Mondo Jazz
Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.
IL JAZZ SU RADIOTRE
martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
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JAZZ & WINE OF PEACE
Pipe Dream
violoncello, voce, Hank Roberts
pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig
trombone, Filippo Vignato
vibrafono, Pasquale Mirra
batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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Messaggi di Giugno 2014
Disco beatificato prima della sua uscita, Alive ci presenta Hiromi alle prese col suo trio (che però viene chiamato The Trio Project) e con mazzo di sue composizioni. Hiromi è la 35enne pianista giapponese considerata dalla maggior parte della critica un astro in continua ascesa ed è dotata di una tecnica mostruosa, nonchè di una forte personalità. Una personalità che le ha consentito, tra l'altro, di tener testa ad un marpione come Chick Corea, in un incontro-scontro molto divertente, nonchè di prolungare all'eccesso la durata della Rapsodia in Blue, ampliando a dismisura gli spazi solistici previsti dalla partitura. Continua la lettura su: http://www.traccedijazz.it/index.php/recensioni/26-recensioni-discografiche/515-hiromi-uehara-alive Le perplessità di Alberto Arienti Orsenigo, l'autore della recensione, sono anche le mie. Vista dal vivo è sicuramente impressionante: tecnica straripante e anche una notevole forza fisica, insospettabile in un corpo minuto. Hiromi ha anche due mentori d'eccezione, Chick Corea e sopratutto Ahmad Jamal, che l'ha presa sotto la sua ala protettiva. Eppure, al di là dei fuochi d'artificio, degli effetti speciali, della velocità forsennata, all'ascoltatore rimane il dubbio piuttosto fondato che la musica scivoli via in superficie, e che manchi di introspezione e profondità. Può essere un difetto di gioventò, la comprensibile voglia di strafare e di sedurre l'ascoltatore, certo è che adesso l'aspettativa è per una virata più di sostanza che di apparenza, e questo inevitabilmente coinvolge anche i musicisti che la accompagnano. Per ora è la pianista più veloce del west. Ma non basta . |
Post n°3562 pubblicato il 29 Giugno 2014 da pierrde
Secondo una ricerca commissionata a inizio anno dal predecessore di Franceschini, Massimo Bray, se fatta la copia privata coinvolge nella stragrande maggioranza dei casi (il 69,4%) il personal computer. Telefoni cellulari intelligenti e tavolette non vanno oltre il 5. Il 59,2% del campione preso in considerazione ha poi dichiarato di ricorrere “raramente” alla pratica della duplicazione per uso personale. E, percentuale più importante, èsolo il 13,5% ad avere l’abitudine di creare una seconda copia del materiale acquisito. Accenture ha inoltre riscontrato la preferenzadell’utenza nostrana per lo streaming rispetto al download, con più della metà dei consumatori disposta a pagare maggiormente la connessione a patto di ricevere un segnale migliore. Qui casca, non ce ne vogliano i volenterosi ministri, l’asino: gli utenti italiani, che della copia privata praticamente non si curano, sarebbero addirittura pronti a investire nell’abbonamento domestico o mobile alla banda larga per godere dei vari Spotify e Infinity e SkyOnline, le alternative nostrane a Netflix che, come Amazon Instant Video, è ancora scettico sullo sbarco nei nostri confini proprio per i problemi della Rete. E invece di guardare, insistere e investire andando incontro alla domanda e all’arrivo di un’ulteriore offerta, che andrebbe incontro prima di tutto ai detentori dei diritti, ci si incaponisce su un’abitudine anacronistica. Fonte: http://www.wired.it/attualita/tech/2014/06/23/equo-compenso-streaming/ Da poco anche Deezer, sull'esempio di Spotify, ha aperto all'utilizzo gratuito della propria piattaforma su qualsiasi tipo di supporto digitale in cambio di pubblicità. Ancora una volta tutto sta cambiando nel modo di fruizione della musica e nessuno di coloro che reggono le sorti del paese, come sempre, sembra accorgersene. La copia digitale e il download hanno messo in ginocchio case discografiche e negozi di dischi. Lo streaming farà definitivamente chiudere la maggioranza dei negozi rimasti, e abituerà piano piano il consumatore al non possesso materiale della musica. Naturalmente resisteranno collezionisti e appassionati, ma il destino è segnato. Con il passare delle generazioni gli scaffali di casa, ora occupati da migliaia di LP, di compact disc e di libri piano piano si svuoteranno. Dischi e libri diventeranno come le macchine da scrivere nell'era del computer: oggetti obsoleti, roba da collezionisti. Non succederà subito, ci vorrà del tempo e le sacche di resistenza saranno estese e forti. Nel frattempo qualcuno magari informerà il ministro Franceschini o chi per lui , e con qualche lustro di ritardo avremo una nuova tassa: l'equo compenso sullo streaming. Naturalmente però lo streaming sarà già superato... |
