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Un blog creato da Odeporica il 28/10/2010

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LA SIGNORA DELLE CAMELIE

Essere amato da una fanciulla casta, rivelarle per primo lo strano mistero dell'amore, è certamente una grande gioia, ma è anche la cosa più usuale del mondo. Impadronirsi di un cuore che non è abituato agli assalti, è come entrare in una città aperta, senza presidi. L'educazione, il senso del dovere e della famiglia, sono validissime sentinelle, ma non c'è sentinella abbastanza vigile che non possa essere ingannata da una fanciulla di sedici anni, alla quale, attraverso la voce dell'uomo amato, la natura dà quei primi consigli d'amore tanto più ardenti in quanto apparentemente puri.
Più la fanciulla crede nel bene, più facilmente si abbandona, se non all'amante, almeno all'amore, perchè, essendo senza diffidenza, è senza forza, e farsi amare da lei è un trionfo che ogni uomo di venticinque anni può ottenere tutte le volte che vuole.
Ma essere amato da una cortigiana è una vittoria molto più difficile. In loro, il corpo ha logorato l'anima, i sensi hanno guastato il cuore, la sregolatezza inaridito i sentimenti. Le parole che diciamo loro, le conoscono da tempo, il nostro comportamento, è cosa già nota, lo stesso amore che ispirano, l'hanno più volte venduto. Amano per mestiere, e non per trasporto. Sono difese meglio dai loro calcoli che una vergine dalla madre o dal convento: così hanno inventato la parola capriccio per quegli amori non venali che si concedono ogni tanto come riposo, come scusa o come consolazione; simili a quegli usurai che depredano mille persone, e che credono di riscattarsi prestando una volta venti franchi a un povero diavolo che muore di fame, senza interessi e senza ricevuta.
Poi, quando Dio permette l'amore a una cortigiana, quest'amore, che inizialmente sembra un perdono, diventa quasi sempre, per lei, un castigo. Non c'è assoluzione senza penitenza. Quando una creatura, che ha da rimproverarsi un intero passato, si sente improvvisamente presa da un amore profondo, sincero, irresistibile, di cui  non si sarebbe mai creduta capace; quando confessa questo amore, come la domina l'uomo amato! Come si sente forte del crudele diritto di dirle: "Non fate per amore più di quello che avete fatto per denaro". Allora non sanno più che prove dare. Hanno mentito tante volte che nessuno le crede più, e sono, in preda ai loro rimorsi, divorate dall'amore.
Da ciò derivano le grandi abnegazioni, gli austeri ritiri, di cui alcune hanno dato l'esempio.
Ma quando l'uomo che ispira quell'amore redentore ha l'anima abbastanza generosa per accettarlo dimenticando il passato, quando vi si abbandona, insomma quando ama, com'è amato! Esaurisce d'un tratto tutte le possibilità terrene di emozioni, e, dopo quell'amore, il suo cuore sarà chiuso a ogni altro.

 

I PILASTRI DELLA TERRA

Per tutta l'estate, Jack raccontò leggende ad Aliena.
S'incontravano la domenica, dapprima occasionalmente e poi con regolarità, nella radura accanto alla cascatella. Jack le narrava di Carlo Magno e dei suoi paladinim di Guglielmod'Orange e dei saraceni. Si lasciava assorbire completamente dalle vicende che raccontava. Ad Aliena piaceva osservare le espressioni mutevoli del suo volto. Jack s'indignava per le ingiustizie, inorridiva per i tradimenti, si esaltava per il valore d'un cavaliere e si commovueva fino alle lacrime per una morte eroica; e sapeva comunicare i suoi sentimenti, tanto che anche lei si sentiva toccata profondamente. Alcuni poemi erano troppo lunghi perchè fosse possibile recitarli in un pomeriggio; e quando doveva narrare una vicenda  a puntate s'interrompeva nel momento di maggiore tensione, e Aliena trascorreva la settimana chiedendosi che cosa sarebbe accaduto.

...

Era una giornata molto calda di fine agosto. Aliena portava i sandali e un abito di stoffa leggera. Nella foresta regnava un silenzio rotto soltanto dal canto della cascatella e dalla voce di Jack. La storia incominciava in modo convenzionale con la descrizione d'un prode cavaliere, possente in battaglia, armato di una spada incantata e impegnato in una missione difficile: recarsi in una lontana terra orientale per riportarne una vite produttrice di rubini. Tuttavia la vicenda si staccava ben presto dai modelli tradizionali. Il cavaliere veniva ucciso, e il protagonista diventava il suo scudiero, un dicassettenne coraggioso ma squattrinato, innamorato senza speranza della figlia del re, una bellissima principessa. Lo scudiero giurava di portare a termine la missione assegnata al suo signore, sebbene fosse giovane e inesperto e posseddesse soltanto un arco e un cavalluccio pezzato.

