stanza, Frank mi chiese di suona qualcosa, ed io cominciai a suonare un'improvvisazione. Frank mi ascoltò per qualche secondo, poi mi disse: "Ok... una lezione l'hai data tu a me. Puoi andare. Parlo io con Wynton!".

Leggi l'intervista completa su: http://www.andymag.com/my-lifemy-music/1989-francesco-cafiso.html

 
 
 

VENERDI' SANTO

Post n°2688 pubblicato il 29 Marzo 2013 da pierrde

La religione mi interessa quanto il campionato di calcio nello Zaire, ma ciò non toglie che alcuni aspetti ad essa correlati siano di grande bellezza, patrimonio dell'umanità intera a prescindere da razza, orientamento politico e religioso.

E' il caso dello Stabat Mater di Pergolesi, che durante la settimana santa viene rappresentato nella chiese o nelle sale dei Conservatori della provincia di Napoli.

 

Lo Stabat Mater è una melodia gregoriana strutturata in sequenza. Fu abrogata dal Concilio di Trento e poi reintrodotta successivamente nella liturgia solo nel 1727 da papa Benedetto XIII. Tuttavia, anche durante il periodo di abrogazione, questo testo ebbe notevole risonanza.

 Secondo quanto riporta la tradizione, la commissione di un nuovo Stabat Mater - che doveva sostituire il precedente di Alessandro Scarlatti (considerato antiquato) - arrivò a Giovanni Battista Pergolesi (1710 - 1736) quando il giovane musicista era già in precarie condizioni di salute. Il musicista, che sarebbe morto di lì a breve per tisi, terminò la composizione del brano mentre si trovava a vivere i suoi ultimi giorni nel convento dei cappuccini di Pozzuoli, dove si era ritirato per lenire il dolore del male incurabile che lo affliggeva.

 Studi recenti hanno però suffragato altre ipotesi che inquadrebbero sotto aspetti differenti la genesi di questa celeberrima opera musicale: intanto appare possibile che la stesura dello Stabat fosse iniziata tempo addietro, non soltanto a Napoli, dove il musicista abitava ormai da tempo, ma anche in concomitanza di altri lavori importanti che segnano non solo la sua vita ma anche la storia della musica. Ad esempio, è ipotizzato che lo Stabat Mater venne iniziato nel 1734 al tempo della composizione dell'Adriano in Siria (e soprattutto degli intermezzi Livietta e Tracollo) e soltanto terminato a Pozzuoli nel 1736 durante gli ultimi mesi della sua vita, ed insieme all'altro capolavoro sacro del compositore, ovvero il Salve Regina.

 Con lo studio dell'autografo, uno dei pochi rimasti e riconosciuti come autentici dell'autore, si nota però una grande fretta di scrivere, confermata da numerosi errori, parti di viole mancanti o soltanto abbozzate, e più in generale un certo disordine tipico di chi ha poco tempo davanti a sé. Quest'ultimo elemento, unito anche al significativo "Finis Laus Deo" posto in calce nell'ultima pagina, quasi un intimo ringraziamento nei confronti del Signore per avergli concesso tutto il tempo necessario per concludere l'opera prima di farlo passare a miglior vita, porta doverosi dubbi e infittisce di problematiche la vicenda.

 Che lo Stabat Mater fosse almeno terminato a Pozzuoli appare quasi una verità assodata, rimane da capire fino a che punto l'opera fosse già iniziata. Anche perché fu Pergolesi stesso a confidare al suo vecchio maestro Francesco Feo, andato a trovarlo per sincerarsi del suo stato di salute, che non aveva tempo per riposarsi o pensare a rimettersi, poiché l'opera andava finita, e anche in fretta. La quaresima si avvicinava, e le scadenze si facevano incombenti. Ma c'era di più: lo Stabat Mater viene da sempre considerato il testamento spirituale di Pergolesi, ed un testamento non si lascia incompleto.

In una vicenda così intricata, rimangono due certezze: intanto la bellezza pura, malinconica ma non drammatica, che risplende tutta la sequenza, quasi come se Pergolesi vi si fosse rispecchiato ed avesse ritrovato gli accenti più veri del suo dolore in quel canto, forse - a detta di alcuni critici - un po' piatto, ma sincero e profondamente sentito. In seconda analisi, il grande successo che riportò subito lo Stabat, al punto che il grande Bach decise di farsene una copia propria, un successo che commosse il mondo, come se da quella piccola celletta la musica del compositore jesino riuscisse a parlare a tutti.

