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ORGOGLIO SAMMARINESE

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IL CAMMINO DI UNA IDEA

Post n°203 pubblicato il 10 Gennaio 2013 da orgogliosammarinese
 

COME SAN MARINO SI E' SALVATO- L'idea sconfigge anche i grandi

Un serio tentativo di sopprimere l'autonomia

Ma veniamo al fatto specifico del tentativo, da parte dello Stato della Chiesa, di sopprimere l'autonomia di San Marino o, come ormai si potrebbe cominciare a dire, visto dall'ottica europea, di annettersi la Repubblica di San Marino: ottobre 1739 - febbraio 1740.

L'occasione venne fornita da un grave dissidio interno a San Marino. Una fazione, esclusa dal Consiglio con motivi più o meno pretestuosi, si era rivolta al cardinale Alberoni, legato di Romagna e, su suggerimento di questi, anche a Roma.

A San Marino la lotta per il potere è dura come in qualsiasi altro posto. Se non di più. Spesso è aspra come nel medioevo, cui risalgono le sue istituzioni. Chi vince vince sul serio e chi perde è emarginato, escluso da ogni forma di potere, fino a sentirsi esiliato in patria, fino a preferire, talvolta, l'esilio. E' ovvio che chi perde non si rassegni facilmente.

Non è certamente la prima volta che a San Marino la lotta per il potere degenera fino al punto che la fazione perdente si rivolge all'esterno (a chi detiene al momento la "protezione", quasi che questa sia vista dall'interno, come garanzia di convivenza civile). Il duca di Urbino ad esempio è intervenuto più volte nel corso del '500 e a volte molto pesantemente: ma non ne approfittò. E ancor prima, almeno una volta, intervenne addirittura il papa Bonifacio IX, nel 1398, che affidò il compito di pacificazione al vescovo pro tempore del Montefeltro. Questi risolse la questione e non ne approfittò.

In questo caso invece il cardinale coglie l'occasione per tentare di assorbire San Marino nello Stato Pontificio. Chi è il cardinale Alberoni? Perchè lo fa? Che cosa lo spinge ad avanzare a Roma la proposta di eliminare San Marino?

C'è da dire subito che l'Alberoni è un politico consumato. Di umilissime origini, in un tempo in cui il sangue aveva un enorme valore, dovette guadagnarsi ad una ad una le tappe del successo: figlio di un giardiniere, parroco di campagna, segretario di un vescovo, segretario del duca di Parma, comandante delle truppe francesi in Italia nella guerra di successione di Spagna, alto dignitario alla corte di Filippo V di Spagna, cardinale e quindi primo ministro di Spagna, di cui guidò la politica di riorganizzazione e di espansione (conquista di Sardegna e Sicilia). Coi papi se la cava così: a volte in dissidio fino a dover andare in carcere, a volte in auge: l'altalena è guidata dagli umori dei diversi pontefici e soprattutto della potente curia romana.

L'eliminazione di San Marino l'ha certamente preparata con cura, cura meticolosa, in quanto si tratta di una operazione molto delicata: per quanto l'Alberoni e Roma la considerino, formalmente, un fatto politico interno allo Stato della Chiesa, si dà già per scontato che un qualche riflesso negativo all'esterno non è possibile evitarlo. Bisogna agire in modo che l'eco dell'operazione sia ridotta al minimo. Si sa già che, se non altri, la corrente razionalistica di cui è ormai imbevuta la cultura europea, soprattutto quella francese, non avrebbe perso l'occasione per aggiungere un altro argomento all'ormai abituale attacco alla religione ed alla Chiesa. Perciò, non far chiasso, non prestare il fianco a critiche, sono condizioni indispensabili per l'effettuazione dell'operazione.

