Creato da pierrde il 17/12/2005

Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

IL JAZZ SU RADIOTRE

 

martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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JAZZ & WINE OF PEACE

Pipe Dream

violoncello, voce, Hank Roberts

pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig

trombone, Filippo Vignato

vibrafono, Pasquale Mirra

batteria, Zeno De Rossi

Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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JAZZ DAY BY DAY

 

 

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I PODCAST DELLA RAI

Dall'immenso archivio di Radiotre č possibile scaricare i podcast di alcune trasmissioni particolarmente interessanti per gli appassionati di musica nero-americana. On line le puntate del Dottor Djembč di David Riondino e Stefano Bollani. Da poco č possibile anche scaricare le puntate di Battiti, la trasmissione notturna dedicata al jazz , alle musiche nere e a quelle colte. Il tutto cliccando  qui
 

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Messaggi di Settembre 2014

LOCALI EQUIVOCI

Post n°3693 pubblicato il 30 Settembre 2014 da pierrde

Ecco qua, Panorama ci riprova: dopo i 10 concerti imperdibili dell'estate Gabriele Antonucci ci propone i 10 concerti imperdibili dell'inverno, svelandoci tra l'altro che "i club sono stati per anni le palestre dove si sono formati i più grandi jazzisti del passato, locali spesso equivoci, ma nei quali si respirava un senso di libertà che si rifletteva nelle infuocate jam session che si prolungavano fino alle prime ore del mattino."

Perbacco, ho frequentato e frequento tutt'ora locali equivoci e nessuno me lo aveva mai detto. Provato da una simile rivelazione non mi rimane che postarvi il link per scoprire questi benedetti 10 concerti. Da parte mia, e senza entrare nei dettagli, direi che almeno tre sono veramente "imperdibili", per gli altri, fatti salvi i gusti personali, è meglio cercare altrove... 

http://www.panorama.it/musica/i-10-concerti-jazz-anno-non-perdere/

 
 
 

MUSICA DEGENERATA

Post n°3692 pubblicato il 29 Settembre 2014 da pierrde

«Una signora francese titolata offriva frequenti party a cui invitava persone con opposti percorsi esistenziali. Una sera chiese di suonare a una strana accoppiata: Andres Segovia e Django Reinhardt. Segovia arrivò in orario e impressionò gli ospiti con il suo repertorio. Django arrivò tre ore dopo senza chitarra. Sorrideva; pensava che tutto fosse bello. Non sapeva mai l’ora, non portava l’orologio. Andava con il sole e la luna. Segovia non volle prestare a Django la sua chitarra, così qualcuno dei presenti riuscì a trovargli una vecchia carcassa con il ponte incrinato. Segovia rimase affascinato da suoni che riusciva a produrre quella vecchia carcassa. «Dove posso trovare una musica come questa?» chiese. «Da nessuna parte, – rise Django – l’ho improvvisata io adesso»

Zwerin M., Musica degenerata. Il jazz sotto il nazismo, Edt, Torino 1993, pp. 126-127.

Painting by Erin Lee

 
 
 

CHEEK TO CHEEK

Post n°3691 pubblicato il 29 Settembre 2014 da pierrde

Cosa dire della strana coppia Tony Bennett e Lady Gaga, che da settimane fa parlare stampa e web ed impazza in ogni dove e che secondo la maggior parte dei media, notoriamente esperti in vicende jazzistiche, hanno pubblicato un "formidabile" Cheek to Cheek. (...)

L'album è una sequenza di classici, brani portati al successo da Ella, Nat King Cole, Sinatra, Duke Ellington, arrangiati con buon gusto e suonati da una orchestra in forma smagliante (tra gli altri Joe Lovano e Paul Horn, appena scomparso). A mio modo di vedere il disco deve scontare un coefficiente di difficoltà troppo alto, perlomeno per tenere sveglio e in tensione un appassionato di lunga data: il tasso di imprevedibilità è infatti simile ad una trasmissione di Bruno Vespa, plastico incluso.

Bisogna però riconoscere i meriti: Bennett, che ha giusto 60 anni più di Lady Gaga, non ha più l'estensione e la forza dei tempi migliori ma è pur sempre un grande crooner e la classe e la tecnica sono intatte. E la diva ?