Post n°3561 pubblicato il 29 Giugno 2014 da pierrde
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Post n°3560 pubblicato il 28 Giugno 2014 da pierrde
Ogni tanto su Facebook compaiono pensieri e spunti di musicisti che inducono alla riflessione. Questi, comparsi stamane per la penna di Marco Colonna, li ho trovati particolarmente stimolanti e veritieri. Ne riporto una parte, unitamente ad un bellissimo video di Marco in duo con Silvia Bolognesi, invitando gli interessati a commentare direttamente sul social network: https://www.hs.facebook.com/odt.oddity?fref=nf (...) Scelgo di suonare una musica di matrice improvvisativa perchè nello "sconosciuto" nel "momento" ci sono le caratteristiche di un atteggiamento profondamente rivoluzionario. C'è la capacità di essere inclusivi con l'ambiente, con gli altri, con il suono. C'è la ricerca di strategie di bellezza, una ricerca totale e avvincente ed una ritualità antica di creazione. Una responsabilità profonda ed un'attitudine vera onesta. Comincio a rendermi conto che siamo in una parte della percezione altra, lontani dalla consolazione di chi abusa le parole libertà, diritto, giustizia. Lontani dal concetto egocentrico di artisti. Siamo uno con chi ci ascolta, siamo uno con chi suona con noi, siamo uno con il silenzio. E' una bellezza dolorosa certo, non certo consolatoria. Ma viva. Viva. Non riesco a capire perchè i movimenti di persone non accolgano queste prassi come proprie. Veicoliamo un senso profondo. Ma a noi si preferisce chi urla banalità spesso. Perchè un mercato ha cucito sugli interessi di ognuno di noi il prodotto giusto. Ma noi non siamo un prodotto. Siamo lavoratori del mistero, siamo operai del silenzio. Siamo chi accende la luce di giorno, siamo il lampo durante il temporale. Siamo necessari. Siamo tanto abituati a vedere le cose attraverso uno schermo che dimentichiamo il nostro Pianeta, i nostri sentimenti e viviamo abortiti nelle nostre tane. Ci prepariamo al domani vivendo nell'eternità e morendo in un solo momento. Sotto la maschera mille universi splendono. L’anima brucia.
Axel Klimt |
Post n°3559 pubblicato il 28 Giugno 2014 da pierrde
I due tastieristi discorrono, litigano, si rincorrono e quando in scena non ci sono i fiati, sembrano volere a tutti i costi finire nei terreni minati del free fino a quando non rientra Miles e li rimette in riga. Interessante quello che una volta aveva confidato Davis in una intervista, su come metteva in conlitto i due, con false dichiarazioni attribuite all'altro, per creare una continua tensione, tensione che si sente anche nella musica. Mi è capitato di recente di vedere un video del 2013 relativo al gruppo Miles Smiles (Larry Coryell, Joey DeFrancesco, Omar Hakim, Daryll Jones, Rick Margitza, Wallace Roney) che riprende il repertorio del Davis elettrico, nonchè il tributo al Miles elettrico fatto nel 2011 da Herbie Hancock, Wayne Shorter, Marcus Miller (con il giovane Sean Jones alla tromba), e devo dire che gli originali sono ancora più interessanti anche nelle sonorità, oltre che nell'energia e grinta diffuse a piene mani e con una visionarietà un po' folle ed ingenua. E questo mi sembra la cosa più sorprendente. Continua a leggere qui: La recensione di Alberto Arienti Orsenigo mette a nudo il fenomeno del profilicare di gruppi nati con il solo scopo di rendere tributo o continuare l'opera di gloriosi leader. Basterebbe pensare a ciò che rimane dell'Arkestra di Sun Ra, attualmente ancora in Europa in concerto tra un festival e l'altro, per rendersi conto che si tratta di operazioni nostalgiche e senza un futuro plausibile che non sia nel solco della riproposizione del mito e della sua storia. E le eccezioni in questo campo sono veramente rare. Sarebbe interessante anche stilare un elenco di album pienamente riusciti a tributo di questo o di quel grande jazzista del passato. E se si riusicsse a elencare una ventina di buoni o grandi dischi, sarebbero comunque una piccolissima parte rispetto alla quantità abnorme della produzione discografica orientata in tal senso. Il gruppo Miles Smiles l'ho ascoltato a Torino lo scorso anno: ottimi professionisti senza alcun dubbio. Ma l'effetto di quella musica senza Miles era lo stesso del succedaneo del caviale. |
