Creato da pierrde il 17/12/2005

Mondo Jazz

Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.

IL JAZZ SU RADIOTRE

 

martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30

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JAZZ & WINE OF PEACE

Pipe Dream

violoncello, voce, Hank Roberts

pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig

trombone, Filippo Vignato

vibrafono, Pasquale Mirra

batteria, Zeno De Rossi

Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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JAZZ DAY BY DAY

 

 

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I PODCAST DELLA RAI

Dall'immenso archivio di Radiotre č possibile scaricare i podcast di alcune trasmissioni particolarmente interessanti per gli appassionati di musica nero-americana. On line le puntate del Dottor Djembč di David Riondino e Stefano Bollani. Da poco č possibile anche scaricare le puntate di Battiti, la trasmissione notturna dedicata al jazz , alle musiche nere e a quelle colte. Il tutto cliccando  qui
 

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Messaggi di Marzo 2015

ANDREA ROTILI VINCE IL JAZZ WORLD PHOTO 2015

Post n°3942 pubblicato il 31 Marzo 2015 da pierrde

Un’immagine. Una sola fotografia, oltretutto in bianco e nero, porta di nuovo alla ribalta mondiale un artista del nostro territorio. Andrea Rotili, fotografo free-lance, ha vinto il JAZZ WORLD PHOTO 2015, concorso che ogni anno si svolge a Trutnov, nella Repubblica Ceca, al quale partecipano i migliori fotografi Jazz del mondo.

Già nel 2014 una foto di Andrea Rotili entrò tra le prime 30 migliori opere presenti allo stesso concorso e il risultato fu eclatante, tanto da aprire altre porte prestigiose all’artista Elpidiense di nascita, Morrovallese di adozione e Fermano di studi. La sera del 28 Marzo 2015 Andrea è salito sul gradino più alto del podio confermando, se ancora ce ne fosse bisogno, le capacità di interpretare e trasmettere al meglio le sensazioni di chi, sopra al palco, esprime un’altra arte, quella del Jazz.

Il notevole risultato è frutto di un grande lavoro di tecnica ed esperienza maturata in altri contest internazionali, come ad esempio Umbria Jazz, dove Andrea Rotili risulta tra i fotografi ufficiali grazie al web-magazine All About Jazz USA che lo ha inserito nel suo team.

La foto vincitrice del concorso 2015 vede come protagonista Enzo Pietropaoli, contrabbassista italiano di livello internazionale, immortalato di fronte alle luci di un teatro senza nome e apparentemente senza pubblico. Un’emozionante solitudine che poi è quella che ogni artista vive sul palco nei momenti in cui comunica con il pubblico tramite lo strumento che lo accompagna da una vita.

Le foto di Andrea Rotili sono visibili nel sito www.andrearotili.com ma potranno essere osservate anche nella mostra fotografica “Jazz in black & color” che sarà inaugurata Sabato 4 Aprile a Civitanova Marche, presso l’Hotel “Dimorae” visibile fino al 28 Giugno.

Quasi in contemporanea ci sarà l’inaugurazione Venerdi 3 Aprile a Tunisi, presso il centro culturale “Agora”, della mostra “Les couleurs du jazz”, sempre di Andrea Rotili, fotografo ufficiale della decima edizione del “Jazz a Chartage”, festival internazionale di musica jazz.

Fonte: 

http://www.informazione.tv/it/Cultura/art/55876-alla-ribalta-internazionale-con-una-sola-foto-l-artista-elpidiense-andrea-rotili-vice-il-jazz-world-photo-2015-guarda-la-foto-vincitrice/

A completamento della notizia va sottolineato che sia il secondo che il terzo posto del concorso hanno visto protagonisti dei fotografi italiani.

Infatti Andrea Palmucci è giunto secondo e Fabio Orlando terzo nella classifica finale. 

TUTTE LE FOTO DEI 30 FINALISTI QUI : 

http://www.jazzworldphoto.com/

 
 
 

TRACCE LASER

Post n°3941 pubblicato il 30 Marzo 2015 da pierrde

JAKOB BRO – Gefion

GefionAttorniato da due eccellenti comprimari, Thomas Morgan al contrabbasso e Jon Christensen alla batteria, il giovane chitarrista danese ripropone quello che è il suo universo musicale: tinte tenui, colori pastello, un intenso dialogo ma sempre a basso voltaggio. Tutto molto ben fatto ma la mancanza di verve alla lunga rende monocromo l’affresco.



VALUTAZIONE: * * *  (RDA)

CHRIS LIGHTCAP'S BIGMOUTH - Epicenter

EpicenterContrabbassista visto a fianco dei migliori musicisti della sua generazione giunge alla terza prova come leader e assembla un gruppo fantastico, segnato profondamente dalle voci e dai contrasti tra la ruvidezza ingegnosa di Tony Malaby e la cantabilità pastosa di Chris Cheek, irrorato dallo spiazzante piano Wurlitzer di Craig Taborn e sorretto dal gioco poliritmico di Gerard Cleaver. Un album bellissimo, dalla stupefacente title track, e poi le immaginifiche Stillwell, Stone by Stone e la versione stralunata di All Tomorrow's Parties di Lou Reed. Fin qui il migliore album dell'anno.

VALUTAZIONE : * * * * *  (RDA)

EDDIE HENDERSON - Collective Portrait

Collective PortraitNuova pregevole uscita per l'etichetta Smoke Session Records, quest'album del grande trombettista Eddie Henderson, che per l'occasione si avvale di una formazione super che include Gary Bartz e George Cables, per presentare una rilettura moderna di alcuni suoi notevoli originali ("Sunburst" tra tutti) e standard degli anni '70, già interpretati da suoi illustri predecessori come Miles Davis, Woody Shaw e Freddie Hubbard, non a caso le sue principali influenze. Un album eccellente, fresco, godibile e ben suonato, con un Henderson che si conferma uno dei "top-player" della tromba.

