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DA CHE PULPITO...

Post n°26 pubblicato il 04 Settembre 2008 da npafriulivg

Da Brescia a Reggio Calabria
Così la Gelmini diventò avvocato
L'esame di abilitazione all'albo nel 2001.
Il ministro dell'Istruzione: «Dovevo lavorare subito»

Novantatré per cento di ammessi agli orali! Come resistere alla
tentazione? E così, tra i furbetti che nel 2001 scesero dal profondo
Nord a fare gli esami da avvocato a Reggio Calabria si infilò anche
Mariastella Gelmini. Ignara delle polemiche che, nelle vesti di
ministro, avrebbe sollevato con i (giusti) sermoni sulla necessità di
ripristinare il merito e la denuncia delle condizioni in cui versano le
scuole meridionali. Scuole disastrose in tutte le classifiche
«scientifiche» internazionali a dispetto della generosità con cui a
fine anno vengono quasi tutti promossi.



La notizia, stupefacente proprio per lo strascico di polemiche sulla preparazione,
la permissività, la necessità di corsi di aggiornamento, il bagaglio
culturale dei professori del Mezzogiorno, polemiche che hanno visto
battagliare, sull'uno o sull'altro fronte, gran parte delle
intelligenze italiane, è stata data nella sua rubrica su laStampa.it da
Flavia Amabile. La reazione degli internauti che l'hanno intercettata è
facile da immaginare. Una per tutti, quella di Peppino Calabrese: «Un
po' di dignità ministro: si dimetta!!» Direte: possibile che sia tutto
vero? La risposta è nello stesso blog della giornalista. Dove la
Gelmini ammette. E spiega le sue ragioni.



Un passo indietro. È il 2001. Mariastella, astro nascente di Forza Italia, presidente
del consiglio comunale di Desenzano ma non ancora lanciata come
assessore al Territorio della provincia di Brescia, consigliere
regionale lombarda, coordinatrice azzurra per la Lombardia, è una
giovane e ambiziosa laureata in giurisprudenza che deve affrontare uno
dei passaggi più delicati: l'esame di Stato.



Per diventare avvocati, infatti, non basta la laurea. Occorre
iscriversi all'albo dei praticanti procuratori, passare due anni nello
studio di un avvocato, «battere» i tribunali per accumulare esperienza,
raccogliere via via su un libretto i timbri dei cancellieri che
accertino l'effettiva frequenza alle udienze e infine superare appunto
l'esame indetto anno per anno nelle sedi regionali delle corti
d'Appello con una prova scritta (tre temi: diritto penale, civile e
pratica di atti giudiziari) e una (successiva) prova orale. Un ostacolo
vero. Sul quale si infrangono le speranze, mediamente, della metà dei
concorrenti. La media nazionale, però, vale e non vale.
Tradizionalmente ostico in larga parte delle sedi settentrionali, con
picchi del 94% di respinti, l'esame è infatti facile o addirittura
facilissimo in alcune sedi meridionali.



Un esempio? Catanzaro. Dove negli anni Novanta l'«esamificio» diventa via via una industria.
I circa 250 posti nei cinque alberghi cittadini vengono bloccati con
mesi d'anticipo, nascono bed&breakfast per accogliere i pellegrini
giudiziari, riaprono in pieno inverno i villaggi sulla costa che a
volte propongono un pacchetto «all-included»: camera, colazione, cena e
minibus andata ritorno per la sede dell'esame.
Ma proprio alla
vigilia del turno della Gelmini scoppia lo scandalo dell'esame
taroccato nella sede d'Appello catanzarese. Inchiesta della
magistratura: come hanno fatto 2.295 su 2.301 partecipanti, a fare
esattamente lo stesso identico compito perfino, in tantissimi casi, con
lo stesso errore («recisamente» al posto di «precisamente», con la «p»
iniziale cancellata) come se si fosse corretto al volo chi stava
dettando la soluzione? Polemiche roventi. Commissari in trincea: «I
candidati — giura il presidente della «corte» forense Francesco Granata
— avevano perso qualsiasi autocontrollo, erano come impazziti». «Come
vuole che sia andata? — spiega anonimamente una dei concorrenti
imbroglioni —. Entra un commissario e fa: "Scrivete". E comincia a
dettare il tema. Bello e fatto. Piano piano. Per dar modo a tutti di
non perdere il filo».



