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Messaggi del 04/09/2023

Le verità faticosamente nascoste.

Post n°2759 pubblicato il 04 Settembre 2023 da fedechiara
 

Lo sapevamo da tempo. Già Cossiga, l'incontinente politico delle rudi dichiarazioni fuori dagli schemi della ipocrisia politica vigente, ce lo aveva detto a pochi mesi di distanza dal fattaccio:
'E' stato un missile dei Francesi ad abbattere il nostro aereo.' Al fine di colpire l'aereo libico che avrebbe dovuto avere a bordo Gheddafi, il loro nemico giurato in terra d'Africa.
Ma il diavolo fa gli aerei-pentole e trascura il coperchio dei congegni di puntamento dei missili e gli aerei in ritardo sulla tabella di marcia – ed è così che si uccidono gli innocenti e si perdono le guerre politiche (anche quella di Ucraina, si).
E ci sorprese, invece, la figura di palta dei militari che, tetragoni, testimoniarono il contrario a più riprese, alcuni vaneggiando la tesi della bomba all'interno - o della forchetta sfuggita di mano ad una hostess che lacerò l'involucro esterno e fece esplodere l'aereo in prossimità dell'aeroporto di arrivo (versione tragicomica di un possibile canovaccio teatrale) e/o di uno spirito folletto che aprì la porta in volo per burla. 
Prossime rappresentazioni nel teatro greco di Siracusa con il coro lamentoso dei parenti e degli amici dei morti a lamentare le perduranti bugie di stato e i vergognosi depistaggi.
E la domanda che ci poniamo tutti, invece, è:
'Perchè il Giulianone nostro nazionale ha aspettato così tanto a dire le lapalissiane cose sulla strage di Ustica?'. Già. Perché?
Perché mai ha atteso le prime frescure di settembre per consegnarci quella sua conversazione amabile su uno dei misfatti più clamorosi della nostra vita nazionale (vedetevi il cd della rappresentazione teatrale che ne ha fatto Marco Paolini)?
Qualche giornalista trinariciuto sui giornali di destra avanza la tesi che lo abbia fatto per mettere i bastoni fra le diplomatiche ruote della Meloni – incessante viaggiatrice di quel nulla politico (costosissimo) che sono i vertici e gli incontri al vertice e le strette di mano ad usum fotograforum atque gonzorum. E' possibile.
E, se fosse vero, si dimostrerebbe una volta ancora come la politica politicata dei partiti e del parlamento dei partiti che tanto ci indigna per l'ipocrisia fatta sistema e la pochezza dei suoi membri (nessuno escluso) si sorregge sulle verità nascoste di una mala Italia covo di vipere e di mentitori professionali dalla faccia di tolla che, in video e in voce, ci propinano le loro veline tele giornalistiche sicuri che il popolo bove in ascolto non avrà reazioni di sorta, non farà rivoluzioni, non scenderà in piazza.
Né per rivendicare la verità su Ustica né per quella, ormai morta e seppellita nel tempo lungo delle nostre vite, del povero Regeni. Correva l'anno...

 
 
 

Città future.