VALUTAZIONE: * * * * *  (EN)

SPIN MARVEL - Infolding

InfoldingTerzo album del gruppo capitanato da Martin France, batterista inglese dalle illustri collaborazioni e dallo spiccato senso poliritmico. Qui spicca la tromba elettrificata di Nils Petter Molvaer che incide in profondità il senso del percorso sostenuto da ritmiche pulsanti ed elettroniche incombenti. Si spazia da un ambient teso e nervoso a turbolenze free. Ben congegnato e, nel suo genere, di buon livello per quanto privo di sostanziali novità.


VALUTAZIONE : * * *  (RDA)

VIJAY IYER – Break Stuff

Break StuffNell’album convivono senza fratture stilistiche brani storici e composizioni del leader pensate per reading con il romanziere Teju Cole. Merito dell’indubbio affiatamento del trio, in vita da più di una diecina d’anni, e del trattamento riservato ad ogni composizione, attentamente scandagliata in ogni piega privilegiando il dialogo a scapito degli assolo. Iyer si conferma pianista e leader di ampio respiro e di lungimiranti vedute.


VALUTAZIONE : * * * *  (RDA)

MOSTLY OTHER PEOPLE DO THE KILLING – Hannover

HannoverDopo l’”esperimento” Blue I quattro moschettieri tornano a stupire non con le imitazioni ma con gli originals e non ce n'è per nessuno: straripanti, coinvolgenti, esuberanti, percorrono piste apparentemente già battute ma ogni poco spiazzano con deviazioni, accelerazioni, senso dell’umorismo. Grandi e ancora poco considerati, sarebbero un gruppo da invitare obbligatoriamente in ogni festival italiano degno dell’aggettivo jazz. Succederà mai?


VALUTAZIONE : * * * * 1/2  (RDA)

JOE ALTERMAN - Georgia Sunset

Georgia SunsetProdotto dal leggendario sassofonista Houston Person, Georgia Sunset vede l'eccellente pianista Joe Alterman, accompagnato da una ritmica tra le migliori in circolazione, composta dal bassista Reuben Rogers e dal batterista Gregory Hutchinson, oltre che dallo stesso Person su cinque pezzi, in una delicata miscela di originali e cover, eseguiti con lirismo e una grande dose di vecchio e solido swing, come un novello Vince Guaraldi. Un album dal sapore old-style, ma godibilissimo specie per gli appassionati di un jazz melodico e più tradizionale.

VALUTAZIONE: * * * * 1/2  (EN)

PAOLO ANGELI / HAMID DRAKE – Deghe

DegheSecondo album per il duo, dopo Uotha per Auand, segnato da una ulteriore crescita di profondità, dialogo e introspezione. Ambientato saldamente nel Mediterraneo il discorso musicale è una riuscita sintesi tra tradizione e innovazione. La chitarra sarda diventa un poli-strumento che spazia con sonorità spiazzanti nelle radici popolari sarde, ispaniche e arabeggianti e trasforma la materia sonora in linguaggi contemporanei sempre sorretta dal drumming teso e poliritmico di Drake.


VALUTAZIONE: * * * *  (RDA)

Altre recensioni sempre in aggiornamento sul portale Tracce di Jazz

 
 
 

A SONG IN A DREAM

Post n°3940 pubblicato il 30 Marzo 2015 da pierrde

"Sappiamo di venire dal vento e di doverci tornare. Sappiamo che la vita tutta è forse un nodo, un groviglio, una macchia sull'uniformità dell'eterno.Ma perchè mai questo dovrebbe renderci infelici ?"

Edward Morgan Forster, "Camera con vista"

 
 
 

LA FILOSOFIA DI MILES DAVIS

Post n°3939 pubblicato il 28 Marzo 2015 da pierrde

Massimo Donà, è docente ordinario di Filosofia Teoretica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute, San Raffaele di Milano. Tra le sue numerose pubblicazioni, segnaliamo: Sulla negazione (2004); Filosofia della musica (2006); Arte e filosofia (2007); L’anima del vino. Ahmbè (2008); I ritmi della creazione. Big Bum (2009). Con Mimesis ha pubblicato: Il mistero dell’esistere. Arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di René Magritte (2006); L’aporia del fondamento, (2008); La “Resurrezione” di Piero della Francesca (2009), L'angelo musicante (2014).

Kind Of Blue: Bill Evans' Liner Notes

Improvisation in Jazz

by Bill Evans

There is a Japanese visual art in which the artist is forced to be spontaneous. He must paint on a thin stretched parchment with a special brush and black water paint in such a way that an unnatural or interrupted stroke will destroy the line or break through the parchment. Erasures or changes are impossible.

These artists must practice a particular discipline, that of allowing the idea to express itself in communication with their hands in such a direct way that deliberation cannot interfere. The resulting pictures lack the complex composition and textures of ordinary painting, but it is said that those who see well find something captured that escapes explanation.

This conviction that direct deed is the most meaningful reflections, I believe, has prompted the evolution of the extremely severe and unique disciplines of the jazz or improvising musician. Group improvisation is a further challenge. Aside from the weighty technical problem of collective coherent thinking, there is the very human, even social need for sympathy from all members to bend for the common result.

This most difficult problem, I think, is beautifully met and solved on this recording. As the painter needs his framework of parchment, the improvising musical group needs its framework in time. Miles Davis presents here frameworks which are exquisite in their simplicity and yet contain all that is necessary to stimulate performance with sure reference to the primary conception.