 A tutti, per la sua semplicità (non banalità) unita a una verità ed a una varietà di stili, ad una partecipazione, che faceva intuire dove poteva arrivare Pergolesi se non fosse stato strappato al mondo ancora in giovane età. È una musica non pretenziosa, si direbbe umile, dove sono eliminati ogni sorta di virtuosismo esteriore fine a sé stesso ed ogni sorta di artificio superfluo ed inutile. Tutto sorregge il canto ed è funzionale al risplendere delle due voci femminili, e già dall'introduzione si delinea un clima commovente e malinconico, la musica prende vita, forma, diventa arte altissima e sembra quasi di scorgere il volto in lacrime della Madonna davanti al Cristo.

Fonte: Wikipedia

 
 
 

LAST REVIEW

Post n°2687 pubblicato il 29 Marzo 2013 da pierrde

Per chiudere il panorama delle opinioni sul Festival Jazz di Bergamo ecco la recensione del decano dei critici italiani, Franco Fayenz, comparsa ieri su Il Sole 24 Ore e che rieccheggia nei pareri quanto è gia' emerso nei commenti in rete.

Riporto alcuni passaggi che giudico significativi rimandando per la lettura integrale al solito link a fine post:

.....si è ripetuto per il secondo anno della direzione artistica di Enrico Rava quanto si era notato nel 2012: i collaterali mattutini e pomeridiani di Bergamo sono i concerti per gli intenditori, gli appuntamenti che tanti festival-fotocopia non osano proporre escludendo il Belpaese da eventi (appunto) che sono di grande interesse e non di rado i migliori ....

Il grande botto arriva nel pomeriggio successivo all'Auditorium. Lo fa il giovane trombettista Peter Evans. Per vari esperti italiani (a proposito di quanto si è detto sopra) si tratta addirittura di una prima assoluta, cd compresi, sebbene Evans ne abbia già licenziati a suo nome almeno sei o sette. Sono con lui i più noti John Hebert contrabbasso e Kassa Overall batteria. Evans si avvale di tecnica prodigiosa che gli permette i più audaci voli d'avanguardia, ma non è questo il punto. Espone temi ardui e li esplora oltre ogni limite possibile, frantumandoli, rovesciandoli, ricuperandoli ogni tanto qua e là e poi ricominciando da capo in altro modo. E non perde mai di vista le esigenze espressive e l'interplay con gli eccellenti compagni. Alla fine gli intenditori sono allibiti e felici, consapevoli di aver fruito del vertice insuperabile del festival.

 di Franco Fayenz - Il Sole 24 Ore -

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2013-03-27/bergamo-jazz-rondine-primavera-225020.shtml?uuid=Ab9vaEiH

 
 
 

DOUGLAS RECENSISCE SHORTER

Post n°2686 pubblicato il 28 Marzo 2013 da pierrde

 

Dave Douglas recensisce il nuovo album di Wayne Shorter, Without a Net, e lo fa con competenza (ovvio) e scioltezza. Daltronde il trombettista è anche un blogger ed è abituato a cimentarsi con le parole oltre che con le note.

Trascrivo l'incipt e rimando come di consueto la lettura integrale al link:

 I was listening to Wayne Shorter's new album on the Taconic State Parkway when I heard a woman's voice yelling, "Oh my God!" It was intense, one of those things where you think maybe you should pull over and find out what's going on. When I got home, I realized it was actually on the recording. It was one of the players in the woodwind quintet Imani Winds, who join the Wayne Shorter Quartet on "Pegasus." (This happens at 7:16.)

It was the perfect reaction to the immediacy and urgency of this music. Shorter's quartet plays with incantatory fervor and heavenly grace. Every moment is alive with possibility and charged with electric energy. It's music where you feel like anything can happen, and once you start to grasp the rules of the game you pick up on the profundity of the choice of what actually does happen. Without a Net presents a side of Shorter we haven't heard before on record--there's a new freedom and flight of imagination, as well as a crucial re-imagining of the meeting of composed and improvised music.

Continua qui: http://thetalkhouse.com/reviews/view/dave-douglas-wayne-shorter

 
 
 

FREDDO E PIOGGIA: BEVIAMOCI UN TE'

Post n°2685 pubblicato il 28 Marzo 2013 da pierrde

 

 

 

 
 
 

IL PROGRAMMA IN PRIMA SERATA DI UMBRIA JAZZ

Post n°2684 pubblicato il 27 Marzo 2013 da pierrde

Umbria Jazz: arrivano Pino Daniele, Marsalis con Porter, Gilberto Gil e Dee Dee Bridgewater

L'artista napoletano dividerà la serata con Mario Biondi; insieme al trombettista di New Orleans anche Cecile McLorin Taylor. La cantante di Memphis con Ramsey Lewis.