Ma allora, se ci sono tanti rischi, perchè l'Alberoni vuol ugualmente tentare? Che cosa lo spinge a farlo? Se fosse andata bene avrebbe avuto un grosso ritorno di immagine negli ambienti ecclesiastici romagnoli e, soprattutto, nella stessa curia, togliendo quello che sarebbe potuto diventare, a giudizio suo e di altri, un gran stecco al papa. Pontefice dopo pontefice è stata sempre rimandata la soluzione del caso San Marino. Ed il rischio che altri intervengano è reale. Altri chi? C'è a due passi uno stato regionale, il granducato di Toscana, retto da un Lorena, cioè un membro della casa imperiale austriaca, che tenta di espandersi. Si sente forte sia per quella parentela sia per la buona organizzazione interna che di recente si è dato: accanto ha lo Stato Pontificio, in cui la crisi strutturale invece è endemica. Con un pretesto, proprio in quegli anni, il granduca ha minacciato di occupare - ed ha per alcuni mesi effettivamente occupato - la Contea di Carpegna che in pratica confina con la Repubblica di San Marino. Insomma vista da Roma la proposta dell'Alberoni assume tutt'altro aspetto.

Nell'autorizzazione preventiva che al cardinale viene rilasciata da Roma - è papa Clemente XII, quasi novantenne - si parla di sine strepitu, di singulari prudentia e si fissano addirittura le modalità, le modalità cui il cardinale deve attenersi: aspettare sul confine che la popolazione o la maggior parte di essa venga ad accoglierlo e che questa dimostri chiaramente la volontà di passare al diretto dominio della Santa Sede.

Le cose non andranno così. Lui, il 16 ottobre viene a Rimini ed il 17 entra subito in territorio, visto che a Rimini la fazione a lui favorevole, non gli era andata incontro, come invece era nei patti. Qui comincia male, avrà pensato. Riceve lungo la strada, dal confine al centro, l'atto di sottomissione di alcuni gruppi parrocchiali, guidati dai parroci: la gente comune non si rende conto di quel che succede e di che cosa viene chiesto loro di acclamare, per la solita confusione fra autorità politica ed autorità religiosa. Avocando a sé tutti i poteri politici, il cardinale procede subito a costituire una nuova struttura di governo locale con competenza limitata alle sole materie economiche della Comunità: un Gonfaloniere e due Conservatori, al vertice, affiancati da un'assemblea di "Anziani". C'è da notare che nella nuova struttura si ritrovano gran parte dei nomi di quella precedente, quella legale per intenderci. Perché? Perché la logica dei tempi, specie dentro lo Stato Pontificio, ancora vuole che il potere sia comunque appannaggio di nobili, di proprietari terrieri: in pratica di chi al potere c'era già. Il cardinale integra l'elenco dei notabili, piuttosto che stravolgerlo. Modifica invece, questo sì, l'assetto e le competenze di quel potere locale.

A parte qualche resistenza individuale di poco conto, non incontra, fino a questo punto, difficoltà. Le difficoltà, quelle vere, gli insorgono qualche giorno dopo, il 25 ottobre per la precisione, quando chiama a giurare fedeltà alla Santa Sede - e quindi ad esprimere assenso al nuovo ordine di cose - proprio coloro che lui stesso ha inserito in posti di responsabilità nella nuova struttura amministrativa, unitamente ai rappresentanti dei castelli (frazioni in cui è tradizionalmente diviso il territorio sammarinese).

L'atto del giuramento (con molto acume o, se si vuole, con la solita ormai stucchevole furbizia di mantenere confuso il civile col religioso) l'ha inserito, quasi fosse anch'esso una parte - per così dire - ovvia della cerimonia religiosa, all'interno della celebrazione della Santa Messa, nella pieve del Santo. Ha chiamato a celebrare il vescovo del Montefeltro. Ad assistervi come invitati, ci sono molti notabili, fra cui le massime autorità di Rimini e Ravenna. Sono presenti pure un paio di notai per stendere i verbali da inviare a Roma. Tutto a posto dunque, tutto calcolato.