Post n°3558 pubblicato il 27 Giugno 2014 da pierrde
Serata dedicata alla nostra musica e al film di Franco Maresco sul canale digitale Rai5 alle 21,20. Ma nessun problema per chi leggerà questa mia a serata conclusa. Il film lo si può vedere anche in rete, basta cliccare qui: http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-e9b6dfe4-291d-4794-8d02-3ca26c8f3ad6.html Io sono Tony Scott, ovvero come l'Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz è un documentario del 2012 diretto da Franco Maresco. Il documentario racconta la vita del jazzista italo-americano Anthony Joseph Sciacca, meglio noto come Tony Scott, dalla sua infanzia e giovinezza negli Stati Uniti fino alla morte avvenuta a Roma nel 2007 in seguito ad una lunga malattia . Per la realizzazione del documentario, l'autore Franco Maresco ha intervistato numerosi musicisti americani ed italiani che avevano conosciuto Tony Scott, quali il leggendario clarinettista Buddy DeFranco, il pianista Mario Rusca e il percussionista Tony Arco. Inoltre, Maresco ha ottenuto la collaborazione delle tre mogli di Scott, oltre che delle due figlie avute dal secondo matrimonio. Il film è stato proiettato (fuori concorso) al 63º Festival del film Locarno e al Vancouver International Film Festival nel 2010. Il documentario è un racconto dettagliato della vita personale ed artistica di Tony Scott, che amava definirsi "il più grande clarinettista del mondo". Attraverso filmati e fotografie e, soprattutto, attraverso le testimonianze di chi l'aveva conosciuto, viene ripercorsa la parabola che portò Scott, celebratissimo clarinettista dell'America degli anni cinquanta, ad un notevole decadimento personale e professionale, in seguito al trasferimento in Italia negli anni sessanta. Nella prima parte del documentario, negli Stati Uniti, viene dato ampio risalto alla sua collaborazione professionale ed alla forte amicizia con Charlie "Bird" Parker e con Billie Holiday, nonché al suo straordinario talento di sperimentatore e di virtuoso del clarinetto jazz. La prima moglie di Tony Scott, Fran Attaway, nel corso dell'intervista rivela un dettaglio biografico di Scott sconosciuto: secondo la Attaway, durante un viaggio in Indonesia Tony Scott sarebbe stato scambiato per una spia e, conseguentemente, detenuto e probabilmente torturato. Nella seconda parte, dopo il trasferimento in Europa, viene narrata con dovizia di particolari e con grande partecipazione il tramonto della stella del clarinetto, dovuta sia al mancato riconoscimento del suo talento da parte del pubblico e della critica italiani, sia al difficile carattere di Scott, che lo porta ad alienarsi molte simpatie nell'ambiente del jazz. Da tempo ammalato, Tony Scott morì nel 2007, in condizioni economiche disagiate, e fu sepolto nel cimitero di Salemi (TP), paese di origine della sua famiglia. Nel documentario viene fatto cenno ad una autobiografia di Scott, che però è rimasta inedita. Fonte: Wikipedia
Dalle interviste dei compagni esce il ritratto di un uomo egocentrico e stravagante, caratterialmente diverso dai colleghi più 'seri', studiosi e tecnicamente ineccepibili. Lui era inguaribilmente anarchico. Il suo corpo, mai composto o irrigidito, si muoveva assieme alla musica e lo scorrere delle emozioni vibrava sulle note del clarinetto. Ma, malgrado la magia di quei momenti, la sua storia è triste. Dopo l'epoca d'oro in America, decide di viaggiare verso l'oriente, dove pone le basi della world music, per poi tornare in Italia. Il paese dell'infanzia, ostile e irriconoscente, lo abbandonerà a se stesso, svilendo il valore della sua musica, chiamandolo a suonare durante piccole sagre paesane di fronte a un pubblico annoiato e meschino. Maresco dimostra, con il distacco discreto di un regista che ama il suo soggetto ma vuole anche metterne a nudo le debolezze, come l'arte abbia bisogno di spazi e riconoscimenti per poter vivere senza restrizioni di libertà. In un paese come il nostro, dove la parola 'cultura' vive agli angoli della quotidianità, uno come Tony Scott finisce per vivere in strada, in un permanente nomadismo disperato, ingloriosa metafora dei nostri tempi oscuri. C'è qualcosa che non va se un artista come lui viene sepolto in una tomba in prestito. Tempo qualche anno e dovrà andarsene anche da lì per lasciare il posto a qualcun altro. Fonte: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=63586 |