Miles conceived these settings only hours before the recording dates and arrived with sketches which indicated to the group what was to be played. Therefore, you will hear something close to pure spontaneity in these performances. The group had never played these pieces prior to the recordings and I think without exception the first complete performance of each was a "take."

Although it is not uncommon for a jazz musician to be expected to improvise on new material at a recording session, the character of these pieces represents a particular challenge. Briefly, the formal character of the five settings are: "So What" is a simple figure based on 16 measures of one scale, 8 of another and 8 more of the first, following a piano and bass introduction in free rhythmic style.

"Freddie Freeloader" is a 12-measure blues form given new personality by effective melodic and rhythmic simplicity. "Blue in Green" is a 10-measure circular form following a 4-measure introduction, and played by soloists in various augmentation and diminution of time values. "All Blues" is a 6/8 12-measure blues form that produces its mood through only a few modal changes and Miles Davis' free melodic conception. "Flamenco Sketches" is a series of five scales, each to be played as long as the soloist wishes until he has completed the series.

 
 
 

CAMBIAMO PAGINA

Post n°3938 pubblicato il 28 Marzo 2015 da pierrde

Da oggi e con effetto immediato il blog vedrà applicata la moderazione dei commenti. Misura che per dieci anni ho evitato ma che alla fine ho dovuto prendere in considerazione. Ciò significa che da oggi ci sarà un filtro. L’intenzione, inevitabilmente a mio insindacabile giudizio, è di limitare il più possibile i commenti nelle modalità in cui avvengono ora.

I motivi sono presto riassunti: ho interloquito nel corso degli anni con ogni critica e precisazione, sempre cercando di mantenere un tono colloquiale evitando il più possibile polemiche da stadio. Quelle, per intenderci, che hanno fatto si che i forum dedicati alla nostra musica chiudessero soffocati da maleducazione, toni esasperati, incapacità di dialogare.

Negli ultimi tempi (forse sarebbe meglio dire, anni) i commenti sono ad opera prevalentemente di poche persone. Questa situazione, che da sola è motivo sufficiente per provare a cambiare le regole, ha bisogno di rinnovamento e, possibilmente, di nuovi protagonisti, oppure del silenzio.

Ribadisco che la mia è una voce fuori dal coro degli addetti ai lavori. Sono e rimango un semplice appassionato di questa musica. Dal jazz non ho mai ricavato un solo euro, al contrario, vi ho profuso tempo, passione e risorse economiche. Il blog è l’estensione naturale di questa passione e mi sembra ovvio poterne dettare regole e tempi.

 
 
 

L'UOMO CHE FUMAVA SIGARI CUBANI

Post n°3937 pubblicato il 27 Marzo 2015 da pierrde

Con un volo diretto da Roma, un charter “Alitalia” – prezzo del biglietto 52 mila lire – , raggiunsi Beirut dopo quasi tre ore di un viaggio scomodissimo, dove però la scomodità non dipendeva dalle caratteristiche del velivolo della compagnia di bandiera, ma dal fatto che il mio vicino di posto era un uomo grande e grosso, di carnagione scura, taciturno, apparentemente inespressivo, decisamente ingombrante.

Dovetti lottare per l’intera durata del volo per strappargli qualche centimetro del bracciolo destro del mio sedile che lui invece, giustificato in questo, almeno parzialmente, dalla sua corporatura massiccia, riteneva, inconfutabilmente, appartenergli del tutto. E di diritto. L’uomo indossava dei pantaloni di tela molto larghi, color cachi, e una sahariana, altrettanto comoda, di color verde mimetico, militare.

Aveva una barba nera molto folta, dava l’idea di un personaggio di estrazione sociale miserabile uscito dal sottosuolo di una città ottocentesca ai primi barlumi della civiltà industriale. Durante il volo il mio compagno di viaggio divorò un intero casco di banane riponendo le bucce in un sacchetto di carta oleata, non esistendo ancora i sacchetti di plastica dei supermercati, e pulendosi le mani alla meno peggio sulla sahariana che a uno sguardo più attento mi parve fosse unta e bisunta già da parecchi giorni.

Fra una banana e l’altra, il mio vicino, accendeva in continuazione mega sigari “Romeo y Julieta”, di provenienza cubana, la cui vendita in quegli anni era tassativamente proibita in Europa, causa l’embargo che colpiva l’isola dove Fidel Castro era andato al potere, e che potevi acquistare solo oltre la cortina di ferro, a esempio in Cecoslovacchia e in Ungheria. Il che aumentava la mia curiosità. Mangiava banane, fumava sigari, spingeva il gomito, il mio vicino di posto.

E, in questa estenuante guerra di logoramento, ovviamente, vista la sua corporatura, vinceva sempre lui. Non scambiammo una parola per l’intera durata del viaggio. Né, con lui, ebbe maggior fortuna la hostess “Alitalia” quando gli propose le bevande di rito (allora l’Alitalia non risparmiava…), e che venne praticamente ignorata. Quando Dio volle, atterrammo a Beirut. Ricordo un vento caldo, che ormai era notte, che le prime iscrizioni dentro l’aerostazione erano esclusivamente in arabo, che il personale era armato di mitragliette, ma non so se già allora ci fossero i kalashnikov.

Con la mia fidanzata, splendida ragazza che oggi non c’è più, che aveva viaggiato con me e non mi aveva dichiarato alcuna guerra con il bracciolo sinistro del sedile, prendemmo un taxi per raggiungere Beirut. Quale fu il nostro stupore quando, entrando in periferia, vedemmo i piani bassi dei primi grandi grattacieli che costeggiavano la costa che si affaccia sul Mediterraneo tappezzati da un’interminabile via crucis di manifesti in bianco e nero, che si snodava sino al centro città, e che riproducevano il faccione scuro e barbuto dell’uomo che mangiava banane e fumava sigari cubani e spingeva di gomito, che recavano la scritta: “Beirut: Charles Mingus domani in concerto…”.