Le polemiche si trascinano per mesi e mesi al punto che il governo Berlusconi non
vede alternative: occorre riformare il sistema con cui si fanno questi
esami. Un paio di anni e nel 2003 verrà varata, per le sessioni
successive, una nuova regola: gli esami saranno giudicati estraendo a
sorte le commissioni così che i compiti pugliesi possano essere
corretti in Liguria o quelli sardi in Friuli e così via. Riforma
sacrosanta. Che già al primo anno rovescerà tradizioni consolidate: gli
aspiranti avvocati lombardi ad esempio, valutati da commissari d'esame
napoletani, vedranno la loro quota di idonei raddoppiare dal 30 al 69%.
Per
contro, i messinesi esaminati a Brescia saranno falciati del 34% o i
reggini ad Ancona del 37%. Quanto a Catanzaro, dopo certi record
arrivati al 94% di promossi, ecco il crollo: un quinto degli ammessi
precedenti.



In quei mesi di tormenti a cavallo tra il 2000 e il 2001 la Gelmini si trova dunque a scegliere,
spiegherà a Flavia Amabile: «La mia famiglia non poteva permettersi di
mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore.
Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l'esame per
ottenere l'abilitazione alla professione». Quindi? «La sensazione era
che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e
altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l'esame. Per
gli altri, nulla. C'era una logica di casta, per fortuna poi modificata
perché il sistema è stato completamente rivisto». E così, «insieme con
altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso
di andare a fare l'esame a Reggio Calabria».
I risultati della
sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti. Nonostante lo
scoppio dello scandalo, nel capoluogo calabrese c'era stato il primato
italiano di ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo che nella Brescia
della Gelmini (31,7) o a Milano (28,1), il quadruplo che ad Ancona.
Idonei finali: 87% degli iscritti iniziali. Contro il 28% di Brescia,
il 23,1% di Milano, il 17% di Firenze. Totale: 806 idonei. Cinque volte
e mezzo quelli di Brescia: 144. Quanti Marche, Umbria, Basilicata,
Trentino, Abruzzo, Sardegna e Friuli Venezia Giulia messi insieme.



Insomma, la tentazione era forte. Spiega il ministro dell'Istruzione:
«Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi». Del
resto, aggiunge, lei ha «una lunga consuetudine con il Sud. Una parte
della mia famiglia ha parenti in Cilento». Certo, è a quasi cinquecento
chilometri da Reggio. Ma sempre Mezzogiorno è. E l'esame? Com'è stato
l'esame? «Assolutamente regolare». Non severissimo, diciamo, neppure in
quella sessione. Quasi 57% di ammessi agli orali. Il doppio che a Roma
o a Milano. Quasi il triplo che a Brescia. Dietro soltanto la solita
Catanzaro, Caltanissetta, Salerno. Così facevan tutti, dice Mariastella
Gelmini. Da oggi, dopo la scoperta che anche lei si è infilata tra i
furbetti che cercavano l'esame facile, le sarà però un po' più
difficile invocare il ripristino del merito, della severità,
dell'importanza educativa di una scuola che sappia farsi rispettare.
Tutte battaglie giuste. Giustissime. Ma anche chi condivide le scelte
sul grembiule, sul sette in condotta, sull'imposizione dell'educazione
civica e perfino sulla necessità di mettere mano con coraggio alla
scuola a partire da quella meridionale, non può che chiedersi: non
sarebbero battaglie meno difficili se perfino chi le ingaggia non
avesse cercato la scorciatoia facile?

Gian Antonio Stella

 
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