Probabilmente il merito di questo incontro tra Keith Jarrett e Charlie Haden è del regista Reto Cardiff che durante le riprese del film documentario Rambling Boy incentrato su Charlie Haden invitò il pianista a partecipare alle riprese. Cosi' nel 2007 i due si ritrovarono dopo quasi 30 anni dalla comune militanza nel famoso quartetto "americano" di Jarrett che dal 1974 al 1977 vide i due musicisti fianco a fianco con il supporto di Paul Motian e Dewey Redman in tre famosi album per Impulse!. Qualche mese dopo Jarrett invitò Haden a casa sua e, inevitabilmente, approfittando dello studio di registrazione domestico del pianista, il Cavelight Studio, i due finirono per registrare una serie di composizioni tratte dal grande songbook della canzone americana. Continua la lettura su:
Track Listing: My Old Flame; My Ship; 'Round Midnight; Dance of the Infidels; It Might As Well Be Spring; Everything Happens to Me; Where Can I Go Without You; Every Time We Say Goodbye; Goodbye. Personnel: Keith Jarrett: piano; Charlie Haden: double bass. |
Ci voleva un finanziere di stanza a Hong Kong, appassionato di musica, all'anagrafe Matthew Ruddick, per raccogliere in 670 pagine (Arcana euro 35) duecento interviste sul più maledetto dei musicisti, Chet Baker. Una biografia monumentale (titolo: Funny Valentine) a 26 anni dalla morte, dedicata all'uomo che spruzzò di bianco la musica nera, contraendo la malattia di Charlie Parker. Come Bird, anche Baker fu tossico. Per tutta la vita (lui, più bello di James Dean e Marlon Brando) fece a pezzi cuori femminili. Gli spacciatori gli ruppero i denti. Da allora suonò a fatica la sua tromba. Ma quando iniziò a cantare (il periodo cosiddetto "minore", con lunghi soggiorni e concerti in Italia, dove venne arrestato) si capi' di cosa sono fatti gli angeli. Piero Melati, Musica da Leggere, Il Venerdi' de La Repubblica Non voglio dispiacere il buon Piero Melati ma questa, più che una recensione, è una sequenza impressionante di banalità un tanto al chilo e di luoghi comuni, buoni tuttalpiù per irretire o incuriosire il lettore distratto, preferibilmente a digiuno dell'argomento e magari più morbosamente attratto dal triangolo sesso-droga-jazz. Per chi ha anche solo una passabile conoscenza di Chet, della sua musica e della sua vita sarebbe stato utile piuttosto capire se i 35 euro sono da spendere o meno e se le 200 interviste provengono da Sorrisi e Canzoni o da giornalisti impressionati più dalla musica che dalla bellezza di Baker. Il fatto poi che l'autore sia un finanziere di stanza ad Hong Kong indurrebbe a sospetti sull'ennesimo falso in salsa cinese. Per fortuna, a smentire dubbi e a recensire come si deve il libro, ci pensa Chris May su AllAboutJazz |
Post n°3555 pubblicato il 25 Giugno 2014 da pierrde
Riccardo Facchi sul portale Tracce di Jazz inizia una analisi approfondita su L'influenza afro-cubana ed il "latin-tinge" nel jazz. Un lavoro accurato e sostanzioso distribuito in più puntate. Ecco l'incipt: Il jazz è una musica che nel corso della sua evoluzione si è in qualche modo “globalizzata” mostrando una peculiare capacità di espandersi, fagocitando ed elaborando materiali musicali dalle più varie provenienze, modificandosi progressivamente anche in funzione del luogo geografico in cui si è venuto a sviluppare, inglobando, almeno in parte, le relative tradizioni culturali, caratterizzandosi quindi per una interessante forma di sincretismo musicale. Tutto ciò utilizzando come principale collante, o fattore comune, il “tool” dell’improvvisazione. Questa capacità del jazz, che potremmo definire integrativa, o inclusiva, di assimilare una così vasta messe di materiale, si spiega probabilmente con certe caratteristiche intrinseche del luogo nel quale è nato, ossia quell’America che, nei secoli addietro, si è rivelata luogo storico di incontro di etnie e culture molto diverse tra loro, arrivando ad elaborare linguaggi innovativi, non solo musicali, in una modalità che ha fatto da modello utilizzabile per successivi cicli culturali. Il testo completo su : |