Fonte:

http://www.loraquotidiano.it/2015/01/11/quel-volo-per-beirut-tra-mingus-sigari-e-banane_20755/

 

http://www.ibs.it/code/9788894062007/giuliana-luigi/storie-jazz-non.html

 
 
 

TRISTEZZE D'ARTISTA

Post n°3936 pubblicato il 26 Marzo 2015 da pierrde

Cari amici, oggi ero in macchina e tra un semaforo e l'altro ho fatto alcune considerazioni su ciò che è successo al Jazz negli ultimi anni, soprattutto dopo essere andato a curiosare su YouTube e dopo aver assistito a migliaia di concerti in tutti questi anni.

Noto sempre di più che oggi i jazzisti, prevalentemente gli europei ma anche parecchi artisti di oltreoceano, salgono sul palco comunicando una tristezza infinita...procedono verso il proprio strumento come se andassero al patibolo, sorridono pochissimo, vestiti da viaggiatori notturni bloccati in qualche stazione del Nord - Europa e spesso, seppur in molti casi dotati di grande talento, suonano una musica volutamente arzigogolata e complessa senza concedere neppur un pelo di mosca agli ascoltatori.

Finito il concerto lasciano la scena con visi grigi e lunghi e se vengono richiamati per un bis si riavvicinano al palco con grande rassegnazione. Poi naturalmente ci sono le eccezioni ma personalmente mi sembra che il trend sia grosso modo questo. E penso a tutti quei grandi artisti e straordinari comunicatori che hanno fatto la storia del Jazz, da Louis Armstrong a Dizzy Gillespie, da Roy Eldridge a Clark Terry, da Fats Waller a Duke, a Count Basie, Oscar Peterson, Erroll Garner, Ella Fitzgerald, James Moody, John Lewis, Dave Brubeck, Phil Woods, Dexter Gordon, Cannonball etc. etc. senza che però MAI fossero scalfiti o annacquati i valori artistici della musica.

Penso al grande Clark Terry che ci ha appena lasciati...fino ad un minuto prima di suonare giù a ridere e scherzare come un pazzo poi, non appena la musica iniziava diventava tutto serio e concentrato. E la musica viaggiava... E così Dizzy e perfino Hancock e Chick Corea che sono di un'altra generazione. Comunicare non significa prostituirsi, significa cercare un punto d'incontro tra ciò che sentiamo di voler fare dal profondo del nostro cuore e ciò che il pubblico potrebbe comprendere e gradire.

Noi non possiamo salire sul palco pensando che non ce ne frega nulla del pubblico e suonando cose incomprensibili, senza swing "perchè é ormai obsoleto", senza un minimo di riferimento che possa essere il punto di contatto comune. Semmai dovremmo cercare con classe e garbo ( e arte ) di prender per mano i nostri amici ascoltatori che ci sostengono e pian piano farci accompagnare nel nostro e loro cammino.

Confesso che se fossi un teenager oggi, tra concerti dal vivo e registrazioni che dovessi ascoltare, probabilmente il Jazz non mi attirerebbe come invece fece all'epoca dove lo swing, la gioia, i sorrisi e, perchè no, anche i pianti mi coinvolsero al mille per mille. Perfino musicisti dalla personalità complessa, a volte malinconica e a volte ricca di humor nero come Billie Holiday, Parker, Bill Evans, Monk e Coltrane mi colpirono semplicemente perchè comunicavano emozioni VERE e non imparate alla scuola di Jazz.

Una volta un vecchio musicista free afroamericano, conosciuto nell East Village, di cui purtroppo non ricordo il nome...forse era Dennis Charles, il batterista di Cecil Taylor ma non ne sono sicuro, mi disse : "se non te ne frega nulla di chi ti viene ad ascoltare, paga il biglietto...e ti aiuta a pagare l'affitto ( gran risata ), allora stattene a casa tua a far pernacchie sul tuo strumento e cercati un lavoro alle poste.

Ma nel momento in cui tu esci di casa per far sentire la tua voce, allora devi accettare che sei anche un educatore e hai la responsabilità di far comprendere il tuo messaggio al pubblico!" Wow! What a lesson! Magari non ve ne fregherà nulla ma ve lo dico comunque: Fate ciò che volete ma non dimenticatevi lo swing ( che non significa suonare swing! ), il groove e qualche sorriso in più. E poi, detto da un genovese, non vi costa quasi nulla!

Dado Moroni

Fonte: pagina Facebook del Dado Moroni Fans Club

 
 
 

COME FARE I SOLDI ANCHE QUANDO IL JAZZ E' IN CRISI

Post n°3935 pubblicato il 25 Marzo 2015 da pierrde

Ieri Dave Douglas, un nome molto importante per il jazz contemporaneo, ha compiuto 52 anni. Mi è sembrato interessante provare a tradurre liberamente un gustoso articolo sul trombettista scritto da Devin Leonard e pubblicato su Bloomberg.com 

Dave Douglas, il trombettista jazz, compositore, direttore d'orchestra, proprietario dell’etichetta discografica Greenleaf, e abile podcaster, vive in una casa posta in una stradina nel bosco in un villaggio chiamato Croton-on-Hudson, a circa un'ora a nord di New York City. E 'un buon posto per un musicista. Douglas a volte si esercitaalla tromba mantenendo il tempo con i piedi sul suo drum set.

"Non sono un buon batterista", confessa. "ma è un grande esercizio ritmico." Lui è uno dei trombettisti più venerati del jazz, ha vinto una borsa di studio Guggenheim per la composizione, e ha capeggiato numerose band, tra cui l'acustico Dave Douglas Quintet; Keystone, un gruppo con un DJ che ha fornito la musica per film muti; e Nomad, un gruppo con influenze folk che ha fatto il suo debutto a Suoni delle Dolomiti.

