Mondo Jazz
Il Jazz da Armstrong a Zorn. Notizie, recensioni, personaggi, immagini, suoni e video.
IL JAZZ SU RADIOTRE
martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
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JAZZ & WINE OF PEACE
Pipe Dream
violoncello, voce, Hank Roberts
pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig
trombone, Filippo Vignato
vibrafono, Pasquale Mirra
batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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Messaggi del 25/03/2012
Post n°2200 pubblicato il 25 Marzo 2012 da pierrde
" "La musica pucciniana cessò, le luci si abbassarono ed un riflettore illuminò il palcoscenico. Di un cono azzurro, naturalmente. Nel cono di luce sbucò una ragazza giovane e bella con i capelli raccolti a crocchia, e cominciò a cantare. Cantava senza accompagnamento musicale, le parole erano portoghesi ma la melodia era una specie di blues, e solo dopo un pò Firmino si rese conto che era un vecchio fado di Coimbra che la ragazza cantava come se fosse un pezzo di jazz, " brano tratto da La Testa Peduta di Damasceno Monteiro di Antonio Tabucchi |
Post n°2199 pubblicato il 25 Marzo 2012 da pierrde
Per me solo una rapida toccata e fuga nel 34° Bergamo Jazz Festival: ho scelto più per comodità che per il programma la giornata di sabato con i concerti di Tim Berne e di Ambrose Akinmusire. Andare a Bergamo significa per chi viene da nord come me, attraversare Pontida, la storica location degli happening leghisti. Avete presente quei colti e pensosi personaggi vestiti da crociati o con elmi cornuti ? Ma si' dai, nei mille telegiornali li si è sentiti pontificare con linguaggio scientifico e raffinato attribuendo tutti i mali del paese ora ai "terun" meglio se comunisti ora ai "negher" meglio se musulmani. Bene, la storica scritta "Padroni a casa nostra" nelle scorse settimane, dopo le note vicende legate alle tangenti in regione, è stata modificata come è possibile vedere nella foto, perfetta epigrafe lapidaria. Naturalmente la scritta è stata ripristinata nella sua originalità ma rimane emblematica delle vicende italiche e del declino inarrestabile di un popolo e di una terra storicamente (e culturalmente) mai esistiti. Nonostante i 300 mila bergamaschi pronti a dissoterrare le armi, Bergamo rimane città che ama e che propone con illuminante continuità la musica afro-americana. Enrico Rava, il direttore artistico del festival, ha presentato i concerti spiegando il criterio con il quale ha esercitato le scelte musicali. Invitando cioè i musicisti che come spettatore avrebbe voluto ascoltare. Scelta azzeccata nel caso di Snakeoil, il quartetto capeggiato da Tim Berne, da me visto l'ultima volta quando ancora l'incanutito sassofonista aveva tutti i capelli nerissimi. Come sempre la musica di Berne, complessa, poco incline a concedere facili gratificazioni e molto strutturata, si è sviluppata in maniera circolare con parti iniziali rarefatte e una crescita esponenziale di timbri e volumi fino a raggiungere il punto più alto per poi smorzarsi gradatamente. Grande controllo, assoli ben integrati nel complesso meccanismo compositivo e ottimi comprimari hanno elevato l'ascolto a livelli che avrebbero meritato il pubblico di spazi più ampi. Di Berne si racconta che studiò con Julius Hemphill, ma l'influenza più evidente sia sullo strumento che nella scrittura è quella di Anthony Braxton. Ottimo Sam Noriega nella parte del controcanto, interessanti i giovani Ches Smith a batteria e percussioni e Matt Mitchell al pianoforte. Nel bellissimo Donizetti la serata è aperta dal quintetto di Ambrose Akinmusire, trombettista che nell'ultima stagione ha fatto incetta di premi e di riconoscimenti. Il quintetto esibitosi a Bergamo vede Sam Harris al pianoforte al posto di Gerald Clayton, e da subito l'impressione che la sezione ritmica sia eccellente. Il leader esibisce tecnica e discreta personalità, sulle tracce di Clifford Brown opportunamente rivisitato con influenze anche di Freddie Hubbard. Walter Smith al tenore ha un suono acidulo e un pò legnoso ma nel corso della serata sembra sciogliersi e mettersi a proprio agio. La musica che il quintetto propone è un hard bop poco schematico, con grandi spazi a temi lenti e ballate di cui Akinmusire si rivela perfetto interprete. Certo in quanto a originalità non siamo messi troppo bene, tutto è deja-vù abbondantemente, mantengono l'interesse dell'ascoltatore le spinte e le accelerazioni di Justin Brown alla batteria, il lavoro di raccordo di Harris e qualche solo più spregiudicato del leader. Un buon gruppo, ma troppo poco per gridare al miracolo. In seconda serata ci sarebbe Buika, una cantante iberica ma di origine ganese che piace a Almodovar e, evidentemente, anche a Rava. Nel viaggio di andata mi ero documentato ascoltando qualche album, e tanto mi è bastato per decidere che l'ora e mezzo di concerto era meglio impegarla nel viaggio di ritorno.... |