Si alza il sipario sull’arena Santa Giuliana. Umbria Jazz svela tutto il resto del programma del main stage (manca solo la serata di sabato 13) dell’edizione che prenderà il via il 5 luglio. Dopo le anticipazioni di Diana Krall (5 luglio), Sonny Rollins (fatti salvi i problemi respiratori il 6 luglio con Enrico Rava e Paolo Frusu), il trio di Keith Jarrett (il 7), John Legend ed il duo di pianoforte Chick Corea-Herbie Hancock, a luglio arriveranno Dee Dee Bridgewater con il quintetto di Ramsey Lewis (il 10), Wynton Marsalis alla testa dell’orchestra del Lincoln Center con ospiti Gregory Porter e Cecile McLorin Salvant. Serata conclusiva carioca affidata ai brasiliani Gal Costa e Gilberto Gil. In più, il 9 luglio, in attesa che il 22 aprile venga svelato tutto il programma, nottata italiana con Pino Daniele prima (a Uj per la quarta volta) e Mario Biondi poi a dividersi il palco.

Continua a leggere qui: http://www.umbria24.it/umbria-jazz-arrivano-pino-daniele-marsalis-con-porter-gilberto-gil-e-dee-dee-bridgewater/160065.html

C'è poco da commentare, la delusione è evidente anche se ragionevolmente non mi aspettavo niente di diverso. Una piccola speranza di ascoltare qualche concerto interessante rimane solo per le proposte in teatro, ma di fatto il festival  continua anno dopo anno  a discendere la china dell'interesse, rifugiandosi stancamente in proposte "sicure".

Faranno naturalmente il pieno di spettatori, ma da un punto di vista dell'innovazione, sperimentazione e promozione di talenti Umbria Jazz è terra bruciata già da anni. Amen

 
 
 

OPINIONI

Post n°2683 pubblicato il 27 Marzo 2013 da pierrde

                               GIOVANNI  GUIDI QUINTET

 

Giovane pianista di Foligno, Guidi ha cominciato ad acquisire notorietà nel quintetto di Enrico Rava. La consacrazione ufficiale l’ha avuta con l’album Late Blue, pubblicato dalla ECM di Manfred Eichner.

Ero perciò curioso di ascoltarlo con il suo quintetto con, appunto, Kinzelmann al sax e al clarinetto, Shane Endsley alla tromba, Thomas Morgan al contrabbasso e Gerald Cleaver alla batteria. Questi due ultimi nomi sono considerati una delle sezioni ritmiche più forti e affidabili sulla scena musicale non solo americana. Devo dire di avere avuto un’impressione complessiva molto buona.

Si sente che Guidi è influenzato da Jarret. Ma quale pianista, mi si dirà, non è influenzato al grande pianista di Allentown? Per spiegarmi meglio, direi che Guidi cerca le sfumature musicali, il colore delle note. Questo non gli impedisce di essere il pianista di un quintetto con tromba e sax e cioè di essere anche accompagnatore e base ritmica. Lirismo e cantabilità, due qualità musicali prettamente italiane, sono le caratteristiche principali del suo stile solistico

Fonte: http://www.jazzmilano.it/

 

Tornando alla serata, bello il concerto del quintetto di Giovanni Guidi. Il giovane pianista umbro si muove in modo elegante tra un lirismo asciutto e quasi filigranato e una coralità innodica che porta a densi momenti di insieme. È una musica che definirei “fluttuante”, che sembra a volte indugiare sui confini della libertà, che esplora dettagli, ma resta incantata e incatenata dalla forza espressiva del canto. Nel fare questo, cosa anche piuttosto rischiosa in alcuni momenti, specie quelli più lenti e amniotici, Guidi può contare su voci precise come quelle del sax di Dan Kinzelman e della tromba di Shane Endsley, ma soprattutto sul fondamentale apporto della coppia ritmica formata da Thomas Morgan al basso e da Gerald Cleaver alla batteria, musicisti di sensibilità straordinaria, in grado di ridefinire continuamente il gioco ritmico e dinamico della musica. Guidi suona in modo accurato, prediligendo traiettorie semplici nella parte centrale della tastiera, ma non disdegnando accessi più convulsi, attento anche a straniare con piccole interpunzioni inquiete i momenti più lirici.
 Fonte: http://www.giornaledellamusica.it/blog/?b=366