Douglas sta attualmente lavorando su un disco, uscita prevista nel mese di giugno, con High Risk , la sua nuova band, e Shigeto, un musicista elettronico della zona di Detroit che utilizza musiche provenienti dai videogiochi nel suo lavoro. Ma ciò che è altrettanto notevole di Douglas èquello di cui meno si parla: lui è un imprenditore accorto che ha capito come commercializzare la sua musica ad un pubblico globale in un momento in cui l'industria discografica sta lottando per sopravvivere.

Pochi generi musicali sono stati colpiti più duramente del settore jazzistico. Nel 2003, gli americani hanno acquistato 23 milioni di album di jazz, secondo Nielsen SoundScan. Nel 2013, ne hanno acquistato solo 5 milioni. La maggior parte delle etichette più importanti hanno ridotto in modo significativo le loro nuove uscite jazz. Verve di Universal Music Group, la casa un tempo di Ella Fitzgerald, sta spingendo i cantanti R & B e promuovendo rapper.

Anche la Blue Note, forse l'etichetta jazz più famosa in assoluto, si è trasformata in una sofisticata label di impronta prevalentemente pop , pubblicando album da Roseanne Cash ad Annie Lennox, mantenendo tuttavia quelle di grandi protagonisti del jazz come Wayne Shorter.

Proprio quando le vendite jazz sono implose 10 anni fa, Douglas ha fondato Greenleaf Music , una piccola azienda che vende dischi, magliette, spartiti, abbonamenti, e produce Noise from the Deep, un podcast su tutte le attività musicali di Douglas e dei suoi musicisti. Dave è a disagio a parlare di finanze della società, rimandando questo tipo di domande al suo manager, Mark Tavern, Tuttavia, Douglas dice che Greenleaf deve produrre ricavi, e questo è il punto. «Non è un progetto utopistico", dice.

Douglas è un uomo di 51 anni, con i capelli tagliati corti brizzolati, occhiali dalla montatura di metallo rettangolari, e una modo serio e professorale. Il giorno in cui lo incontriamo indossa una maglietta scura proveniente da un festival di musica rumena, i jeans, ed è senza scarpe. Douglas è nato a Montclair, New Jersey, figlio di un dirigente IBM. Ha frequentato Phillips Exeter Academy, una scuola privata di New Hampshire, poi ha conseguito la laurea alla New York University, che gli ha dato la possibilità di esplorare la scena jazz altamente competitiva e spesso a bassa retribuzione della città.

Nel 1987, Douglas ha realizzato ciò che molti giovani trombettisti considererebbero un sogno. Ha intrapreso un tour lungo sei mesi con il gruppo del pianista Horace Silver. Ci sono i video su YouTube di Douglas che fraseggia in stile hard bop con il gruppo di Silver in un concerto in Svizzera con i classici funky del leader, come Filthy McNasty e Nica’s Dream. Ma quando Douglas è tornato a New York, il suo telefono ha smesso di squillare .

Così, con una certa trepidazione, ha deciso di diventare lui stesso un leader . Non pensava che un unico gruppo sarebbe in grado di rappresentare tutta la musica che aveva in mente. Pertanto ne ha formati diversi. Uno era influenzato dal compositore di viennese Anton Webern. Poi ha creato un trio che fonde il jazz con la musica popolare dell'Europa orientale, e un sestetto che ha suonato la musica ispirata dai suoi idoli, come Wayne Shorter.

Questo significava che Douglas aveva un sacco di prodotti musicali da offrire alla sua base di fan in costante crescita. Ha attirato l'attenzione di piccole etichette indipendenti, e ha firmato presto con Soul Note, la gloriosa label italiana. Questi successi hanno portato ad un accordo nel 1999 con la RCA. Douglas ha pubblicato sette album per la RCA, compreso il suo best-seller "Soul on Soul", che ha venduto 13.000 copie negli Stati Uniti, secondo Nielsen SoundScan. Non era male registrare per la stessa azienda di Justin Timberlake e Avril Lavigne. Ma Douglas ha trovato l'esperienza frustrante.

Avrebbe voluto, inutilmente, che RCA pubblicasse i suoi dischi quando andava in tour. Ha anche avuto a che fare con i reclami dei fan sui problemi nello scaricare bonus sul sito RCA. "E 'veramente mi sono incazzato", dice Douglas. "Sono con voi ragazzi. Non è possibile lavorare cosi" Nel 2004, Douglas lascia la RCA e inizia a pianificare il lancio di Greenleaf. I suoi consiglieri gli dissero di fare cose semplici e pubblicare solo i propri album. Douglas li ignorò. "Ero irremovibile," dice. "Mi sentivo come se questa fosse già una vera e propria etichetta, quindi dovevamo avere più artisti."

Ha pubblicato 19 suoi dischi e molti altri con musicisti che vanno dal sassofonista Donny McCaslin al chitarrista Nels Cline dei Wilco.Douglas è stato ben presto felice di scoprire che faceva più incassi con i suoi dischi rispetto a quando era alla RCA; non può vendere come molti album pop, ma lui ottiene molto di più dalle entrate rispetto ai costi. Douglas è stato anche in grado di sperimentare nuovi modelli di distribuzione. Ha pubblicato album su CD, ancora il formato più popolare Greenleaf.

