QUER FATTACCIO

blog di politica, notizie curiose, amenità varie in ordine più o meno sparso, così come mi vengono nello Zibaldone della mia mente...

Creato da Quer_fattaccio il 03/02/2010

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SARTRE COSI' E' TRAMONTATO IL MITO DELL'INTELLETTUALE IMPEGNATO

Post n°43 pubblicato il 16 Aprile 2010 da Quer_fattaccio

SARTRE Così è tramontato il mito dell' intellettuale impegnato
Èstrano. Il trentesimo anniversario della scomparsa del grande filosofo Jean-Paul Sartre sta suscitando, in Francia, un entusiasmo piuttosto tiepido. Sorprendere soprattutto se si pensa al trionfo con cui sono stati invece festeggiati, lo scorso gennaio, i cinquant' anni della morte di Albert Camus. Radicale e anticonformista, il filosofo di Saint Germain resta il simbolo dell' impegno intellettuale, il maître à penser di tutta una generazione di filosofi. Resta colui che, avendo rifiutato prima la legion d' honneur, poi il premio Nobel, ha incarnato fino in fondo la volontà di non lasciarsi strumentalizzare dal potere e quindi trasformarsi in un' istituzione. Eppure quale eredità ha lasciato il suo pensiero filosofico? Chi, oggi, può ancora dirsi veramente sartriano? All' indomani della Seconda Guerra Mondiale, e per più di trent' anni, Sartre combatte tutte le battaglie ideologiche: dalla critica all' imperialismo occidentale, ai viaggi in Unione Sovietica, a Cuba e in Cina, passando per la rivolta degli studenti e degli operai nel 1968, il filosofo francese non smette mai di prendere posizione. Per lui, essere un intellettuale significa scendere in campo e impegnarsi in prima persona, senza mai rinchiudersi in una torre di avorio. «La guerra mi ha insegnato l' importanza dell' impegno», afferma nel 1945, durante la famosa conferenza L' esistenzialismo è un umanismo. Pubblicato l' anno seguente, il testo del suo intervento rappresenta l' atto di nascita dell' esistenzialismo francese. L' umanismo, deriso nella Nausea, viene definitivamente riabilitato, insieme alla necessità, per ogni intellettuale, di assumersi la responsabilità delle proprie scelte. L' uomo non è più soltanto "condannato ad essere libero"e ad essere consapevole che "l' esistenza precede l' essenza", ma è anche condannato all' engagément. L' impegno non è una scelta. È un dato di fatto. È parte essenziale della condizione umana. La neutralità assiologica non esiste. Il rifiuto di scegliere è, di per sé, una scelta. Prendendo le distanze dal materialismo, secondo cui l' uomo è il mero frutto della realtà socioeconomica in cui vive, Sartre postula la necessità della scelta: una scelta assoluta e fragile al tempo stesso. Ognuno di noi deve costruire quotidianamente la propria esistenza, rifiutando le norme che vengono dall' esterno, per diventare attore della propria vita. Anche se la libertà di scelta rimane nei limiti della "fattualità", cioè del mondo, siamo noi che decidiamo di noi stessi. Solo i vigliacchi o i mascalzoni possono negare la profonda responsabilità che li lega a tutti gli altri uomini: «Quelli che nasconderanno a sé stessi, seriamente o con scuse deterministe, la loro totale libertà, io li chiamerò vigliacchi; gli altri che cercheranno di mostrare che la loro esistenza è necessaria, mentre essa è la contingenza stessa dell' apparizione dell' uomo sulla terra, io li chiamerò mascalzoni». Per lottare contro l' assurdità della vita, si deve accettare che il destino umano sia fatto di libertà e di responsabilità e che, per essere pienamente liberi e responsabili, ci si debba assumere il rischio dell' errore. Gli intellettuali non devono cedere alla "tentazione dell' irresponsabilità" e devono invece contribuire a produrre determinati cambiamenti nella società che li circonda. "Le parole sono azione". E per lottare contro il "male" si deve agire. Poco importa se si sbaglia. Poco importa, al limite, il sacrifico individuale. L' uomo appartiene alla collettività. Nel nome del "gruppo" tutto è possibile: contro l' inerzia delle istituzioni, il gruppo "libera gli uomini dall' alterità". È per questo che, per Sartre, si deve uscire dall' incertezza piccolo-borghese di un moralismo tormentato à la Camus, per assumere fino in fondo la "libertà come necessità". Cosa resta, tuttavia, dell' umanismo quando anche la presenza dell' altro diventa un ostacolo che si deve poter superare? Cosa resta, più generalmente, dell' engagément intellettuale quando la realtà contraddice le ideologie? Anche se, per anni, gli intellettuali francesi hanno preferito "aver torto" con Sartre piuttosto che "aver ragione" con Raymond Aron o Albert Camus, la storia ha sconfitto Sartre. La "fine delle ideologie", che Camus aveva preconizzato, ha seppellito il mito dell' intellettuale impegnato capace di incarnare l' universale per contrapporsi alle contingenze storiche. Nemmeno Camus, però, aveva previsto il vuoto che riempie oggi la sfera dei dibattiti pubblici. Gli intellettuali hanno definitivamente abdicato: alcuni sono tornati ad abitare le torri d' avorio; altri sono scesi a patti con il potere o con il mondo dello spettacolo. Anche se l' eredità di Sartre è scomoda, occorre evitare di seppellirla definitivamente. La necessità, per ciascuno di noi, di trovare il proprio cammino verso la libertà resta un monito valido ancora oggi. Esattamente come l' invito agli intellettuali a impegnarsi con coraggio nel mondo in cui vivono. La filosofia e la letteratura non sono un mero esercizio di stile. La scrittura e la parola devono coinvolgere tutta l' umanità. Se ognuno è ontologicamente responsabile del mondo in cui vive, però, è anche responsabile delle conseguenze contingenti delle proprie prese di posizione. Camus diceva che, se fosse stato costretto a scegliere tra la "giustizia" e "sua madre", avrebbe scelto, senza esitare, sua madre. Nel suo caso, però, non si trattava di abdicazione o di moralismo. Si trattava di una raccomandazione agli intellettuali almeno altrettanto importante quanto i moniti di Sartre: impegnarsi non vuol dire solo difendere l' universale, ma anche occuparsi della sorte dei singoli individui; l' engagément non è solo attivismo ideologico, ma consiste anche nel prendere sul serio l' estrema fragilità della condizione umana. L' umanismo esistenziale non è forse anche questo? - MICHELA MARZANO

 
 
 
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