Leggi l'articolo intero su : 

http://www.traccedijazz.it/index.php/primo-piano/32-editoriali/678-cheek-to-cheek-tony-gaga-e-lady-bennett

 
 
 

28 SETTEMBRE 1991: CIAO MILES

Post n°3690 pubblicato il 28 Settembre 2014 da pierrde

Massimo Barbiero (batteria e percussioni)

«La parte di Davis che su di me ha avuto una grande influenza, e che forse non è stato ancora compresa, è stata la sua necessità interiore a cambiare, rimettere continuamente in discussione la propria musica. In ogni fase della sua carriera ha gettato via tutto quanto fatto prima, spiazzando critica, musicisti e forse anche sé stesso. Questo credo sia il jazz, questo è ancora oggi Miles Davis per chi sa comprenderlo: la necessità di cambiare, crescere evolversi; cercare, perdersi dentro sé stessi e il proprio "sentire"»

Fonte: 

http://www.jazzit.it/evento.html?ID_evento=1838

 
 
 

KENNY E STAN: LA MUSICA E LE PAROLE

Post n°3689 pubblicato il 28 Settembre 2014 da pierrde

In First song il soffio vitale diventa suono dolcissimo, pastoso e caldo che si inumidisce di pianto e malinconia. Tutte le parole non dette, non conosciute, non pensate, non ascoltate o agite, come una sorgente purissima e cristallina “ignota”, sgorgano e prendono forma nel respiro dentro il sax tenore. Getz non dà solo forma ai suoni, dà la sensazione e il significato delle proprie parole al suono. Il non-detto diventa suono e l’impossibile diventa possibile: il suono torna ad essere parola nuda che parla il linguaggio più intimo.

Parole spoglie, emozionate, snelle, punteggiate di silenzi, scolpite tra le pause, respirano, rompono muri, conquistano spazio e abbracciano una “gamma di emozioni” capace di esprimere l’intera esperienza esistenziale di ogni uomo. Quello di Stan Getz è il sax più “parlante” della storia del jazz. “First Song” (di Charlie Haden, scritta per la moglie Ruth) interpretata da Stan Getz e Kenny Barron sfiora la trascendenza, confina con il sublime e raggiunge la perfezione assoluta. Anche fosse l’unica loro registrazione, per quel che mi riguarda, sarebbe sul podio del jazz.

La introduce umilmente Kenny Barron con i tratti di un’invocazione, con un tocco gentile, sensibile, rispettoso e “stabile” che risuona dolorosamente su ogni tasto del pianoforte e tu sai già che andrai a soffrire, ma ormai è tardi sei bell’e catturata nelle maglie dell’arpeggio iniziale che cede quasi subito la “parola” a Getz: “una musica”, come direbbe Baudelaire, che “scava il cielo”. Note giuste al momento giusto, intense sfumature, insospettabili giustapposizioni drammatiche, l’ eloquenza espressiva di chi è maestro di spazio e silenzio, tono e colore, suono e parole, parole che con emozione d’amore parlano: amore, amore, amore perduto, amore che c’è, amore finito, amore ritrovato, amore “ricercato”…

”Come se” questa parola gli fosse stata “proibita” da un tempo infinito, “come se” non avesse potuto dirla per tanto tempo ora la ripete in modo quasi mistico come per liberarla e trattenerla, assaporarla e “averla”. La frenesia si è “posata”, Getz approda ad un tempo leggermente ritardato, indugia sulla melodia come sussurrasse parole sospirate, appassionate, parole urgenti, parole coraggiose che non hanno più vincoli, non hanno più riserve. Un suono che si svincola da ogni bagno, da ogni palcoscenico, da ogni pubblico, da qualsiasi luogo esterno, per rifugiarsi in quello interno, un suono parola che si slega dall’ansia, dal panico, dalla violenza e… più si allontana dal caos turbolento della sua vita più si avvicina e si avvinghia intimamente al suo sè interno.

Sparito il “come se” è “sincero con la musica”, come direbbe W. Marsalis, vuole tirare fuori da dentro se stesso, anche scarnificandosi, ogni pulviscolo di emozione, di sentimento, di verità. Ammette ogni cosa, denuda il suo cuore, lo squarta e lo traduce in una sonorità “qui e ora”, uno spazio/tempo non più separati ma uniti in una dimensione siderale che si fa davvero eterna. Non ci sono note “alla ricerca di”, la messa a fuoco è nitida: c’è una coincidenza sonora piena che risuona come un’eco e sembra provenire dalle viscere del mondo.