Post n°2198 pubblicato il 25 Marzo 2012 da pierrde
L'omaggio a Taylor, qui nel ritatto del disegnatore Alastair Graham, è doppio e dovuto anche alla coincidenza a me sfuggita ma che mi fa osservare un altro amico blogger, Gerovital, che oggi è il compleanno del pianista americano. A questo punto continuando con le citazioni da bloggers, prendo il breve ritratto di Taylor comparso su Mi Piace il Jazz:
Cecil Taylor è uno dei massimi innovatori del jazz, l'artefice di una musica originale tanto radicata nella tradizione musicale afroamericana, nell'ispirazione di maestri quali Fats Waller, Duke Ellington, Mary Lou Williams, Erroll Garner, Bud Powell, Horace Silver quanto aperta a contenere gli stimoli più differenti, la tradizione classica e le avanguardie europee, la danza contemporanea, la poesia, unificati in un incandescente magma sonoro, una musica che si presenta in costante divenire, prendendo forma in diretta, quando l'improvvisazione coincide con la composizione istantanea. Nato a New York il 25 marzo del 1929 da bambino Taylor si avvicinò alla musica stimolato dai genitori, ascoltando le orchestre dello Swing, emulando i batteristi e suonando sulle stoviglie di casa. Poi studiò le percussioni ed il pianoforte. I suoi studi proseguirono al liceo, dove vinse anche un concorso per giovani pianisti, si recò al New York College of Music e quindi al New England Conservatory di Boston. Tornato a New York iniziò a frequentare le scene del jazz per approdare nella cerchia di musicisti la cui urgenza espressiva culminerà nelle definizione del "free-jazz", il jazz libero e ribelle degli anni '60. Taylor ha collaborato con il sassofonista Steve Lacy, con il trombonista Roswell Rudd, con il trombettista Bill Dixon, con la bandleader Carla Bley, delineando un nuovo universo sonoro, una musica che coinvolge esecutori ed ascoltatori in una dimensione di trance. La sua tecnica pianistica gli consentiva di suonare con un solismo prodigioso e senza limiti, con un approccio alla tastiera quasi fosse uno strumento a percussione, in un incedere vorticoso nel suo svolgersi. Del suo stile Cecil Taylor disse in un'intervista "che cercava di imitare i danzatori quando volteggiano nello spazio" e la sua concezione musicale così libera fu al centro di controversie negli Usa, dove Taylor trovava a fatica concerti ed impegni con case discografiche. I primi riconoscimenti vennero in Europa dove approdò con il suo trio nel 1962, per un lungo ingaggio al Café Montmartre di Copenaghen, e sono proseguiti fino ad oggi, nei numerosi festival che lo ospitano, nella lunga serie di registrazioni che Taylor ha effettuato in Europa con i suoi gruppi. Dagli anni '60 Taylor è rimasto profondamente legato ad una musica votata all'improvvisazione e ha realizzato nel tempo una serie di capolavori, in solitudine, insieme a numerosi ensemble, in cui hanno militato alcuni dei musicisti più ispirati del jazz moderno, ed in una serie di memorabili collaborazioni, con il batterista Max Roach, con la pianista Mary Lou Williams, con il trombettista Bill Dixon, con l'Art Ensemble Of Chicago ed anche con il celebre coreografo e danzatore classico Michail Barishnikov. |
Post n°2197 pubblicato il 25 Marzo 2012 da pierrde
Qualche giorno fa commentavo un post dedicato a Taylor sul blog Mi Piace il Jazz, e ieri ho scoperto, naturalmente su Facebook, questo film a lui dedicato dal titolo emblematico All The Notes in cui il personaggio in circa 70 minuti di pellicola è narrato nei suoi molteplici interessi, dalla poesia all'architettura, che travalicano il semplice aspetto musicale. Il dvd era uscito solamente negli Stati Uniti ed è stato messo in rete dalla stessa casa di produzione, la MVD. Ecco le note di accompagnamento, e a tutti gli estimatori del pianista, buona visione:
All the Notes captures the unconventional stance of this media-shy modern musical genius. Cecil Taylor is the grand master of free jazz piano. All the Notes captures in breezy fashion the unconventional stance of this media-shy modern musical genius, regarded as one of the true giants of post-war music. Taylor is first seen musing over Santiago Calatrava's feecy architecture- a typical sign of the pianist's famed eclectic interests, which extend from soloing, combo and small orchestra work to spoken word performance. Seated at his beloved and battered piano in his Brooklyn brownstone the maestro holds court with frequent stentorian pronouncements on life, art and music. A massively interesting documentary on a true icon |
AUTORI DEL BLOG
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