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Effetto notte (a sud-est del cuore).

Post n°183 pubblicato il 13 Maggio 2014 da Noneraunsogno

Saggia come la pioggia di maggio scende la sera. Pulisce, lava, toglie la luce che s'attarda lungo i muri delle case di questa ennesima periferia. Quante ne conosco? quante ne avrò viste in questi anni di viaggi? Non so nemmeno io perchè le guardo in questo modo, perchè mi sento attratto dalle interminabili file di silenzio e di vuoto.

Eppure si assomigliano tutte, le periferie;  hanno lo stesso colore, gli stessi sguardi, gli stessi strati di unto e di dolore.

Ovunque,  facce di cemento sputano per aria la rassegnazione; a muso duro, urlano dai finestrini  la loro rabbia, come se ci tenessero a far sapere che sono in guerra contro  tutto e tutti.

La macchina, per mia fortuna non segue i miei ragionamenti e  procede oltre, non si volta indietro, è insensibile persino al richiamo delle donne che misurano la notte in lungo e in largo.

Questo era l'ultimo incontro. Per oggi, avrei anche finito.

Mi passa accanto una volante, non la guardo nemmeno, faccio finta di essere concentrato sulla guida, mi do un'aria da turista, sto in campana, ma non rallento; ho  la mano sulla leva del cambio, sembro un manichino incatenato al sedile prima del fatidico crash test a cui sarà sottoposto.

Non importa se non mi rassomiglio oramai da molto tempo; canticchio la tua prima luna tanto per chiarirmi che sono sempre libero di frenare o di fuggire, ma non posso esagerare nel conflitto, potremmo rimanere paralleli nella corsa e sfidarci così per ore ed ore, ma ho le gambe raggelate, in preda ai crampi, e non potrei resistere a lungo in questa condizione,  sto tenendo stretta fra le cosce una bionda, gelida e frizzante come la morte.

Per fortuna, la macchina della polizia svolta a destra accendendo il lampeggiante,  inseguendo un'altra vita, un'altra birra, forse, più  bionda e spumeggiante della mia.

Apro il finestrino e respiro il sudore che ha lasciato fra i sedili il giorno in fuga.

Le birre cominciano a fare il loro effetto, bisogna che mi fermi prima che la vescica decida di svuotarsi in corsa, seduta stante, senza freno, come fiume in piena appena rotti gli argini.

Sul sedile posteriore il cosacco non da segni di vita. Ha un sorriso disegnato sulle labbra, quasi un marchio o una garanzia per  me  che lo sto osservando.
Il suo respiro è rimasto senza fiato non appena ha chiuso gli occhi.
Non ci siamo detti niente: niente nomi, niente saluti e nessuna falsa  presentazione. Solo due parole ad indicare provenienza e destinazione.
Entrambi siamo in viaggio.

Accosto su un breve rettilineo, spengo il motore e scendo, guadagnando in fretta il ciglio della strada come fosse un traguardo.

Guardo la città in lontananza mentre do fiato alle trombe e acqua alla campagna, in piedi oltre il guard-rail, oltre il confine disegnato dai fari delle macchine di passaggio.

Un tir, sorpassando, squarcia il liquido tintinnio che incessante accompagna la pioggia che scorre via dall'umana latrina ambulante.

Così, con un braccio sul fianco, quasi come un generale dopo la battaglia, osservo lo spazio che corre fino a valle, quel che resta di anni di battaglie.

Vedo luci che rimbalzano ovunque, imprecise come traccianti, ed altre luci che disegnano la vita di piccoli quartieri sdraiati sui tornanti che risalgono, a fatica, i fianchi accennati delle montagne.

Mi sento altro, nè luce nè ombra; sono consapevole di  appartenere al disordine interiore della notte.

So che domani sarò lontano, un'altra volta sulla strada,  clandestino dentro un corpo imbevuto di chilometri e di alcool.

Straniero ed ubriaco fra le braccia di una  bottiglia di cui non ricorderò  nome,  forma e contenuto.
Straniero nella mia terra che sa di arte, di scienza e di taverna.

Senza il cosacco che riabbraccerà all'alba la sua donna.

Si, perchè lui e lei,  finalmente, si ritroveranno  dentro un sogno liberato dalla polvere e dal fango.

Un sogno a cui in molti, come sempre,  non faranno caso o non vedranno.

 

 
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