Qui è Barron la “cornice”, una cornice pertinente, prestigiosa e accogliente, una cornice sana, “stabile” e rispondente, una cornice che “sa tenere”, una “cornice” dove Stan sa ri-trovarsi. Una cornice che sa leggere dentro Stan e anche dentro di noi portandoci oltre quella linea delicata, raramente valicabile, tra l’amore e l’angoscia, tra silenzio ed empatia , tra la vita e la morte. C’è una meravigliosa corrente tra Kenny e Stan, tanto intensa da essere quasi “visibile”, tanto rara da sembrare una magia, una comunicazione quasi “telepatica” che non ha bisogno di altri strumenti se non due animi ricettivi: un sontuoso equilibrio li accomuna, un sentire insieme, la consapevolezza di emozioni e pensieri dell’altro, la capacità di assumerli e riverberarli empaticamente.

Stan è il perno emotivo del brano che suona come un epitaffio, in tonalità minore, fin dalle prime note: un dolore si fa strada tra solitudini e pezzi di vetro, menzogne e sangue versato, silenzi impauriti e asfalto bagnato, odore pungente di orina e alcol, letti disfatti e siringhe, passi strascicati e tombini fumanti vapore in una notte che sempre stata notte mentre, inarrestabile, scava un solco, un letto per il fiume di lacrime.

Barron è magnifico nel tessere una trama di sinuosi arpeggi consolatori e rassicuranti, una che trama serpeggia premurosa, tra una sonorità e l’altra, come una madre, ma infaticabile, imponente e autorevole come un padre. E’ capace di assumere gli stimoli musicali di Stan di rifletterli all’interno della propria melodia per poi reintegrarli in una nuova lunghezza d’onda, con una nuova luce, un’accennata alba che, come un pallido raggio di luce, rimanda a Getz senza “tradire mai” la tristezza di fondo, l’atmosfera emotiva che li fa complici commossi e silenziosi. Barron “sa tenere” magnificamente anche quando la voce del sax si fa quasi stridula per la disperazione, non lo lascia, non lo lascia mai cadere, non lo lascia mai solo. Neanche lontamente può definirsi un accompagnamento il suo, se non in un unico e nobilissimo senso riservato a pochi: Kenny è la persona che vorresti avere al fianco quando la vita ti sta abbandonando. Ed è proprio quello che sta accadendo a Stan. Dopo cinque minuti è Getz a lasciare spazio a Barron. Il suo assolo esemplare è un’altra creazione.

Egli è vicino, affine, in sintonia , ma anche diverso, capace di distinguersi e dà vita alla sua interpretazione sulla tastiera con gusto, classe, generosità che gli sono propri e porta avanti il mondo sonoro di Stan con sobrietà e commozione restando sempre “dentro” il pezzo, senza allontanarsi dal testamento “silenzioso” che Stan sta scrivendo, dalla pioggia di rimpianti che tra le note si srotolano, dai sussulti, dai singhiozzi, dalle implorazioni che il fiato umido rovescia fuori, dalla sacralità di quegli ultimi passi, dal dolore infinito che sfonda i muri e varca la soglia del cuore.

Barron mantiene l’atmosfera perfetta, l’ambiente emotivo immutato e riconsegna a Getz il suo discorso musicale arricchito delle proprie parole sonore, delicate, affettuose, vicine, consapevoli, umane che sono anche un terreno fecondo, un luogo propizio, un arco teso da dove Stan può lanciare il suo animo verso le stelle. Quando Getz rientra, dal sax esce letteralmente un urlo di dolore misto ad un torrente di lacrime, un urlo memorabile che solo Munch è riuscito a dipingere, un urlo “penetrante” che strazia l’anima, pugnala il ventre, scatena il pianto.

Un urlo disperato di chi sa che la vita lo sta lasciando, un urlo così lacerante che rimanda a una dimensione universale, un elemento che accomuna, un tocco di interezza fertile, di conclusione trasformativa, una commozione simile al perdono… E’ “come se” un maschile e un femminile finalmente si fondessero, anche se nell’ultimo istante, con l’ultimo abbraccio, con l’ultimo bacio tra le ultime parole bagnate di lacrime quelle che si dicono quando non c’è più tempo o forse è il grido di un uomo che ritrova la vita nel momento in cui “lei” lo lascia, o l’urlo di un uomo che abbraccia un sè nudo, impaurito e disperato e all’improvviso scopre una verità appresa troppo tardi mentre “si vede” nei suoi occhi colmi di lacrime di se stesso.