 

Giovanni Guidi, al piano, San Kinzelman, sax tenore e clarinetto, Shane Endsley, tromba, Thomas Moragan, contrabbasso, e Gerald Cleaver, batteria, hanno presentato un progetto che va alla ricerca di nuovi linguaggi. Un ricco e studiato interplay dove emergono le qualità espressive di Kinzaelman non bastano alla completa realizzazione sonora dell'idea.

Fonte: http://www.bergamonews.it/cultura-e-spettacolo/bergamo-jazz-%E2%80%9Cpascoal-pochi-spunti-creativi-una-serata-deludente%E2%80%9D-172510

Il quintetto di Guidi mi ha destato impressioni ambivalenti: sezione ritmica da sogno, una front line di tutto rispetto e temi accattivanti ma complessivamente non mi è parso decollare come ci si sarebbe potuti aspettare.

Fonte: Mondo Jazz

 

                              HERMETO PASCOAL GROUP

 

Dispiace ma stavolta Hermeto Pascoal ci ha deluso, così come non ci ha convinto fino il fondo il progetto del quintetto di Giovanni Guidi. Una serata non fa primavera, del resto festival e rassegne sono pieni di concerti che lasciano perplessi.

Eppure sul palcoscenico del Donizetti Hermeto e il suo gruppo, peraltro ricco di forti individualità come il pianista Andrès Marques e il sassofonista Vinicius Dorin, hanno sciorinato, uno dietro l'altro, brani ben congeniati ma senza anima. Come dire, uguali, senza originalità. Anzi in alcuni momenti sembrava di ascoltare la colonna sonora dei cosiddetti film polizieschi in voga negli anni '70 (tipo "Milano calibro 9", "la polizia ringrazia"). E nello svolgersi della performance Hermetto Pascoal è apparso ai margini, senza spunti creativi, solo un immaginifico "profeta" della sua musica proposta da altri, oppure solo "O Bruxo" , lo stregone come lo hanno chiamato in Brasile.

Fonte: http://www.bergamonews.it/cultura-e-spettacolo/bergamo-jazz-%E2%80%9Cpascoal-pochi-spunti-creativi-una-serata-deludente%E2%80%9D-172510

 

Abbastanza indigeribile invece il set del non più giovane Hermeto Pascoal, come già si sapeva dalle sue ultime apparizioni nella penisola. Il polistrumentista brasiliano propone una sorta di fusion “tropical-freak” dalla sonorità molto datata e a tratti confusa, affidando i lunghi temi all’unisono tra il sax soprano e la deleteria presenza della voce della più giovane compagna Aline Morena. Una musica che se trae ispirazione, come sempre in Pascoal, dai suoni della natura, ce li restituisce con modalità davvero deludenti, che alternano senza una vera necessità momenti di strumentismo latin-muscolare che speravamo dimenticati ai consueti siparietti in cui il nostro trae suoni dagli oggetti più disparati. In altri momenti forse mi avrebbe fatto anche tenerezza, ma complice la stanchezza non riesco davvero a reggere questa celebrazione un po’ grottesca di un musicista che certamente ha avuto nei decenni passati un ruolo importante e una precisa originalità, ma che se oggi continua a essere ricordato prevalentemente per la partecipazione a Live/Evil di Miles Davis (anno di grazia 1970, pubblicazione 1971), vuol dire che qualche magia non deve avere funzionato del tutto.

Fonte: http://www.giornaledellamusica.it/blog/?b=366

Di Hermeto Pascoal, la seconda parte del concerto del Bergamo jazz, avevo solo sentito parlare.

Dico fin da subito che il concerto è stato notevole. Iniziato con l’aria della regina della notte dal Flauto magico, è proseguito su questo leit motiv: la voce umana (la cantante Alina Mortena, bravissima) che dialogo con gli strumenti (in particolare il sax di Vinicius Dorin).

Le melodie della Bossa Nova e della tradizione brasiliana costituiscono naturalmente il background riconoscibile della musica, in una varietà di sonorità, tuttavia, che le trasformano radicalmente e che fanno di ciascun musicista l’artefice di una propria interpretazione.