Riemerge la forza dell'idea

La Santa Messa comincia in una chiesa strabocchevole di folla e va avanti regolarmente fino al vangelo. Vangelo incluso. Dopo il vangelo, assiso sul trono - che era il trono dei Capitani Reggenti - in pompa magna, con tutte le insegne cardinalizie ben in vista, aperto sulle ginocchia il libro delle sacre scritture, l'Alberoni comincia, come da programma, a far chiamare ad uno ad uno i convocati per il giuramento. Il primo (nominato Gonfaloniere) giurò. Il secondo (nominato Conservatore) rifiutò: ammise di aver giurato a suo tempo fedeltà alla Repubblica e che a quel giuramento intendeva restare fedele. Dopo di lui è una frana. A fronte di qualche raro sammarinese che accetta, la più parte (93,33 per cento) rifiuta: non solo rifiuta, ma, quel che è più grave, qualcuno lo dice perchè rifiuta e lo fa per giunta a voce alta e riafferma a voce alta fedeltà alla Repubblica ed al Santo, il loro Santo che è tutt'uno con la Repubblica e che è lì che li guarda dall'altare. Tradire la Repubblica è tradire il Santo. Finchè uno la urla addirittura quella fedeltà al Santo, alla Repubblica, proprio così: viva San Marino, viva la Repubblica! Al che il prete che dirige il coro, di rimando: bravi, viva la libertà! E la folla come una eco: viva San Marino, viva la libertà! Fin il diacono che officia la messa accanto al vescovo, non si trattiene: viva San Marino, viva la libertà! E' troppo. Lo smacco si sta facendo grave, bruciante, intollerabile per un ex-ministro di Spagna. E' da cretini lasciare che si sappia a Roma. Il cardinale si alza: minaccia, blandisce, dà fuoco a tutte le sue risorse...Arriva a dire Viva il papa, e periscano i tiranni e i ribelli... Niente da fare. Allora sospende la chiamata e fa proseguire in qualche modo la Santa Messa. Come da programma. Ed il programma prevede che a un certo punto si canti il Te Deum laudamus, il canto di ringraziamento. Ebbene? Ebbene il vescovo, forse frastornato da quanto era successo, forse distratto o perchè non aveva colto gran che della faccenda, non lo intona davvero quel Te Deum? Non lo avesse mai fatto! Un fremito di indignazione percorre le navate della chiesa, la tensione sale, si gonfia, l'atmosfera si fa pesante, preoccupante... Insomma il cardinale dà un'occhiata alla porta, fa un cenno agli sbirri e, prima che sia troppo tardi, guadagna l'uscita. Appena fuori, minaccia. E per far vedere che non scherza, concede subito alla soldataglia di saccheggiare cinque case dei "ribelli".

I sammarinesi rimasero in chiesa. Per tutto il giorno. Per tutta la notte. Alle 5 del mattino del giorno dopo decisero di abbandonare la chiesa, di cedere, di giurare. Il cardinale, convinto di averla comunque in qualche modo risolta la questione, accettò subito, accettò che giurassero a quell'ora strana e nel palazzo dove aveva preso alloggio. Qualche giorno dopo, raccolte le scartoffie, imboccò la strada per Ravenna. Tutt'altro che tranquillo, ovviamente. Quella capitolazione gli è un po' sospetta.

Infatti, a ripensarci: la contestazione è avvenuta in pieno giorno, davanti ad illustri, importanti testimoni, mentre la capitolazione ha luogo di notte, a quell'ora. Si capisce troppo bene che quei sammarinesi hanno fatto di quel giuramento un uso puramente strumentale: guadagnare del tempo senza subire altri danni. Non vuol certo significare che sono rassegnati.