Nei quattro anni di collaborazione con Barron Getz si disintossica; egli definisce Barron “la sua metà musicale”, ma Kenny rappresenta anche una “metà” terapeutica che stoppa la distruzione e inserisce la ricostruzione; purtroppo non c’è tempo, un “silenzioso” tumore la fegato, l’organo che “distilla”e “seleziona” le tossine trasformandole in sostanze tollerabili per il sangue, si porterà via Stan due mesi dopo questa incisione, nel 1991… nonostante egli ripetesse “I’m too evil to die”.

Un testamento musicale questo, un’eredità immortale: “Sono fiero di essere un jazzista e per lo stesso motivo voglio che i miei figli e figli dei miei figli siano fieri di me” dice. In “First song” chiede mille volte perdono Stan, fa ammenda, vuole purificarsi, allontanare i demoni e forse la malattia… C’è un elemento quasi religioso in una cascata di note suonate sottovoce come una preghiera, come direbbe Proust “le opere, come nei pozzi cartesiani, salgono più alte quanto più a fondo la sofferenza ha scavato” e non si finisce mai di ascoltarle proprio perchè ti stanno dicendo “addio”.

Non c’è più separazione tra cornice e contenuto poichè il senso produce la forma e la forma stessa è produttrice di senso, la musicalità di Getz è qui è puro lirismo, poesia suonata e come scrive Kafka “ogni periodo, ogni parola, se mi è lecito, ogni musica è collegata con l’”angoscia” (L, 826). Il manichino, l’esteriorità del cerimoniale vuoto, anaffettivo, inerte lascia il posto ad un profondo senso del sacro volto a reintegrare, ricostituire, riparare con onde sonore emozionanti ed emozionate il sè più intimo, autentico e onesto che Stan possa ritrovare. Note altissime che non riuscivo a smettere d’ascoltare e ogni volta che la musica finiva la riascoltavo ancora e ancora, come se non avessi capito fino in fondo, come se non sapessi cogliere la passione travolgente nelle note segrete, come se anche io non fossi capace di dire un dolore indicibile.

O forse era solo un modo infantile per ritardare “l’altra” fine… quella delle sue ceneri consegnate alla brezza sull’Oceano Pacifico. La musica è un mondo, ma in questo pezzo è l’animo di Getz che dà forma al mondo. Ci sono musiche che penetrano nel midollo, si cementano nelle ossa, spalancano stanze ignote , antiche, silenziose, lontane… Scorrono fluide come sangue di vita, di ferite, di nostalgie, di dolore…percorrono tracciati di pensieri non ancora pensati, s’impastano ai colori, ai brividi, al calore della pelle…Risuonano e battono col tuo cuore, sgorgano come lacrime, respirano con te. First Song è una di quelle: “la musica esprime ciò che non può essere detto e su cui è impossibile rimanere in silenzio” V. Hugo.

Tiziana Campodoni

http://blue-moon.comunita.unita.it/2013/10/04/stan/

 
 
 

I TRE FILOSOFI

Post n°3688 pubblicato il 27 Settembre 2014 da pierrde

 
 
 

I TROMBETTISTI ITALIANI

Post n°3687 pubblicato il 27 Settembre 2014 da pierrde

Down Beat si occupa sempre più spesso dei musicisti italiani, il più delle volte per la recensione di album, ma, e oramai è una abitudine consolidata, vengono commentati anche festival italiani e/o partecipazioni ad importanti eventi.

Recentemente il magazine americano ha parlato di Paolo Fresu e di Enrico Rava. Ecco gli incipt degli articoli, rimandando gli interessati ai link per la lettura completa.

Once upon a time in Sardinia, a young man with a horn had a vision: Take your music to the world, but also invite the world to experience music in your homeland.