In questo senso, nell’essere cioè una sorte di comune dei musicisti, ho avuto l’impressione che il gruppo di Hermeto Pascoal sia testimone ed erede del meglio della cultura progressista degli anni sessanta e settanta

Fonte: http://www.jazzmilano.it/

 

Ecco qua, due concerti al Bergamo Jazz Festival e molte opinioni, a volte completamente opposte. Come dire che ognuno, in base ai propri gusti, sensibilità e preferenze, riesce a vedere lo stesso set da angolazioni opposte se non addiritura inconciliabili.

Chi ha ragione ? Tutti, credo, nella misura in cui il gusto personale non è opinabile. Come dato di fatto oggettivo rimane la constatazione che le parabole artistiche di Hermeto e di Giovanni sono inversamente proporzionali, e non potrebbe essere diversamente.

 
 
 

RICORDO DI PIERO MILESI

Post n°2682 pubblicato il 27 Marzo 2013 da pierrde

« Il meno ideologico dei compositori della sua generazione, uno disposto a restare nell'oscurità di etichette esoteriche americane piuttosto che rivendicare con proclami l'attenzione (che sarebbe stata meritatissima) di editori e istituzioni concertistiche di casa nostra. »

(Franco Fabbri)

Piero Milesi (Milano, 28 gennaio 1953Levanto, 30 ottobre 2011)

Dopo aver studiato violoncello e composizione sperimentale ed elettronica, entra nel 1977 nel Gruppo Folk Internazionale di Moni Ovadia, dove partecipa sia come esecutore che come compositore.

Tra il 1978 e il 1980 compone Modi, opera in due parti pubblicata poi nel 1982 per l'etichetta britannica indipendente Cherry Red Records; dal 1984 collabora con lo Studio Azzurro di Milano.

Per l'etichetta indipendente americana Cuneiform Records escono The Nuclear Observatory of Mr. Nanof e Camera astratta, entrambe colonne sonore.

Tra il 1995 e il 1996 collabora in veste di arrangiatore, esecutore e produttore ad Anime salve, l'ultima opera di Fabrizio De André, per il quale aveva già eseguito arrangiamenti ed orchestrazioni ne Le nuvole; seppur non accreditati, nell'album sono presenti molti suoi contributi musicali.

Ha spesso composto colonne sonore di film e spettacoli teatrali e lavorato come arrangiatore e direttore d'orchestra nell'ambito della pop music italiana (Fiorella Mannoia,Luciano Ligabue); laureato in architettura, ha realizzato installazioni sonore e interventi musicali nei grandi spazi.

È scomparso nel 2011 all'età di 58 anni a seguito di un infarto

Fonte: Wikipedia

The three-movement concerto So Soggy (1992) begins with a jazzy Gershwin-ian piano sonata which slowly mutates into a plaintive piano and violin duo over stately organ and funereal percussion.

Fonte Scaruffi.com

 Credo che So Soggy, il brano che state ascoltando, sia il più riuscito biglietto da visita per penetrare nel mondo musicale di Milesi. Si tratta infatti di una suite raffinata e meditativa in grado di colpire l'immaginazione anche di ascoltatori abituati ad ascolti molto meno impegnativi.

Un lungo brano ideale per contemplare, colonna sonora di un pomeriggio piovoso e solitario . Musica per la mente.

 
 
 

L'INDIFFERENZA DEGLI AMMINISTRATORI

Post n°2681 pubblicato il 26 Marzo 2013 da pierrde

Purtroppo quando si parla di istituzioni e musica le notizie sono quasi sempre permeate di pessimismo. Dopo il post sul Fano Jazz By The Sea che potete leggere prima di questo ecco un festival che invece si è appena concluso e che comunque sopravvive grazie sopratutto ai contributi dei privati tra la "normale" indifferenza di sindaci e assessori.

  L’edizione 2013, la 33ª, dell’Open Jazz già Euro Jazz, è stata da applausi, con il pienone per il concerto di Stefano Bollani quale punta di diamante, con 900 presenze all’Officina H, e serate nei Comuni limitrofi con tutte le sale che hanno attirato un buon pubblico.

«La cosa fantastica - commenta Massimo Barbiero- non dovrebbe però essere il teatro pieno per Bollani, ma il fatto che a Banchette ci fosse Rob Mazurek o a Bollengo Giovanni Guidi. Credo che ad Ivrea non si abbia ancora raggiunto, dopo 33 anni, la consapevolezza di questa realtà d’eccellenza rappresentata dal Festival. Il 50% del pubblico, infatti, viene da fuori, da Milano e Aosta, ma anche da Torino, Biella e Vercelli. E sono le persone che del Festival vivono ogni appuntamento, si spostano da una sede all’altra e partecipano ai concerti come agli aperitivi e alle degustazioni».