Poi li ha messi su vinile. Ha offerto brani inediti per un piccolo numero di fan disposti a pagare per abbonamenti annuali al catalogo di Greenleaf. Douglas ha anche sperimentato una idea nuova . Nel 2008, ha suonato per un'intera settimana con il suo quintetto al Jazz Standard di New York e ogni mattina pubblicava il download del set della sera precedente sul sito Greenleaf. "Mi svegliavo il giorno dopo, e c'era qualcuno a Mosca che stava scaricando," afferma Douglas. "E poi qualcuno in India. Ero stupito, wow, questo è un evento a livello mondiale. "

Ha avuto meno successo quando ha cercato di offrire album su flash drive. Ha venduto 300 chiavette durante due settimane di tour europeo. Non era sicuro che gli acquirenti sapessero cosa stavano comprando; sembravano entusiasti del fatto che lui firmasse la scheda allegata con la copertina dell'album. Ma quando Douglas ha offerto lo stesso prodotto sul sito Greenleaf, ha ottenuto una reazione diversa. "Non abbiamo mai venduto una sola chiavetta", spiega Douglas. "La lezione per me era chiara, non farlo di nuovo."

Nel 2013, Douglas ha lanciato Noise From The Deep, il podcast della Greenleaf Music, in comproprietà con il bassista Michael Bates. Ogni settimana si intervistano musicisti come Mark Turner o Lenny Pickett e questo fornisce a Douglas un altro modo per attirare l'attenzione sul marchio Greenleaf. Nel marzo scorso, Douglas è stato classificato come il n ° 2 nella lista dei migliori trombettisti del 2013 nel sondaggio dei critici di JazzTimes. I critici hanno poi scelto Noise From the Deep come secondo jazz podcast (il N ° 1, un po 'sospetto, era proprio della rivista…)

Forse la migliore indicazione del successo imprenditoriale di Douglas è la sua capacità di conferire attenzione sui meno noti artisti della Greenleaf. Nel mese di settembre, l’etichetta ha pubblicato "Into the Zone", un album del trombonista e compositore Ryan Keberle, che ha lavorato con Wynton Marsalis e Beyoncé, ma che è poco conosciuto al di fuori di una cerchia di addetti ai lavori di New York. "Questo è il mio primo disco su un'etichetta importante", dice Keberle. "I miei precedenti tre dischi, anche se hanno avuto una buona accoglienza dalla critica, sono usciti tutti su mia etichetta." Keberle dice che la registrazione è diversa fatta per l'azienda di Douglas. "Ho già visto i risultati," dice.

Torna a Croton-on-Hudson, Douglas si appresta a terminare il suo ultimo podcast. E’ imperniato su Mary Halvorson, amata dalla critica jazz per il suo particolare stile chitarristico. I fan di Noise From The Deep hanno anche chiesto al trombettista di promuovere un podcast con Kenny G, sassofonista tanto famoso e venduto quanto discusso, la cui presenza sul podcast sarebbe indubbiamente memorabile per diversi motivi. Douglas ha detto che ci sta lavorando.

http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-03-13/how-a-star-trumpeter-makes-money-even-when-jazz-can-t

http://www.greenleafmusic.com/

 
 
 

IL MONDO E' BELLO PERCHE' AVARIATO

Post n°3934 pubblicato il 24 Marzo 2015 da pierrde

Il calembour è opera di Nino Frassica, alias frate Antonino da Scasazza, e serve a illustrare le differenti valutazioni che via via emergono dal web sull’appena concluso Festival Jazz di Bergamo.

Mentre tutti concordano sul concerto più deludente (Jeff Ballard), i pareri poi divergono in maniera anche consistente su tutto il resto del programma. Si va dalla considerazione massima a quella minima nello spazio di poche battute: cosi’ il progetto Palatino di Aldo Romano è visto in luce estremamente positiva da Dario Guerini su Bergamonews oppure vede il parere sostanzialmente negativo di Riccardo Facchi su FreeFallJazz .

Anche il quartetto di Mark Turner gode di valutazioni differenti, si va dal “buono” al “monotono”, mentre il gruppo di Michael Formanek sconta nei giudizi una collocazione poco adatta. Il pubblico che affolla il Teatro Donizetti ha poca familiarità con linguaggi di più difficile comprensione, meglio sarebbe stato posizionarlo nella fascia pomeridiana.

Al proposito, sicuramente senza pretesa di sfornare idee che non siano già state vagliate, ma giusto per ribadire il parere di un appassionato che da sempre frequenta Bergamo jazz, mi permetto alcuni suggerimenti:

1)Far esibire un solo gruppo per sera al Donizetti. I motivi sono evidenti, e la possibilità offerta ai musicisti è molto più appetibile in termini temporali

2)Ampliare l’offerta mattutina e pomeridiana che si indirizzi naturalmente verso proposte meno battute coinvolgendo nuovi ed emergenti protagonisti

Anche in questo campo poi ci sono pareri diametralmente opposti: sempre Dario Guerini su Bergamonews auspica un’apertura al jazz della Luisiana e ai musicisti dell’est europeo. Mentre trovo sintonia con quest’ultima idea, non mi raccapezzo sulla prima, chissà cosa intende il giornalista, forse un ritorno al New Orleans ?

Se fosse cosi, nel pieno rispetto dei pareri e dei gusti, mi parrebbe una operazione piuttosto retrò e dal respiro corto. Già il direttore artistico, chiunque egli sia, ha il suo bel daffare per mantenere il timone diritto: accontentare tutti, pubblico, sponsor e istituzioni, non si può ma comunque si cerca sempre di farlo e naturalmente in cambio si ottengono solo critiche da destra e da manca.

Infine segnalo la cronaca minuziosa e interessante sera dopo sera ad opera di Thierry Quenum sulle pagine web di Jazz Magazine.