For half his life, trumpeter Paolo Fresu has ingeniously cultivated that concept into a vivid, enduring reality: This year, his Time In Jazz Festival brought worldwide jazz to Sardinia—a Mediterranean epicenter for millennia—from Aug. 9–16. (Fred Bouchard)

http://downbeat.com/default.asp?sect=news&subsect=news_detail&nid=2513

Rava’s late-night/early morning set, with his project Tribe—featuring the powerhouse trombonist Gianluca Petrella—was something of a micro-festival in itself. The set nimbly incorporated romantic jazz bearings, segments of free improvisation, Italian folkloric sonorities, post-bop and the Ornette Coleman-esque jazz shapes of the brisk workout “Cornettology.” Rava’s Tribe delivered a musical suite that managed to be forward-leaning and backward-glancing, sentimental and rebellious, all joined in a coherent package. The primary key to the artistic coherence: Rava’s unique musical voice, assured while still evolving, solid and fluid. (Josef Woodard)

http://downbeat.com/default.asp?sect=news&subsect=news_detail&nid=2488

 
 
 

ULTIME DA SATURNO

Post n°3686 pubblicato il 26 Settembre 2014 da pierrde

 

Le etichette Strut Records e Art Yard festeggiano congiuntamente il centenario della nascita di Sun Ra producendo In The Orbit of Ra, doppio album in cd e vinile che raccoglie una ventina di brani scelti da Marshall Allen attingendo ai nastri originali di varie epoche, una sua estesa intervista e una galleria di rare immagini firmata Val Wilmer. Ulteriori riflessioni di Allen e di alcuni attuali compagni nell'Arkestra sono raccolte in un video pubblicato su YouTube. (Fonte: Hibou Anemone Bear)

 

Nel mentre, sul blog The Evils Monkey's Records compare la prima parte di una discografia ragionata di Sun Ra, corredata dalle foto di alcune delle copertine discografiche più belle della sterminata produzione del nostro.

 

Ultima annotazione saturniana: cessa gli aggiornamenti il blog Adventure Equation, totalmente dedicato a Sun Ra e alla sua Arkestra, rimane consutabile in linea tutta la produzione di articoli fino ad oggi.

 

Ecco tutti i link:

 

http://gosomewherethere.blogspot.com/

https://www.facebook.com/ArtYardRecords

http://www.strut-records.com/deep-into-the-world-of-sun-ra

http://theevilmonkeysrecords.blogspot.it/2014/09/sun-ra-appunti-per-una-discografia.html?spref=fb

 
 
 

OUT TO LUNCH

Post n°3685 pubblicato il 26 Settembre 2014 da pierrde

CARTA STAMPATA a cura di Gian Mario Maletto

Da Musica Jazz Novembre 1968

Jazz Magazine (...) La rivista parigina (...) mette sulla poltrona delle interviste Bobby Hutcherson, il superlativo vibrafonista che pare destinato a raccogliere degnamente l'eredità di Milt Jackson. (...) Tra le notizie autobiografiche che emergono dall'intervista, questa riferentesi a un disco molto bello, "Out To Lunch" di Eric Dolphy. " Di solito - ricorda Hutcherson - l'incisione di un microsolco Blue Note dura da quattro a cinque ore. Ma quello fu registrato in due ore e mezza. Alla fine di ogni brano, ne eravamo tutti così contenti che non pensavamo altro che ad incidere il successivo. Ricordo che Eric, Freddy Hubbard, Richard Davis, Tony Williams e io ridevamo come matti. Matti di gioia".

Fonte: Musica Jazz estratti astratti, Facebook

 
 
 

STOP AL NUOVO ALBUM: DIANA E' AMMALATA

Post n°3684 pubblicato il 25 Settembre 2014 da pierrde

A causa di complicanzioni a seguito di una polmonite, la pianista e cantante Diana Krall è stata costretta a rimandare l'uscita del nuovo album, Wallflower, e anche la relativa tournè negli Stati Uniti.

Il nuovo album in studio Wallflower doveva uscire in Nord America il 21 ottobre ed il tour statunitense era in programma da Phoenix, in Arizona, il 7 novembre. La nuova data fissata per Wallflower dalla Verve Records è ora fissato per il 3 febbraio 2015 . Secondo un comunicato stampa, "le condizioni di Diana sono diventate molto più croniche di quanto previsto, e lei non è in grado di viaggiare o di impegnarsi in qualsiasi attività promozionale per almeno altre sei settimane." Nuove date per il "Wallflower World Tour" saranno annunciate nelle prossime settimane. 