Rassegnati quei sammarinesi? La contromossa è già decisa, anzi già in atto. Gli elementi su cui impostarla non mancano di certo: quei 400 (forse 500) soldati, le minacce, la contestazione in chiesa, le case saccheggiate e incendiate.... Ce n'è abbastanza per Roma, dove già al lavoro ci sono almeno tre persone col compito di far partecipi degli avvenimenti la curia, ma anche i rappresentanti delle grandi potenze, e di diffondere memoriali e - perchè no? - stampe polemiche. Un esempio. Girolamo Gozi, uno di quelli che ha capeggiato la contestazione in chiesa, e ne ha avuto la casa saccheggiata e bruciata, scrive al figlio: Figliol mio caro, io mi ritrovo in grado di chiedervi... perdono, se vi ho ridotto un pover'uomo... Consolomi che non ho fatte infamità, e ciò rende quieto anche voi...; e dice di sperare che gli uomini d'onore apprezzino il suo gesto; comunque non è affatto pentito: dormo tutti i miei sonni, come se avessi avuto una eredità e conclude con un vir magnus valde. La lettera, tradotta in più lingue, fu diffusa negli ambienti che contano, come espressione emblematica di sentimento civico, di forza morale, di etica politica, insomma gli ingredienti giusti per mettere in difficoltà un avversario politico. Anche nel descrivere i fatti i sammarinesi non vanno per il sottile. Sentite come l'hanno raccontata a un diplomatico francese o almeno come questi la racconta al suo governo: a cavallo di una mula accompagnato da un solo frate, e senza divisa alcuna da Cardinale, [Alberoni] salì ed entrò nella Repubblica di San Marino, ove all'arrivare delle sue truppe in numero di 300 soldati e circa 70 sbirri, postosi il berettino et altro cardinalizio, ne prese possesso in nome della Santa Sede, spiegando le bandiere di Sua Santità; e poscia con molto spavento di quelli sorpresi abitatori, fece piantare tre forche. Non è vero! Però le cose per l'Europa sono state raccontate anche così. Certamente in Francia. E in Francia si consolida e si allarga la corrente di simpatia per San Marino.

Ormai l'intervento, in qualche forma, delle grandi potenze è certo. Ecco qualche stralcio di alcuni rapporti ufficiali inviati ai governi da Roma. Francia: Il fut question dans mon audience de l'expedition de San Marino qu'il [Clemente XII] désapprouve extre^mement: elle a été faite contre son intention, qui n'est que de donner protection et non point d'acquerir domaine immédiat sur cette République, qu'il veut e^tre maintenue dans sa liberté. Spagna: la novedad que el Cardenal Alberoni ha intentado con escàndalo contro la Repùblica de San Marino, cuyos pueblos, que en aquel estrecho rincòn de la tierra ha siempre gozado de la antigua, pacìfica livertad que Dìos le concedìo... han dovido sufrir agravios indecivles... Austria: da una parte gli strilli dei miseri San Marinesi, che piangono la libertà perduta, e le voci di tutto il mondo che biasima la violenza usata...

Questa attività dei ministri stranieri basta a indicare il clamore fatto attorno al tentativo alberoniano, in tutta Europa.

Con tante scuse, il 5 febbraio 1740 un altro cardinale viene quassù a ripristinare la situazione quo ante l'attentato alberoniano. La formula è ancora ambigua, si riaccenna ancora al trattato di protezione firmato da Clemente VIII nell'ormai lontano 1603. Ma ormai la storia ha preso una piega favorevole a San Marino. Proprio l'episodio alberoniano concorre a rinsaldare il convincimento ormai generale in Europa, che San Marino ha personalità e diritto di Stato, anche se questi non si sono ancora tradotti in atti concreti come il firmare trattati o scambiare ambasciatori.

La vicenda alberoniana porta il mito o comunque il nome di San Marino, addirittura nel mondo della mondanità letteraria. In un'opera comica il diplomatico e letterato russo Alessandro Beloselkji così descrive l'intervento presso il papa dell'ambasciatore francese a Roma:

Monsieur l'Ambassadeur de France

...........................

ayant appris l'évènement

monta, sans perdre un seul moment

dans son carosse de parade...

Il papa per paura di una guerra, il fit mieux, il capitula.