Post n°2758 pubblicato il 04 Settembre 2023 da fedechiara
 

La città futura. 03 settembre 2016
Mi sono aggirato nei labirinti luridi del mio primo slum metropolitano a 20 anni, a Manila e, quando ne parlai a un amico che lavorava nella capitale, mi disse che ero fortunato di esserne uscito indenne. Mi muoveva la curiosità di tutte quelle persone chiuse in quella dimensione urbana di miseria eclatante e fatica di vivere e nessuna speranza, a breve, di uscire da quel ghetto osceno, crudelmente contrapposto alla città di pietra e monumenti e strade pulite ed edifici governativi e ristoranti e cinema, insomma il 'centro': motore della fragile economia metropolitana che tutto sostiene, anche le briciole che si portano via gli ultimi e i marginali: gli abitanti degli slums.
E anche Bruxelles, l'oscena capitale del 'plat pays' cantato da J. Brel (in realtà un paesaggio ondulato e fitto di boschi e foreste) ha il suo 'centro': motore di una economia turistica asfittica e massimamente caotica – e a stento si passa tra i tavoli e le sedie delle strette viuzze e delle piazzette dove fastidiosi 'mettidentro' insistono a rifilarti il piatto del giorno e le altre schifezze precotte di quasi tutti i ristoranti turistici all over the world.
E Bruxelles ha anch'essa il suo 'slum' – l'immenso distendersi di una crosta di periferia urbana oscena a vedersi e a udirsi (diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira) che ieri era dormitorio delle truppe di lavoratori di una immigrazione interna all'Europa, sopratutto italiana (le miniere del Belgio e le attività metallurgiche oggi morte e sepolte) e oggi è il teatro all'aperto di apparenza miserabile e fitto di cartacce e lattine di una immigrazione 'mondialista' come si ama dire.
E, se percorrete la rue Charles Quint in direzione del centro storico, avrete la plastica rappresentazione di come si presenteranno ai figli e ai nipoti tutte le metropoli europee affannate dall'immigrazione selvaggia di questi anni da qui a un decennio. E ancora non mi è chiaro quali mani 'coloured' e barbe arabe e menti future di chissà che provenienza e tradizione e cultura di origine saranno incaricate di gestire gli archivi della cultura europea occidentale custodita nei musei e nelle pinacoteche che visitiamo e chi dirigerà i concerti della meravigliosa musica classica di Bach e Haendel e Mozart nei teatri storici e negli auditorium.
Però abbiamo già i molti sacerdoti neri che cogestiscono la grande chiesa del Sacre Coeur e officiano i riti funebri e vi celebrano i matrimoni – e così ci è chiaro il perché, in tanta 'crisi delle vocazioni' bianche e occidentali, il papa di Roma insista così tanto nel voler accogliere tutti i sedicenti profughi – qualche prete ne uscirà dalle centinaia di migliaia che accogliamo obtorto collo nella tanto generosa Europa vogliosa di mutazioni epocali.
E, se si eccettua la meravigliosa cattedrale bianca che svetta nel suo biancore gotico sopra il suo alto zoccolo di gradoni con-colori, neanche il centro storico e la sua 'piazza grande' danno emozioni estetiche degne di nota. E vien voglia di scappare al più presto per chi, come noi, 'ha visto Gand' e Bruges – scappare con l'amaro in bocca da questa metropoli futura che ci spinge a rifugiarci mentalmente in un impossibile 'ritorno al passato'.
E sarà per l'affanno dalla calura estiva e la quantità inverosimile di turisti - che pare di essere a Venezia nella sua devastata 'area marciana' con le cavallette del 'mordi e fuggi' quotidiano - che lascio mia figlia seduta su un muretto a far riposare i suoi borders e mi spingo in un bar poco distante e ordino una 'Leffe' bionda e chiacchiero con il facondo gestore, un belga bianco per antico pelo sopravvissuto alla mutazione epocale della sua città e gli chiedo come va, dopo la mattanza dei 'radicalizzati sul web' ultima scorsa.
Risponde: 'Bene.' con un suo certo disagio mal celato, ma poi aggiunge: 'On sait bien que ce n'est pas fini.' Sappiamo bene che non è finita, già.
E, cercando la via del ritorno al parcheggio dove abbiamo lasciato la macchina, passiamo per un lungo-fiume dove l'amministrazione comunale, disperata dopo gli ultimi eventi tragici, ha effigiato una quantità di gente multi colore e di etnia diversa tutti sorridenti e, nell'intenzione e nella speranza degli autori istituzionali, ben integrati e contenti di vivere colà - tutti insieme appassionatamente, nel Belgistan dei nostri tormenti e dubbi atroci. Compresi i poliziotti bianchi delle molte auto-pattuglie che sfrecciano ininterrottamente per via Charles Quint e istituiscono i posti di blocco e sorridono tra loro e si danno pacche sulle spalle – forse felici per la quantità di lavoro che viene assicurata loro dalla città futura delle banlieueus multietniche.
Facciamoci gli auguri. Molti radicalizzati sono già tra noi – lo hanno detto in molti articoli i valenti giornalisti bene addentro alle 'intelligences' dei vari paesi sotto attacco - e molti altri ne andiamo a prendere quotidianamente con le 'navi dei folli' di Frontex, giusto a dieci miglia nautiche dalla Libia. Buonismo o masochismo? Chi vivrà dirà. Intanto i cocci di questa ondata di miseria di ritorno (e i morti e i feriti per le strade) sono nostri.
Nessuna descrizione della foto disponibile.
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