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Mondo Jazz

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Registrato il 26 ottobre 2017 a Villa Attems, Lucinico (GO)



 

 

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Messaggi del 12/11/2014

IL JAZZ ITALIANO

Post n°3777 pubblicato il 12 Novembre 2014 da pierrde

Leggere costantemente i (pochi) blog italiani che si occupano di jazz mi ha sempre dato stimoli mportanti e aiutato spesse volte a meglio comprendere la storia della nostra musica.

Naturalmente non è sempre detto che i pareri collimino, e questo è il caso che vi propongo: il notevole blog Strategie Oblique pubblica nello spazio di pochi giorni due interviste, una a Filippo Bianchi e l'altra a Adriano Mazzoletti. Due nomi che ad un appassionato dicono molto e che raccontano molti anni della storia del jazz in Italia.

Ebbene, sembra che i due critici abbiano due visioni piuttosto differenti sul jazz italiano:ecco come Bianchi risponde alle domande

Esiste il jazz italiano, inteso come stile riconoscibile?

Mi sembrerebbe un’affermazione spericolata. Non credo molto alle scuole su base geografica, anzi penso che quelle che conosciamo siano la conseguenza della comparsa di personalità eccezionali, diventate cime di piramidi: sotto di loro sono cresciuti gli emulatori, a varie altezze; senza di loro, non è che l’aria di New Orleans o di Chicago abbia qualcosa di speciale rispetto, poniamo, a Detroit o Boston. Le personalità eccezionali sono le scintille da cui nasce “un ambiente” favorevole, quello che poi si stratifica in una scuola o uno stile. Ricordo che alcuni protagonisti del West Coast Jazz non erano affatto californiani, probabilmente erano capitati lì proprio perché sapevano che avrebbero trovato colleghi interessanti. Negli anni Sessanta, a Londra, Ronnie Scott cambiò sede al suo celeberrimo locale, ma siccome aveva pagato l’affitto della vecchia sede per tutto l’anno, ne concesse l’uso a quella generazione di musicisti ¬– comprendente Kenny Wheeler, Tony Oxley, Dave Holland, Evan Parker, John Stevens, John McLaughlin, Paul Rutherford – che lì suonava sperimentando liberamente tutte le sere, senza altra preoccupazione che la musica. Una volta ho chiesto a Dave Holland se quella generazione avrebbe maturato una tale originalità e statura espressiva non avendo a disposizione in permanenza uno spazio libero. Mi rispose: «Probabilmente no». È chiaro che l’ambiente culturale e sociale esercita una qualche influenza, e che il multiculturalismo e multilinguismo di New Orleans creavano una situazione feconda per il jazz. Ma, pur collettivo nell’esecuzione, il jazz si regge sulla forza delle personalità individuali.

In molto lo individuano nella forza melodica.

Certo, esiste una tradizione melodica italiana che puoi rintracciare nello stile di Enrico Rava o Paolo Fresu, come ne esiste una nordica che riconosci in Jan Garbarek o Nils-Petter Molvær. E forse non è un caso che tre grandi di uno strumento vocato alla melodia come il clarinetto fossero di origini italiane: Tony Scott, Buddy DeFranco e Jimmy Giuffre. Uno stile italiano molto riconoscibile c’era semmai al tempo di Gorni Kramer e del Quartetto Cetra, oggi non saprei definirlo: ci sono in giro molti bravi jazzisti, e la loro somma fa il jazz italiano, in un’amplissima varietà di stili e orientamenti. Nonostante l’indifferenza delle istituzioni, al limite dell’ostilità, l’ambiente è piuttosto fecondo e aperto: due musicisti tanto diversi quanto Antonello Salis e Fabrizio Bosso suonano insieme, e si divertono molto a farlo, ma ognuno dei due ha un suo stile. La natura del jazz è nello scambio cosmopolita dei saperi e delle influenze.

invece Mazzoletti:

Le più importanti storie del jazz nel Mondo ignorano, o sottovalutano, il jazz italiano. Perché?

È una ragione molto lunga da spiegare. In passato il jazz italiano, dal dopoguerra agli anni Settanta, non è mai stato aiutato dai promoter, dai critici e dalle persone che eventualmente dovevano sottolineare l’evolversi del jazz. Se per esempio prendiamo la rivista francese Jazz Hot e la confrontiamo con Musica Jazz, che al tempo era l’unica rivista che esisteva in Italia, possiamo notare che ogni due o tre uscite della rivista francese c’erano dei musicisti della loro nazionalità, mentre da noi era rarissimo trovare in copertina un musicista italiano. Questo avveniva perché quelli che facevano Musica Jazz erano dei fondamentalisti; per loro il jazz era americano e non si scostavano da questa idea. In parte avevano anche ragione, però al di là del jazz americano ci sono stati grandi musicisti, che avevano il loro grande valore. Anche per questo motivo il jazz italiano non ha mai goduto di considerazione all’estero, non ha mai catturato l’attenzione delle riviste e della critica in genere fuori dai confini nazionali. Sono di fatto rarissimi i casi di musicisti italiani che hanno passato le Alpi fino agli anni Settanta.

Nel corso del tempo alcune cose sono cambiate.

Sì, e un po’ lo si deve a un qualcosa che in un certo senso mi riguarda. A metà degli anni Sessanta c’è stata da parte dell’Unione Europea Radiodiffusione una sorta di organizzazione molto importante: tutte le radio pubbliche d’Europa si sono messe d’accordo e hanno varato un’iniziativa per la musica jazz, con uno scambio continuo di registrazioni e di musicisti. Questo ha fatto sì che i musicisti italiani hanno incominciato a essere apprezzati all’estero. Uno su tutti è stato Gianluigi Trovesi. Quando l’ho mandato a un concerto in Austria, tutti i colleghi presenti rimasero a bocca aperta, perché non si aspettavano che in Italia ci fosse un musicista così interessante. In seguito fu invitato spesso all’estero, e la stessa cosa accadde a Enrico Rava e Giovanni Tommaso. Dopodiché le cose si sono evolute e con il tempo il jazz italiano – e non lo dico io, ma molti colleghi stranieri – nella sua globalità è il jazz più importante nel Mondo.

Fonte: http://strategieoblique.blogspot.it/

 
 
 

A MARQUIS HILL IL T.MONK COMPETITION

Post n°3776 pubblicato il 12 Novembre 2014 da pierrde

Il vincitore del Thelonious Monk Internazional Trumpet Competition 2014 è Marquis Hill . Cresciuto sul lato sud di Chicago, Hill, 27 anni, è un veterano della scena jazz di quella città e un prodotto delle sue istituzioni - ha conseguito un master in pedagogia jazz presso la DePaul University e suona nella Chicago Jazz Orchestra. E 'attualmente docente presso la University of Illinois a Chicago, e ha pubblicato diversi album su etichette indipendenti.

Marquis Hill ha suonato in un concerto di gala domenica sera al Dolby Theater di Los Angeles, che comprendeva anche la assegnazione di un premio al presidente Bill Clinton, e le esibizioni di Pharrell Williams con Herbie Hancock, Dianne Reeves con Wayne Shorter e Taj Mahal con John Mayer e Marcus Miller. La performance vincente d Hill consisteva nelle versioni di "If I Were A Bell" e "Polka Dots e Moonbeams", con il sostegno del pianista Reginald Thomas, il bassista Rodney Whitaker e il batterista Carl Allen.

Fonte: 

http://artsbeat.blogs.nytimes.com/2014/11/10/marquis-hill-wins-the-thelonious-monk-competition/?_r=0

 
 
 
 

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