E sottolinea: «Anche le istituzioni dovrebbero essere più consapevoli del valore del Festival: la sera di Bollani sono giunte 28 persone dell’Isis Papyrus da Vienna e 8 dell’Adidas: si sono dunque spostati anche i grandi sponsor, oltre ai novecento spettatori, ma il primo cittadino Carlo Della Pepa non si è fatto vedere nemmeno un istante all’Officina H. D’altro canto la manifestazione è resa possibile dai contributi dei privati, che coprono il sessanta per cento dei costi».

«L’Open Jazz - non si stanca di ripetere concludendo Massimo Barbiero - è da sempre considerato un punto di riferimento nazionale del settore, ma sarà difficile farlo sopravvivere se non se ne comprenderà appieno l’importanza».

Fonte: http://lasentinella.gelocal.it/cronaca/2013/03/25/news/open-jazz-il-top-con-bollani-barbiero-assente-il-sindaco-1.6767047

 
 
 

HELP FANO JAZZ

Post n°2680 pubblicato il 26 Marzo 2013 da pierrde

 

 Al Sindaco e all' Amministrazione di Fano: Salvaguardare il Festival Fano Jazz by the Sea

Carissimi tutti,
in questo momento di grave crisi, il nostro prestigioso Festival Fano Jazz By The Sea rischia seriamente di scomparire, causa la mancanza di risorse per la cultura.
Ci rivolgiamo pertanto a tutti coloro che hanno sensibilit...à verso la musica d'arte affinchè sottoscrivano la petizione al fine di scongiurare la sciagurata ipotesi della morte del Festival.
Collegandovi al link qui sotto è possibile leggere, firmare, condividere e diffondere la petizione!
Grazie a tutti per il prezioso sostegno
Lo staff di Fano Jazz Network

 
 
 

MORE BERGAMO JAZZ

Post n°2679 pubblicato il 26 Marzo 2013 da pierrde

Sulla rete si moltiplicano i commenti sul festival appena concluso. Tra i più interessanti e condivisibili e non solo per le valutazioni singole  ma sopratutto per le considerazioni complessive c'è senz'altro la recensione di Enrico Bettinello. Ne riporto le parti salienti rimandando la lettura integrale al link a fine post:


Alcune annotazioni le ho disseminate qui e là nella mia cronaca, ma vorrei rilanciare una riflessione, proprio in virtù del successo della formula, che immagino possa sulla carta indurre a non “cambiare” la squadra che vince, come si suol dire.
La questione è quella che chiamerei dei “due mondi”: nel suo primo biennio Rava ha portato nel segmento pomeridiano del Festival – popolato anche da una consistente fetta di pubblico che poi non va al Donizetti – nomi come Owen Marshall, Craig Taborn, Tim Berne, Marc Ribot, Peter Evans e Mary Halvorson e ha fatto unanimemente centro. Rileggiamoli questi nomi, che a chi segue il jazz più irrequieto possono sembrare persino ovvi. Rileggiamoli perché non è facilissimo trovarli in altri festival della penisola e questo è un merito che a Rava, sebbene in terra caecorum, va riconosciuto pienamente.

A questo segmento pomeridiano ne corrisponde uno serale in cui il desiderio di non deludere il grande pubblico ha portato nel medesimo biennio a scelte assai meno coraggiose e pure a qualche scivolone, dalla improbabile Buika dello scorso anno al rottamato Hermeto Pascoal di ieri.
Posto che scalfire il lato “popular” degli appuntamenti serali sembra piuttosto difficile (e forse nemmeno giusto per le strategie di una città che voglia accontentare una larga fascia di pubblico), mi sembra allora interessante pensare, per le edizioni future, alla possibilità di aumentare invece gli spazi “altri” rispetto al Donizetti, spazi magari con capienze non grandissime, ma in grado di valorizzare al meglio esperienze musicali meno scontate e di fare di queste la vera ossatura di un progetto culturale di livello europeo.
Un pubblico nuovo, in fondo, si costruisce solo così, passo dopo passo, e credo che un Festival di questo livello possa permettersi un ruolo di stimolo in questo senso, essendo magari di esempio per altri Festival e altri curatori.

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