Un duplice fallimento

Perché l'Alberoni fallisce? I motivi sono molteplici. Intanto il cardinale non si era accorto della corrente di simpatia verso San Marino già presente nelle cancellerie dei potenti, simpatia in qualche modo sotto la cenere ma subito pronta ad accendersi, come in effetti è successo, appena fosse stata attivata da un qualche specifico motivo. Corrente di simpatia che certamente non si fermava a Bologna, come pure lui stesso aveva notato e con una certa meraviglia: sino i cavaglieri bolognesi domandavano d'esser cittadini di San Marino! La pronta segnalazione sammarinese ha acceso il fuoco. Ma forse accanto a quel papa così vecchio, in vista di un imminente conclave, qualcuno della curia ha soffiato su quella che all'inizio non era che una debole, incerta fiammella o comunque non si è mosso per spegnerla. Così che in quell'ambiente romano, in cui anche sotto la spinta della nuova cultura emergente, sono sempre meno tollerati gesti non consoni alla dignità pontificale, divampò in un battibaleno un fuoco tale che dovette aver poi preoccupato anche chi non aveva cooperato per spegnerlo quando si poteva spegnerlo.

Ma fra le ragioni del fallimento ce n'è una particolare: quel cocciuto testardo incomprensibile attaccamento dei sammarinesi alla propria libertà. Lo noterà - dopo - lo stesso Alberoni, da politico intelligente qual è, attento a recepire il nuovo, anche il diverso, pur di capire: ammette - come possiamo non concordare? - di essersi trovato davanti gente acerrima, tenace e, può dirsi, superstiziosa di questa loro libertà, nella quale consisteva il vivere a modo loro. Ma è quello che aveva notato l'Addison, che aveva colpito anche Montesquieu (per il resto quasi sprezzante)! Proprio al Montesquieu era sembrato che i sammarinesi avessero fatto della Guaita - tre muri attorno a un cucuzzolo - quasi un tempio, un recinto sacro: dover scendere da cavallo, dover dare il proprio nome, dover deporre le armi... gli sembrano norme di un rito più che - ormai - precauzioni di sicurezza militare.

E' quell'idea antica profonda che vince. Idea che si riconosce esistere, ma di cui non si riesce a dare una giustificazione razionale. L'Alberoni è costretto a parlare di superstizione, tanto quell'idea risulta estranea alla comune mentalità.

Lo si è visto in chiesa, davanti al cardinale in pompa magna, al vescovo, agli illustri ospiti, ai notai della legge, agli sbirri. Rivolto all'immagine del Santo uno ha detto: non ho cuore di farle cotal sfregio, anzi sempre dirò: viva San Marino, viva la libertà! In pratica riemergono ancora vivi, solidi, dirompenti i convincimenti che in altra forma, ma pari nella sostanza, avevamo sentito dai testimoni del processo di Valle Sant'Anastasio nel lontano '296. Ancora una volta sono quei convincimenti che risolvono la partita.

La tentata conquista di San Marino, così miseramente fallita, segnerà, qualche anno dopo, forse proprio per quel fallimento, la fine del cursus honorum del cardinale Alberoni. E per la Santa Sede, vista dall'ottica sammarinese, è più di una sconfitta: è una disfatta, una débâcle. Roma continua a considerare la Repubblica una autonomia amministrativa nell'antico significato del termine? Così non è più per le cancellerie europee: il mito di San Marino ormai tracima dai circoli culturali più o meno collegati alla politica, permea anche chi fa politica, penetra nelle cancellerie.

Ma c'è di più. Anche a San Marino le cose cambiano. Nel senso che si comincia a prendere coscienza di quella considerazione di cui la Repubblica gode oltre i confini pontifici e si fa strada la consapevolezza che non è impossibile superare quello status di autonomia che suona ormai come un anacronistico retaggio secentesco. Insomma ci si prepara a guadagnare un'altra tappa verso il traguardo finale del "non dipendere da nessuno". In termini operativi cosa vuol dire ora "non dipendere da nessuno"? Conformare il comportamento a quello degli stati sovrani, gli stati che si sono venuti formando negli ultimi secoli, nel resto d'Italia e d'Europa. Di fatto significa svincolarsi dall'autorità politica della Santa Sede.

