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Messaggi del 06/06/2011

DI FESTIVALS E DI PROGRAMMAZIONI

Post n°1858 pubblicato il 06 Giugno 2011 da pierrde
 

Ringrazio Sergio Pasquandrea per il commento al post su Prince a Perugia

che mi da modo di meglio puntualizzare il pensiero. Sgombero subito il campo da possibili equivoci: ovvio che non ho nulla di personale con gli organizzatori di Umbria Jazz (non ne conosco nemmeno uno) e tanto meno con Prince che, certamente non rispecchia i miei gusti, ma è comunque un significativo musicista della comunità nero-americana.

Concordo anche sul fatto che da Perugia è passato certamente di peggio, ma non è questo, credo, il punto.

Ho usato l’ironia su Umbria Jazz ma avrei potuto facilmente dispensarla per molti altri festival e non solo italiani. Basta scorrere i programmi per trovare proposte dissennate o perlomeno discutibili, ma non è entrando nei particolari dei cartelloni che mi vorrei soffermare bensi’ ragionare sui festivals e sui criteri delle programmazioni.

I festival di grandi dimensioni si sono trasformati in buona parte in enormi supermercati: ci puoi trovare di tutto, da articoli pregiati a merce scadente ed economica. Ci sono naturalmente le eccezioni e, guarda caso, si tratta di festival (penso a Marciac) che sono riusciti a mantenere una indipendenza economica rispetto agli sponsor.

Poi ci sono i festival di medie dimensioni, dove invece impera la spesa fatta in agenzia. Mi spiego meglio: dalle Alpi alla Sicilia si possono trovare più o meno gli stessi musicisti, frutto non di programmazione o di un percorso ricercato bensi’ delle “occasioni” fornite dai promoters che organizzano le tournè europee per gli artisti d’oltre oceano.

Naturalmente anche qui non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ci sono moltissimi esempi positivi e controcorrente, ma fa pensare il ruolo di molti direttori artistici di questi due tipi di festival: troppo furbi o troppo insipienti ?

E’ ovvio che il grosso nome del pop attira migliaia di persone che difficilmente si sposterebbero per un musicista free. Ma non riesco a capire che senso abbia infarcire festival ancora nominalmente di “Jazz” con vagonate di artisti di diverso ambito perlopiù decotti, senza un progetto nuovo se non la stanca riproposizione di antichi successi e il tutto solo per poter poi decantare nei comunicati che “anche quest’anno il pubblico accorso è in crescita, abbiamo staccato decine di migliaia di biglietti in più, eccetera eccetera”.

Non rivendico nessuna purezza, cosa del resto assolutamente risibile nel caso della nostra musica, frutto di ibridazioni e contaminazioni, ma ove possibile un dignitoso percorso tracciato dai responsabili dei vari festival tra musiche e musicisti pur di diversa estrazione ma con idee fresche e stimolanti.

Diverso il discorso per i piccoli eventi, sovente in balia di finanziamenti precari o degli umori cangianti degli amministratori locali. Molto spesso è già un successo riuscire ad allestire anno dopo anno un cartellone, eppure sono le rassegne più genuine, spesso coraggiosamente di tendenza o ancora, più ingenuamente naif negli accostamenti proposti.

Sono manifestazioni a dimensione umana dove è facile conoscere e fare due chiacchiere con l’organizzatore, di solito un appassionato senza secondi fini e spesso capace di pagare di tasca propria gli sforamenti del budget. Insomma, come scriveva Franco Fayenz "in luglio e agosto l'Italia pullula di jazzfest dando l'impressione di essere una Mecca internazionale della musica afro-americana, mentre non è affatto vero..." (Franco Fayenz, Il Sole 24 Ore, 27 aprile 2011)

 
 
 
 

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