 
 
 

CARTE BLANCHE A MICHEL PORTAL

Post n°3683 pubblicato il 25 Settembre 2014 da pierrde

I

Il grande musicista francese Michel Portal inaugura Carte Blanche, nuova rassegna di spettacoli e performance inedite tra arte, musica e teatro, in collaborazione con il Teatro Fondamenta Nuove.

Venerdì 26 settembre 2014 
ore 16.00
 Palazzo Grassi
MICHEL PORTAL - Performance musicale 
seguita da un incontro con il musicologo Veniero Rizzardi
__________

Sabato 27 settembre 2014
ore 21.00 
Teatrino di Palazzo Grassi
MICHEL PORTAL & BENOIT DELBECQ in concerto

Michel Portal | clarinetto, sax soprano, bandoneon
Benoit Delbecq | pianoforte, elettronica


Palazzo Grassi – Punta della Dogana – Pinault Collection, in collaborazione con il Teatro Fondamenta Nuove di Venezia, ha invitato Michel Portal, musicista tra i più significativi e influenti della musica europea degli ultimi cinquant’anni, a immaginare e costruire un dialogo tra la musica, le opere d’arte e i luoghi del museo.

Venerdì 26 e sabato 27 settembre 2014, Michel Portal inaugurerà “Carte Blanche”, nuova rassegna nata dalla collaborazione con il Teatro Fondamenta Nuove, con la quale viene offerta totale libertà a un artista - musicista, attore, danzatore - di utilizzare a propria scelta gli spazi museali di Palazzo Grassi, di Punta della Dogana o del Teatrino per dar vita a spettacoli inediti, performance uniche tra arte, musica e teatro. 

"Carte blanche a … Michel Portal" offrirà al musicista francese l’opportunità di far risuonare gli strumenti di cui è eccelso virtuoso – i clarinetti, il sax soprano, il bandoneon – a Palazzo Grassi e al Teatrino nel corso di due diversi appuntamenti: 

Venerdì 26 settembre, alle ore 16.00, a Palazzo Grassi: Michel Portal realizzerà una particolarissima passeggiata in mostra, conducendo con la sua musica il pubblico all’interno dello spazio, soffermandosi di fronte ad alcune delle opere esposte. Musica e arte, relazioni inedite da cogliere in un percorso emozionante che terminerà con un breveincontro informale, condotto dal musicologo Veniero Rizzardi, in cui il musicista condividerà con il pubblico e i visitatori alcuni momenti della sua espressività e della sua straordinaria vita artistica.

Sabato 27 settembre, alle 21.00, al Teatrino di Palazzo Grassi l’incontro avverrà con un altro musicista: Michel Portal si esibirà in duo con il pianista Benoit Delbecq, tra i più originali jazzisti francesi, che si esprime anche utilizzando strumenti elettronici. Un duetto all’insegna dell’incrocio tra mondi sonori, quello del jazz, della libera improvvisazione, delle suggestioni folkloriche, ma anche quello della musica contemporanea – lungamente frequentata da Portal – nello spazio restaurato da Tadao Ando, in grado di suscitare le emozioni più pure.
Una avvertenza ai possibili interessati al concerto di sabato sera: c'è già il tutto esaurito ed una lunga lista d'attesa....
 
 
 

ERIC REVIS - IN MEMORY OF THINGS YET SEEN (CLEAN FEED) 2014

Post n°3682 pubblicato il 24 Settembre 2014 da pierrde
 

Terzo album da leader per il bassista Eric Revis, che per l'occasione si avvale di un quartetto composto dal batterista Chad Taylor, da Bill McHenry al sax tenore e Darius Jones al sax contralto con cui compone un gruppo omogeneo e ben assortito dove la sezione ritmica è perno e fulcro per le tirate free-boppeggianti e dalle tonalità acidule dei sassofoni.

LEGGI LA RECENSIONE SU: 

http://www.traccedijazz.it/index.php/recensioni/26-recensioni-discografiche/669-eric-revis-in-memory-of-things-yet-seen

 
 
 

NO COMMENT

Post n°3681 pubblicato il 24 Settembre 2014 da pierrde

Secondo uno studio condotto da alcuni ricercatori della scozzese Heriot-Watt University e riportato da The Guardian, i fan della musica metal avrebbero personalità molto simili agli amanti della classica. Per lo studio sono state intervistate 36.000 persone di sei differenti nazionalità e i risultati hanno dimostrato che ci sono molte più similitudini tra amanti dello stesso genere musicale anche di diverse nazioni, piuttosto che tra connazionali che ascoltano generi differenti.