Post n°3554 pubblicato il 24 Giugno 2014 da pierrde
Il numero di agosto del magazine americano, in edicola da metà luglio, contiene i risultato dell'annuale consultazione tra i critici musicali. Ecco i risultati, dai quali si evince il grande successo di Cecile McLorin Salvant, vincitrice in quattro categorie: miglior album, miglior voce femminile, miglior rising star e miglior cantante tra le promesse. 62nd ANNUAL DOWNBEAT CRITICS POLL WINNERS Hall of Fame: Jim Hall RISING STAR WINNERS Rising Star–Jazz Artist: Cécile McLorin Salvant
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Post n°3553 pubblicato il 23 Giugno 2014 da pierrde
In 140 caratteri tre affermazioni quantomeno discutibili. Ecco perchè: La notizia è ormai nota: Dario Franceschini, ministro per i Beni e delle attività Culturali ieri ha firmato il decreto per l’aggiornamento delle tariffe del cosiddetto “equo compenso per copia privata” ovvero dell’importo che ogni consumatore italiano deve pagare quando acquista un cd, un dvd, una pendrive usb, un pc, un tablet o uno smartphone, sul presupposto che potrebbe usarlo per registrarci una copia di una canzone o di un film, legittimamente acquistati. Da domani, pagheremo, tra l’altro, quasi 5 euro all’acquisto di uno smartphone o di un tablet da 32 Gb, 5,20 per un PC, 0,36 centesimi di euro all’acquisto di una pendrive usb da 4 Gb e tanto di più se maggiore ne sarà la capacità di memorizzazione. Sono oltre cento milioni di euro all’anno che usciranno dalle nostre tasche e andranno ad ingrassare i conti dell’industria dei contenuti, degli autori – specie di quelli più ricchi giacché il riparto degli importi raccolti avviene secondo oscuri criteri che premiano pochi e sacrificano molti – e, soprattutto, della Siae che trattiene una cospicua percentuale, da diversi milioni di euro, a titolo di “costi di gestione”. Continua a leggere qui: |
Post n°3552 pubblicato il 23 Giugno 2014 da pierrde
Nella prima parte del mese si è svolto il festival di Moers, una delle rassegne ormai storiche del jazz d'avanguardia, situato nel nord della Germania abbastanza vicino al confine con l'Olanda. Solamente una volta sono riuscito a parteciparvi, nel lontano 1979, ma ne ho un ricordo vivido sia per la partecipazione della cittadina sia per la bellezza dei parchi dove si svolgeva il festival. Allora, tra le altre formazioni, ricordo un fenomenale concerto di Sun Ra e della Arkestra. Anche quest'anno c'erano i superstiti della gloriosa formazione, unitamente a molti altri nomi interessanti. La televisione franco tedesca Artè, tramite il sito web, mette a disposizione la registrazione video di molti set: tra gli altri, oltre all'Arkestra, segnalo Julia Hulsmann, Joey Baron, Arto Lindsday e Paal Nilssen Love, The Gravity Band + Fred Frith e l'Orchestre National de Jazz. Trovate tutto, e molto altro ancora, cliccando qui: http://concert.arte.tv/fr/videos/jazz |
lunedì 23 giugno 2014 20.30 Locandina IL CARTELLONE AUDITORIUM – PARCO DELLA MUSICA DI ROMA Festival del sassofono
Roberto Gatto Quartet Roberto Gatto, batteria;
Stefano Di Battista Quartet “Parker’s Mood” Stefano Di Battista, sax;
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Post n°3550 pubblicato il 22 Giugno 2014 da pierrde
Fans dei Rolling spero perdonerete un pò di ironia sui vostri beniamini: il fatto è che io ascoltavo Lady Jane e Ruby Tuesday quando ero adolescente e mi risulta difficile immaginare che nella loro terza età possano ancora suscitare emozioni. Bisogna essere un nostalgico incallito o uno sprovveduto, musicalmente parlando, per riuscire a trovare credibili le facce rugose e consumate da troppi eccessi e troppi soldi e le stesse inevitabili canzoni di sempre. Il fatto è che buona parte del rock non ha fantasia: la Satisfaction che si ascolterà stasera suonerà ne più ne meno come quella di 50 anni fa. Mortalmente noioso. Stai sereno Mick, la piazza è piena ed il conto in banca rinpinguato adeguatamente per le tue modeste esigenze di rock star.
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Post n°3549 pubblicato il 22 Giugno 2014 da pierrde
Leggi e ascolta il meglio della musica jazz su: http://www.traccedijazz.it/ Grazie ad Alberto Arienti Orsenigo per il messaggio pubblicitario taroccato |
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