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Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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Messaggi del 23/02/2012
Post n°2158 pubblicato il 23 Febbraio 2012 da pierrde
Esiste una scena italiana del jazz? E, se sì, quali sarebbero i tratti della sua “riconoscibilità”? Attraverso le interviste inedite a trentatré protagonisti di una vicenda artistica e umana che si dipana dalla seconda guerra mondiale ai giorni nostri, il libro, "Una preghiera tra due bicchieri di gin. Il jazz italiano si racconta", guida il lettore nei territori italiani del jazz e dei suoi immediati dintorni. E visto che il dibattito qui come in altri luoghi spesso verte su queste tematiche, ecco i pareri forse più significativi (anche se in maniera necessariamente succinta) che l'autore, Nicola Gaeta, raccoglie nel suo libro al quale naturalmente rimando gli interessati per approfondimenti. C'è da dire che la domanda, posta a quasi tutti gli intervistati, ha avuto risposte che grosso modo si sono equivalse sia a favore che contro. Di mio sottolineo l'intervento di Gualberto nel post dedicato all'intervista a Roberto Gatto come particolarmente significativo, largamente condivisibile nei contenuti e nei toni e invito i potenziali interessati all'argomento a non farsi scoraggiare dalla lunghezza dello scritto: indipendentemente da come la si pensi merita assolutamente la lettura. Spezzo inoltre una lancia ancora a favore di Gatto: come lui sono stanco di sentire progetti improbabili dedicati a cantanti e cantautori che sarebbe meglio lasciare stare. Avanti di questo passo e tra un pò ci toccherà vedere una rielaborazione jazz dello Zecchino D'Oro.....
L'Italia, dove il jazz è arrivato più tardi che nel resto dell'Europa, ha trovato la sua specificità nella melodia,nel porre l'accento sull'emozionalità,in un certo lirismo. In questo senso c'è un jazz italiano. Anche se va detto che il jazz è una musica codificata, per poterla praticare necessita di un background culturael specifico, è una musica che ormai ha una storia, quindi, anche avendo un profumo speciale, il jazz italiano si riferisce ovviamente sempre a questi codici e a questa storia. (Aldo Romano) Andare a recuperare le canzoni di Battisti e De Andrè la considero una forzatura: quelli sono musicisti, cantanti, che debbono restare li', in quel ambito, non si può "jazzificare" tutto. Quando andiamo a suonare in America non parlano di Italian Jazz, suoniamo la stessa cosa che suonano loro o che suonerebbe un greco o uno svedese. poi noi nel nostro paese suoniamo una musica che ci siamo un pò ritagliati su misura, ci permettiamo di fare la canzone napoletana, ci permettiamo di fare l'aria d'opera, tutta una serie di cose che il musicista che interpreta cerca con la sua sensibilità di rendere credibili. Qualcuno non è affatto credibile. La domanda che mi pongo è: si può fare tutto in jazz, tutto è lecito ? Secondo me, no. C'è bisogno di un filtro, di una sensibilità che non tutti hanno. (Roberto Gatto) Il jazz italiano ha il suo punto debole nelle ritmiche, il jazz americano continua ad essere forte per i batteristi, c'è poco da fare, se non sei neroamericano hai dei problemi. Non è un problema di tecnica, alcuni musicisti italiani tecnicamente sono scafatissimi, è un problema di linguaggio, di cultura, di concezione. (...) Ci sono molti musicisti italiani che hanno acquisito la cultura per fare jazz, ma la capacità di essere originali è caratteristica di pochissimi di loro. (Sergio Veschi) Il jazz è uno solo e il termine "jazz italiano" non significa niente. Dico subito che uno dei difetti del jazz italiano sta appunto nell'autoqualificarsi "jazz italiano". (Gianni Lenoci)
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