Mondo Jazz
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martedì 9 ottobre 2018 alle 20.30
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pianoforte, Fender Rhodes, Giorgio Pacorig
trombone, Filippo Vignato
vibrafono, Pasquale Mirra
batteria, Zeno De Rossi
Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)
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Messaggi del 02/01/2013
Post n°2515 pubblicato il 02 Gennaio 2013 da pierrde
Segnalo due articoli a mio modo di vedere particolarmente interessanti comparsi su due siti web americani e che riguardano lo stato di salute della nostra musica visto da un ottica particolare: gli standards. Benjamin Schwarz in un pezzo dal titolo Come la musica più vibrante d'America è diventata una reliquia e Scott Timberg con Come l'american songbook ha ucciso il jazz tracciano una analisi scoppiettante ed irriverente sull'importanza degli standards per la crescita, il consolidamento e lo sviluppo della musica afro-americana, e come, dopo tanti decenni, essi siano ormai logori e usurati,e sopratutto mai innervati da nuove moderne composizioni. Si prendono in considerazione molti fattori, iniziando dalle diverse impostazioni armoniche e melodiche dei brani tratti da opere o musical o dai film d'epoca e i moderni pezzi pop e rock, dai tratti troppo semplificati e modesti tanto che in quasi nessun caso sono riusciti a dare vita ad un nuovo songbook. Si citano musicisti di primissimo piano, come Sarah Vaughan ed il suo album dedicato ai Beatles o Herbie Hancock con il suo New Standards in cui compaiono composizioni di Sade, Stevie Wonder, Kurt Kobain senza per questo riuscire ad andare oltre un "immediatamente dimenticabile" come scrive Timberg. Anche i jazzisti italiani si sono molto cimentatii in questo ambito: gli album infarciti di canzoni saccheggiate al pop e ai cantautori si sprecano, tutti con la stessa impostazione di base: il tema, ben riconoscibile, e qualche assolo, senza nessuna considerazione verso metrica e armonia, limitandosi a "jazzificare" banalmente il tutto . Una modalità a mio parere, del tutto insufficiente, tant'è che la stragrande maggioranza di questi dischi fa largamente rimpiangere le canzoni originali, ed è, appunto, "immediatamente dimenticabile". Tornando agli autori americani è difficile fare una sintesi dei due articoli, troppo corposi per essere compressi in uno spazio "veloce" come un blog senza essere forzati e in parte travisati. Lettura stimolante più nelle analisi e nelle citazioni dei musicisti che non nelle conclusioni, consiglio pertanto agli interessati la lettura direttamente dai link: http://www.theatlantic.com/magazine/archive/2012/11/the-end-of-jazz/309112/1/ http://www.salon.com/2012/12/24/did_the_american_songbook_kill_jazz/ |
Post n°2513 pubblicato il 02 Gennaio 2013 da pierrde
Articolo curioso e intrigante quello di Lorenzo Cairoli comparso su La Stampa del 31 dicembre. Si parla di orchestre improbabili a partire dagli strumenti. E se la viennese Vegetable Orchestra è attiva e documentata da qualche anno su You Tube, assolutamente nuova è invece la messicana Orchestra Basura, che ricava i propri strumenti setacciando le oltre tredicimila tonnellate di rifiuti prodotte dalla metropoli in cui vivono, Città del Messico. Non esistono video al momento del gruppo messicano, non ci rimane che credere sulla parola all'autore dell'articolo di cui riporto la parte iniziale, rimandando i curiosi al link a piè pagina: Fino a poche settimane fa l’Oscar dell’orchestra più stravagante del pianeta spettava alla “Vegetable Orchestra”. Undici musicisti, tutti viennesi e geniali più un ingegnere del suono e un video artista che componevano una musica senza confini, dove i generi si intersecavano, si fondevano e si riciclavano in inedite sonorità. Noise Rock shakerato con Dub, Free Jazz meticciato a Musica Elettronica Sperimentale, strati di Click’s n Cuts sovrapposti a Beat Oriented in un ghiotto timballo polifonico. La Vegetable Orchestra – vegetale di nome e di fatto – i suoi strumenti non li comprava ma se li creava da sè. E così dopo una mattina spesa a girare per i mercati ortofrutticoli, gli undici musicisti si chiudevano nel loro laboratorio dove creavano violini di porri, deliziose nacchere ricavate da melanzane, peperoni trasformati in trombe in miniatura, bongos di sedano-rapa, tamburi di zucca, bacchette per suonare percussioni, per dirigere orchestre o archi da violino intagliati dalle carote. E ancora fagioli, cespi di insalata, bucce di cipolle e il misterioso cucumberphone. La Vegetable Orchestra tiene concerti in Asia e in Europa e al termine, distribuisce minestrone per tutti. A stravaganza, però, in Messico c’è chi sa essere ancora più spiazzante degli undici viennesi. Con qualche chilo delle oltre tredicimila tonnellate di spazzatura che ogni giorno Città del Messico vomita nelle strade, quattro studenti, Jair Cerda, etnomusicologo, Fernando López, studente di composizione e Amalia Aguirre e Óscar de Jesús, studenti di educazione musicale, hanno creato i loro strumenti per dar vita a un nuovo ritmo latino, la “jazzura”. |
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