Tutti i link:

http://www.bergamonews.it/cultura-e-spettacolo/bergamo-jazz-2015-tante-luci-ma-anche-qualche-ombra-202484

http://www.mescalina.it/musica/live/22/03/2015/mark-turner-quartet--palatino-quartet

http://freefalljazz.altervista.org/blog/?p=12317#more-12317

http://www.jazzmagazine.com/

Appena arrivato sul web anche l'articolo di Enrico Bettinello per Il Giornale della Musica:

http://www.giornaledellamusica.it/blog/?b=500

 
 
 

QUALCHE IMPRESSIONE DA BERGAMO JAZZ

Post n°3933 pubblicato il 23 Marzo 2015 da pierrde

La sensazione, a pelle ma nettissima, di essere in ascolto se non del migliore certamente di uno dei più interessanti concerti del festival è apparsa evidente dopo poco dall’inizio del set, che si sarebbe protratto per circa due ore tra un bis e l’altro. Il bello è che per me si trattava anche dell’unica presenza di tutta la rassegna, ma, stando ai racconti degli amici e a quanto ascoltato in diretta radiofonica, quello che è successo prima e dopo solo in alcuni casi ha raggiunto la stessa intensità e la medesima folgorante condizione di stato di grazia (non ho però che qualche frammentaria notizia del concerto pomeridiano di Cline).

Si trattava del penultimo concerto europeo del trio di Vijay Iver, un gruppo che esiste da undici anni ed è giunto al terzo album con la pubblicazione recente di Break Stuff per E.C.M. Da molti anni Iyer è un punto di riferimento importante ma , come sempre, si “pesa” il valore di un gruppo soprattutto dal vivo. Personalmente avevo ascoltato il trio alcuni anni fa al Jazz & Wine di Cormons rimanendone affascinato non solo dal valore intrinseco dei musicisti ma soprattutto dalle dinamiche interne, dal tipo di prospettiva alquanto personale con il quale il gruppo si rapporta sia al materiale originale sia alle composizioni altrui e alla particolare attenzione all’aspetto ritmico, un po’ a discapito forse rispetto a quello armonico.

Gli anni trascorsi hanno ulteriormente cementato l’interplay tra il contrabbasso di Stephan Crump, la batteria di Marcus Gilmore e le tastiere di Iyer , e la riproposizione praticamente per intero del nuovo Break Stuff è apparsa ancora più convincente e coinvolgente. Il pianista è un virtuoso che riesce a far sembrare molto naturale lo sviluppo di temi, le lunghe cavalcate, gli accumuli ed i rilasci di tensione. Accanto all’amore evidente per Monk, assimilato e introiettato, mai semplicemente riprodotto, nel concerto pomeridiano ho avuto modo di ascoltare anche influenze minimaliste ed un evidente substrato accademico che allarga ancor di più la tavolozza timbrica.

Notevolissimo il gioco sulle ritmiche, accentuate, rilasciate, in perenne mobilità. Cosi’ come tutto l’andamento del concerto, sviluppatosi in progressione ed in un crescendo per larghi tratti assolutamente coinvolgente ed entusiasmante. Esemplare la naturalezza con la quale Gilmore e Crump si intersecano e si sollecitano.

Ascoltato per radio mi è parso molto bello e coinvolgente anche il concerto del quartetto di Turner: grandi musicisti che scavano e riescono ancora a trovare nuova linfa in situazioni sulla carta prevedibili ma poi sviluppate in maniera originale e moderna. Una vera gara di bravura e di sollecitazioni reciproche purtroppo contenuta temporalmente dalla necessità di stare nei tempi.

Ho sempre amato i gruppi di Aldo Romano e questo Palatino, pur fermo ai box da alcuni anni (e qua e la la ruggine si è sentita), mantiene la capacità di divertire con leggerezza grazie alla sezione ritmica ficcante, ai temi ricchi di melodie e alle voci pastose di Glenn Ferris e Paolo Fresu. Anche qui da situazioni conosciute si riesce a cavare umori e colori sempre interessanti anche se non nuovi.

Devo riconoscere a Enrico Rava, il direttore artistico del festival, che una buona parte delle scelte effettuate in questi quattro anni (qualche nome: Evans, Vandermark, Turner, Iyer, Cline, Halvorson) non solo sono vincenti ma addirittura vanno contro corrente rispetto al piattume e alla banalità propositiva della maggior parte dei festival nostrani. Un merito indubbiamente, che i ripetuti tutto esaurito di questi giorni hanno abbondantemente premiato, nonostante sia evidente anche lo sforzo di accontentare tutti i palati, fatto che a volte crea disorganicità e mancanza di un progetto lineare.

Mi viene comunque da sognare: con i budget di Torino o di Perugia chissà quante belle soddisfazioni potrebbe regalarci il nostro Enrico, ma poi rimetto immediatamente i piedi per terra. In fondo Rava non ha fatto altro che chiamare alcuni dei nomi più interessanti del jazz americano, quelli per intenderci che suonano regolarmente in Europa e decisamente poco in Italia.

I motivi di questa situazione ? Bè, ci vorrebbero molti post per tentare una spiegazione….

 
 
 

CHALOUPEE

Post n°3932 pubblicato il 22 Marzo 2015 da pierrde

Chiudi gli occhi e ascolta le note della tua anima... ognuno dentro ha uno "spartito"... fatto di tonalità alte e basse... che racconta attraverso la "musica", una vita intera

Mario Bucci

 
 
 

DIZZY FOR PRESIDENT E MILES CAPO DELLA CIA

Post n°3931 pubblicato il 22 Marzo 2015 da pierrde

Arriva un punto in ogni tornata elettorale statunitense in cui si raggiunge la saturazione totale e bisogna risintonizzarsi per rimanere indifferenti ai flussi di vetriolo politico, ai teatrini elettorali, e poi agli spot a getto continuo. Ma immaginiamo come diversamente si potrebbe parlare di elezioni presidenziali se persone come, ad esempio, Dizzy Gillespie avessero potuto ottenere un riconoscimento importante. Questo è ciò che sarebbe successo nel 1964 se " un candidato presidenziale poco conosciuto ... fosse riuscito a superare l'ostacolo che riserva la corsa a soli milionari. "Ciò che era iniziato come uno dei famosi scherzi di Dizzy, e un modo per raccogliere fondi per ANIMA (Congress for Racial Uguaglianza) e altre organizzazioni per i diritti civili è diventato qualcosa di più, un modo per i fan di Dizzy di immaginare un'alternativa al "millionaire's-only" club rappresentato da Lyndon Johnson e Barry Goldwater e tutti gli altri che li hanno preceduti e poi seguiti.