C'è un episodio a questo proposito, significativo. E' di qualche decennio posteriore alla vicenda alberoniana. Un certo Blasi, funzionario pubblico a San Marino, viene processato a San Marino, per gravi mancamenti nell'esercizio del suo impiego. Non si rassegna. Gli viene in mente di essersi fatto chierico, una volta. Se ne ricorda. Si ricorda soprattutto che come chierico ha il diritto - o meglio, il privilegio - di essere giudicato da un tribunale ecclesiastico. San Marino si oppone. Non riconosce quel privilegio che comporterebbe la consegna del Blasi a un tribunale posto al di fuori della Repubblica. Il Blasi si appella a un cardinale il quale fa intervenire un suo zio, cardinale pure lui, e per giunta cardinale legato di Romagna: Valenti Gonzaga. La controversia è lunga, complessa, difficile da seguire. Il succo: il potente cardinal legato, pur di piegare quei montanari su una questione divenuta ormai di principio, decreta che nessuno ardisca portare nello Stato (lapsus cardinalizio) di San Marino cosa alcuna sotto pene severissime. Quando mai un embargo ha funzionato? Il cardinale, che per altro è tutt'altro che uno sprovveduto, lo sa ed accompagna quelle sanzioni con un ben più efficace cordone di soldati lungo confini della piccola Repubblica. L'accerchiamento si protrae addirittura per 6 mesi. Conclusione? Si chiude con un compromesso: Valenti Gonzaga perde la legazione di Romagna e San Marino infligge al Blasi una condanna mite. Mite sì, ma pronunciata a San Marino.

di MARINO CECCHETTI  da www.libertas.sm

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Commenti al Post:
orgogliosammarinese
orgogliosammarinese il 10/01/13 alle 20:19 via WEB
San Marino perche' esiste. Risponde, con qualche lacuna, Sergio Romano Un lettore del Corriere della Sera, Davide Chicco, anche a nome di suoi colleghi di lavoro, russi, ha chiesto, all'ambasciatore Sergio Romano: "Perché esiste lo Stato di San Marino?". L'ambasciatore Romano ha risposto cominciando col dire che "L'anomalia, di San Marino, non è diversa da quella di altri piccoli Stati, sparsi sulla carta di Europa, e le domande dei suoi amici russi potrebbero mettere in discussione anche l'esistenza dei principati di Monaco, Liechtenstein, Andorra e - perché no? - dello Stato della Santa Sede". Dopo aver dato alcune informazioni di geografia politica, l'ambasciatore Romano afferma in tutta sicurezza: "I loro regimi fiscali convenivano alle classi economicamente influenti dei Paesi confinanti. L'antichità conferiva alle loro istituzioni una sorta di nobiltà storica". Precisando, poi: "Nel caso di San Marino il fatto che ha maggiormente contribuito alla sua esistenza è paradossalmente (sic) la sua forte identità repubblicana". Insomma sarebbero stati i liberali italiani di tendenza repubblicana (mazziniani, garibaldini e altri) a salvare la Repubblica di San Marino durante il processo di unificazione politica della penisola italiana. Ciò è vero, ma solo in parte. Comunque, il loro apporto, fu importante solo in un secondo tempo. A salvare San Marino durante le fasi convulse dell'unificazione politica della penisola, fu Napoleone III, che si impose a Cavour. I 'repubblicani' - e non solo - ebbero un ruolo importante successivamente, dopo la scomparsa di Napoleone III (Sedan) dalla scena politica europea. Leggi Il cammino di un'idea / Come San Marino si è salvato http://www.libertas.sm/libri/cammino/cam_7.htm
 
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