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Messaggi del 09/09/2023

Narrazioni unilaterali partigianissime.

Post n°2769 pubblicato il 09 Settembre 2023 da fedechiara
 

'12 minuti di applausi', dice la tele giornalista di rai3 del film di Matteo Garrone. Che è film del filone 'buonista' docg e narrazione unilaterale di quello che sognano i filo pd e i 'no borders' ad onta di quanto ci raccontano a profusione le cronache di vita e mala vita dalle orribili periferie del degrado sociale.
Un film (ogni Mostra ce ne propina almeno un paio di quel filone) che dà premio di riuscita ad ogni e tutti i sognatori e i desiderosi di 'un futuro migliore' migranti a bordo delle imbarcazioni dei naufragi organizzati. E l'intera flotta mediterranea è a premio degli scafisti e dei trafficanti di morte presto pronta al trasbordo gratuito e tutti a Lampedusa - da dove partono ogni quindici minuti le navette per ogni città, paese e paesuolo della penisola dove si celebra 'l'accoglienza diffusa' con i festosi comitati di accoglienza e l'orchestra, olè!
Che perfino la Meloni delle promesse elettorali di 'blocco navale' assiste basita e impotente alla sagra perenne del naufragio organizzato e alla festosa lotteria del mare degli scafisti assassini ed emette languidi gemiti di aiuto verso l'Europa le cui stelle 'stanno a guardare' o si girano dall'altra parte.
Bisognerebbe calcolare quante persone erano presenti alla proiezione del film di Garrone – quasi tutti giornalisti accreditati, quasi tutti sinistri e associati – per capire quanto quel suo film di sogni e sognatori (incluse le anime belle dei collaboratori e dei tecnici del film in questione) avrà carriera lunga nelle sale e nelle televisioni.
Solitamente assistiamo ad un gran battage di stampa e tiggi amici nei giorni della Mostra del Cinema poi segue l'oscuro percorso degli altri festival all over the world e i premi relativi, ma quanto al grosso pubblico e agli incassi è lecito dubitare che si solleverà dai bassifondi delle classifiche, dato il soggetto e la narrazione unilaterale e partigianissima della tragedia immigratoria che affanna l'Europa.
E avversare quella narrazione unilaterale e partigiana dello spaventoso fenomeno migratorio degli ultimi decenni è obbligo civico - un 'must' alla luce di quanto leggiamo, invece, di quanto accade nelle enclaves islamiche nemiche delle maggiori città europee, ultima Parigi, messe a ferro e fuoco ogni volta che gli interventi infelici delle forze dell'ordine ci consegnano un migrante di prima o seconda generazione morto per aver tentato la fuga ad un posto di blocco.
Ed ogni film di celebrazione migratoria ed elegia/apologia di sogni infranti è messaggio maledetto rivolto all'intero continente africano e asiatico e invito aperto e complice a 'provarci' a violare le frontiere-gruviera di questa nostra Europa – che quegli intellettuali tanto buoni e accoglienti definiscono 'una fortezza' ed è, invece, un colabrodo di storie tristi e di mala vita quali siamo costretti a leggere ogni giorno nelle cronache di infamia di stupri e spaccio e nelle pagine di 'nera'.
Non andate a vederlo. Lascia il tempo che trova e vi confermereste nei vostri pregiudizi.
“Io Capitano” di Matteo Garrone, non basteranno dodici minuti di applausi a Venezia per lavarci la coscienza - MOW - Mowmag.com
MOWMAG.COM
“Io Capitano” di Matteo Garrone, non basteranno dodici minuti di applausi a Venezia per lavarci la coscienza - MOW - Mowmag.com

 
 
 

Veli e vesti della tradizione.

Post n°2768 pubblicato il 09 Settembre 2023 da fedechiara
 

Veli e vesti della tradizione.