 

La campagna di Gillespie aveva come motto "Dizzy Gillespie for president" , con gadget ormai oggetti da collezione, e "Dizzy for President" è diventato successivamente il titolo di un album registrato dal vivo al Monterey Jazz Festival nel 1963.

Un estratto del celebre brano " Salt Peanuts " era la canzone ufficiale della campagna di Gillespie che comprendeva slogan come :

Your politics ought to be a groovier thing Vote Dizzy! Vote Dizzy!

So get a good president who’s willing to swing Vote Dizzy! Vote Dizzy!

Le proposte politiche di Dizzy propugnavano il riconoscimento dei diritti civili alla minoranza nera, il ritiro militare dal Vietnam e il riconoscimento diplomatico della Cina comunista, inoltre voleva fare Miles Davis capo della CIA, un ruolo ed un personaggio che avrebbero dato vita a situazioni inimmaginabili.

Anche se la campagna di Dizzy era più una trovata pubblicitaria per la sua politica e la sua persona, non è inaudito per dei musicisti concorrere per la presidenza del proprio paese. Nel 1979, il rivoluzionario musicista Afrobeat nigeriano Fela Kuti si propose come candidato nel suo paese, ma è la sua nomination venne osteggiata dal regime esistente. Più di recente, il musicista haitiano 'ex Fugee Wyclef Jean ha tentato una corsa alla presidenza di Haiti, ma è stato estromesso per ragioni di residenza.

E 'un po' difficile immaginare una campagna presidenziale negli Stati Uniti da parte di un musicista popolare, ma gli anni '80 sono stati dominati dalla strana realtà di un ex attore alla Casa Bianca, quindi perché no? In ogni caso, rivisitare il teatro politico di Dizzy Gillespie della metà del secolo scorso ci può fornire una tregua necessaria dagli eccessi della corrente campagna elettorale statunitense.

Articolo liberamente tradotto da Dizzy Gillespie Runs For US President di Josh Jones

 

http://www.openculture.com/2012/10/dizzy_gillespie_runs_for_us_president_1964_.html

 
 
 

RADIOTRE: DOPO BERGAMO JAZZ C'E' BATTITI

Post n°3930 pubblicato il 22 Marzo 2015 da pierrde
 

 

Dopo la diretta in prima serata dal Teatro Donizetti dell'ultima notte di Bergamo Jazz la musica continua a mezzanotte.

Anche questa domenica è la musica dal vivo ad essere protagonista della notte. La puntata si apre con la grazia pianistica di Kris Davis in una seduta registrata al Vortex Jazz Club il 4 marzo 2014 con il suo gruppo composto da John Hébert al contrabbasso e Tom Rainey alla batteria. Il trio in quell'occasione ha suonato brani tratti dal lavoro Waiting For You To Grow, nel quale Kris Davis sperimenta una gestione dello spazio musicale non convenzionale e combinazioni armoniche creative, in piena sintonia con la sua sezione ritmica.

A seguire tre veterani del jazz sperimentale europeo: Alexander Von Schlippenbach, Evan Parker e Paul Lovens, rispettimanente painoforte, sassofono e batteria. Anche in questo caso il proviene da Londra dove è stato registrato nell'ambito del London Jazz Festival. Un'unica lunga traccia durante la quale i tre mostrano di essere come sempre in ottima forma e trasmettono agli ascoltatori la grande complicità artistica che li lega.

 
 
 

ERAVAMO QUATTRO AMICI AL BLUE NOTE

Post n°3929 pubblicato il 20 Marzo 2015 da pierrde

Eravamo quattro amici al bar, cantava un noto correntista genovese di banca svizzera, ed in effetti con i miei quattro amici al bar si era deciso non di cambiare il mondo, troppa concorrenza, ma più semplicemente di calare in città per una serata al Blue Note.

Detto e fatto e, studiato il calendario, scartati nomi più adatti a sagre paesane che ad un locale di cotanto blasone (tra l’altro in cartellone tra Gelati e Concati c’è anche il correntista ligure…), si è puntato su Miguel Zenon.

Continua a leggere qui: http://www.traccedijazz.it/index.php/recensioni/27-recensione-concerti/1002-miguel-zenon-al-blue-note

La galleria fotografica del concerto ad opera di Roberto Cifarelli: 

http://www.robertocifarelli.com/index.php/Gallery?l=1&i=1106

 
 
 

TURNER QUARTET E PALATINO IN DIRETTA RADIOTRE

Post n°3928 pubblicato il 20 Marzo 2015 da pierrde

Domenica 22 Marzo 2015 ore 21.00

IL CARTELLONE

in diretta dal Teatro Donizetti di Bergamo

BERGAMO JAZZ

Mark Turner Quartet

Palatino Tempo

Mark Turner Quartet

Mark Turner sax tenore Ambrose Akinmusire tromba Joe Martin contrabbasso Justin Brown batteria

Palatino Tempo

Paolo Fresu tromba Glenn Ferris trombone Michel Benita contrabbasso Aldo Romano batteria

 
 
 
 

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