E non solo, perchè la ricerca ha evidenziato che sia chi ascolta metal che chi ascolta classica è tendenzialmente creativo, gentile e sicuro di sè. Secondo i ricercatori, il motivo potrebbe risiedere nel fatto che entrambi i generi hanno una componente spirituale e sono molto drammatici.

Fonte:http://metalitalia.com/articolo/studio-gli-amanti-di-metal-e-musica-classica-hanno-personalita-simili/

http://www.theguardian.com/music/2008/sep/08/classical.metal.fans.study

 
 
 

EQUINOX

Post n°3680 pubblicato il 23 Settembre 2014 da pierrde

Oggi è il compleanno di John Coltrane; avrebbe compiuto 88 anni (23 settembre 1926, Hamlet, Carolina del nord), e contemporaneamente ricorre l'equinozio d'autunno. 

Una coincidenza, visto che Equinox è una composizione di Trane, un blues in chiave minore con una introduzione latineggiante. Ecco cosa scrive Lewis Porter nel suo libro  John Coltrane, his life and his music a proposito del brano:

The relentless underpinning of the piano and bass, contrasting with the leisurely, uncrowded melody, creates an ominous, primeval atmosphere…. Over this background Coltrane invents an astounding improvisation that builds and builds, then winds down again before Tyner solos. He starts simply, poignantly, building to faster and faster notes with each chorus, and to higher and higher notes. Each of his eight choruses (after the two theme choruses) has its own characteristic motive – furthermore, there is a logical development of motives from one chorus to the next…. Coltrane is sounding like a preacher, building to a higher and higher pitch (literally) as he exhorts his audience.

 
 
 

J.D. ALLEN - BLOOM

Post n°3679 pubblicato il 23 Settembre 2014 da pierrde

Dal sito della IRD, International Records Distribution riprendo queste note allegate alla notizia dell'uscita del nuovo album di JD Allen.

Posto anche un breve ma quanto mai significativo video sempre tratto da Bloom. Il numero di Musica Jazz di settembre riporta in copertina la foto del musicista e una corposa intervista nel suo interno. Adesso spero che anche gli organizzatori di eventi e i direttori artistici dei festival si accorgano che c'è molto altro oltre ai soliti noti.

Jd Allen esce con un novo disco che può solo confermare il suo talento e la sua reputazione di uno dei più eccellenti e audaci giovani artisti del momento. Un album dove Allen è stato capace di combinare l’elementare malinconia del blues, la solennità del gospel e la più recente gioia derivante dal processo creativo.

Allen, che ha iniziato a suonare il sax tenore come professionista all’età di quindici anni nella grande Detroit, compone passaggi musicali alquanto brevi, ma sapientemente allacciati l’uno all’altro e accompagnati dal suo eccellente strumento. Con l’aiuto del suo quartetto (il pianista Orrin Evans, il contrabbassista Alexander Claffy e il batterista Jonathan Barber), Jd Allen è capace di accompagnarci in un intenso viaggio personale attraverso i più vari paesaggi del blues per mostrarceli come lui stesso li percepisce, con quello stile che gli è valso l’approvazione della critica e lo ha consacrato nell’Olimpo del jazz internazionale.

Lo stesso Allen descrive la musica jazz come “una via d’uscita” e “il biglietto di un viaggio verso qualche luogo”. Dall’inizio della sua carriera questo grande artista non solo è sempre stato attento alla tradizione e ai grandi maestri (Coleman Hawkins, Sergej Prokof’ev, Ornette e moti altri), ma ha anche guardato con interesse alle molte contaminazioni che gli si sono presentate nel corso della sua brillante carriera: “il mondo è diventato territorio di ricerca, il mo ambito di riferimento”. Nel processo compositivo Allen segue senza indugio la sua grande spiritualità e scrive di ciò in cui crede; questo è il fil rouge a cui egli fa seguire le altre variabili della composizione, come ritmo, armonia e melodia.

https://soundcloud.com/highnote-savant-records/car-car-the-blues-from-jd

 
 
 
 

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