Osservavo una madre stamane, in attesa del mio turno di prelievo del sangue.
Era elegante nella sua tunica color amaranto e, verosimilmente, di origini bengalesi, a giudicare dal colorito del viso del marito che le sedeva a fianco. Il colore di lei era di difficile distinzione perché solo la fronte e gli zigomi uscivano dalla fasciatura dei veli e dei contro veli fissati in alto da una spilla d'argento.
Dico 'contro veli' nel senso tecnico del termine (caso mai ci fosse qualche amante del politicamente corretto in agguato) perché la fasciatura esterna coronava una fasciatura interna e non le occorreva indossare la mascherina sanitaria obbligatoria perché già 'mascherinata' di suo ad abundantiam.
E mi chiedevo se quella sua mise, peraltro elegante, era condivisa nel profondo dei suoi pensieri o se conseguiva al mix della 'tradizione+desiderio del marito e della comunità etnica di appartenenza+sincera condivisione dei dettami dell'islam, etc, etc. '
Tutto ciò anche alla luce delle notizie che ci vengono dalla Francia: che solo 62 renitenti figlie di immigrati sono tornate a casa perché disobbedienti alla legge che fa divieto di indossare in classe la 'abaya', la tipica veste-tunica delle donne islamiche. E anche lì sarebbe interessante conoscere le storie delle fiere renitenti e scoprire, magari, che tra loro ci sono delle 'Saman' (la ragazza uccisa dai parenti per il suo ostinato rifiuto a piegarsi al voleri della maledetta tradizione) e che è la famiglia a obbligarle a quel cieco rifiuto ideologico.
E mi viene in mente che il velo lo portavano anche le nostre contadine e montanare negli anni Cinquanta, e lo portano anche le suore – e la differenza è che si tratta di volontarie scelte di dedizione religiosa e clausure conseguenti mentre qui è l'onda islamica montante nelle periferie in guerra contro l'Europa accogliente a proporcelo come divisa di battaglia ideologica e mancate integrazioni.
A quando tribunali islamici riconosciuti dalla nostra giurisdizione e la sharia applicata nelle enclaves etniche ribelli? Chiedo per un amico.
Hijab, niqab e burka: le differenze tra i veli delle donne musulmane - Focus.it
FOCUS.IT
Hijab, niqab e burka: le differenze tra i veli delle donne musulmane - Focus.it

 
 
 

Dalla Cina con dolore.

Post n°2767 pubblicato il 09 Settembre 2023 da fedechiara
 

09 settembre 2015
Jiang Heng, artista cinese, ('Highway to Hell' - palazzo Michiel - Strada Nuova - Venezia) ci racconta da par suo che, malgrado quegli occhi strani che si ritrovano, lui e i connazionali, uguali pensieri filosofici relativi al dolore di vivere e alla vita breve e all'oscurità della morte, illuminano le sinapsi orientali e occidentali.
Ed ecco la sua riflessione amletica col teschio (molti teschi) adornato di una effimera florealità pittorica che lo traduce in 'pop art' un filo macabra, ma capace di ricordarci che 'siamo polvere' - magistralmente aggregata e in qualche modo funzionante - ma che 'polvere ritorneremo', ahinoi, dopo aver scroccato un bel po' di filo alle Parche.
E, malgrado le bambole e i bamboleggiamenti delle giovanissime fanciulle in fiore che vediamo ospiti delle nostre calli e fanno 'ciao-ciao' con le manine a bordo dei motoscafi strapieni, anche quella loro bellezza orientale e l'incarnato niveo e liscio che gli invidiamo subiranno l'onta del Tempo - che tutto ossida e trasforma in decrepitezza e abbandono e diverso futuro.
Ed ecco spiegarsi davanti ai nostri occhi, a tutta sala, l'orrido campo di morte di migliaia di 'Barbie', - un ossario 'pop' funereo e spaventosissimo su cui campeggia 'l'albero degli impiccati', che già conoscevamo per via di Pinocchio, favola di morte e resurrezione del nostro Collodi -, a dirci che tutto, perfino quelle stupidissime bambole che hanno riempito l'infanzia lieta e leggera delle nostre figlie e nipoti, tutto decade e si corrompe e la vita umana è e sarà piena di pillole da ingurgitare per restare in salute un paio di anni ancora, viva la Medicina che nutre la Speranza.
E sarebbe interessante conoscere come e dove l'artista sia riuscito a collezionare tutte quelle povere bambole morte per smembrarle sadicamente e 'artisticamente'.
La Biennale di 'tutti i futuri del mondo' è anche questo, prova a dirci Jiang Heng: il racconto di un futuro breve e corrotto già al suo nascere. Praticamente un ripasso dell'Eccesiaste.

 
 
 
 
 

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