 

...

Alla fine il giovane portava in patria la vite che donava i rubini, tra lo sbalordimento della corte. «Ma  allo scudiero tutto ciò importava ben poco» disse Jack schioccando sprezzante le dita. «Non si curava di baroni e conti, e aveva a cuore una solo persona. Quella notte entrò furtivamente nella stanza della principessa eludendo le guardie con un'astuzia appresa nel viaggio in Oriente. E si accostò al letto, la guardò in volto.» Jack  lo disse fissando Aliena negli occhi. «La principessa si destò ma non ebbe paura, e lo scudiero le prese dolcemente la mano.» Jack mimò il gesto, e tenne tra le sue la mano di Aliena. Lei era ipnotizzata dall'intensità dello sguardo e dalla forza dell'amore del giovane scudiero; quasi non si accorse che Jack le aveva preso la mano. «Lo scudiero disse: "Ti amo teneramente" e la baciò sulle labbra.» Jack si tese e baciò Aliena, sfiorandole le labbra con tanta delicatezza che lei lo sentì appena. Accadde tutto in un attinmo, e subito la narrazione riprese. «La principessa si addormentò.» E Aliena si chiese: E' accaduto davvero, Jack mi ha baciata? Non riusciva a crederlo, eppure sentiva ancora il tocco della bocca sulla sua bocca. «L'indomani lo scudiero chiese al re se poteva sposare la principessa, quale ricompensa perchè aveva portato la vite gemmata.» Jack mi ha baciata senza riflettere, decise Aliena. Faceva parte della storia, e non si è neppure reso conto del suo gesto. Lo dimenticherò. «Il re rispose con un rifiuto e lo scudiero ne ebbe il cuore spezzato. I cortigiani risero. Quello stesso giorno il giovane lasciò il regno in groppa al suo cavalluccio ma giurò che sarebbe tornato e avrebbe sposato la bella principessa.» Jack s'interruppe e lasciò la mano di Aliena.
« E poi cosa accadde? » chiese lei.
« Non lo so » rispose Jack « Non ci ho ancora pensato. »

 

 

« Il resto è ombraNero su Bianco »

Similitudini

Post n°12 pubblicato il 29 Novembre 2010 da Odeporica

Ero in viaggio, in auto, rapita dalla musica e dai pensieri. Il tergicristallo con il suo movimento ritmico e lento accentuava lo stato ipnotico in cui mi avevano condotto i miei pensieri. Non conoscevo il luogo dov'ero diretta, ma mi era stato descritto come un posto dove il tempo sembrava essersi fermato e fortunatamente non era difficile da raggiungere. Il meeting di lavoro sarebbe cominciato l'indomani con una conferenza e poi un pranzo.
Avevo deciso di partire con un giorno di anticipo perchè dovevo spostarmi di diversi chilometri, ma questa motivazione altro non era che una scusa. Avevo semplicemente bisogno di restare un po' da sola. Dovevo far ordine nei miei pensieri. Diversi eventi avevano portato scompiglio dentro me e mi rendevo conto che facevo sempre più fatica a gestire le mie emozioni. Passare qualche ora da sola mi avrebbe permesso di capire il da farsi.
Ero appena uscita dall'autostrada quando smise di piovere e la campagna era illuminata da un sole basso che, facendo capolino tra le nuvole, lentamente si spegneva all'orizzonte.
Uno spettacolo bellissimo. Un fiume, un ponticello, delle case, qualche albero e delle macchie colorate di cespugli in fiore. Mi fermai sul ciglio della strada e scesi dall'auto. Quell'incanto meritava tutta la mia attenzione e scattai anche qualche foto.
Guardando l'equilibrio perfetto di forme e colori accompagnato dal rumore sordo di un trattore in lontananza pensai che era la rappresentazione in natura di ciò che ognuno di noi ha dentro.
Le similitudini tra alcuni panorami e l'animo umano mi sorprendono sempre.
Sorrisi pensando a quanto fosse cruda la mia capacità di razionalizzare la poesia, trasmutando uno scenario da favola in una fredda immagine della psiche.
La mia riflessione però non era sbagliata, più coglievo i dettagli di ciò che i miei occhi osservavano più mi rendevo conto che il vedere e il percepire a volte collimano alla perfezione.
Guardavo il paesaggio e pensavo che l'animo umano era esattamente così. Una distesa immensa di colori e profumi. Il fiume incanalava e portava via le esperienze negative, le brutture e le sofferenze che servivano però per dare nuova vita a tutto il resto; nella terra fertile ci vedevo il futuro, era la metamorfosi del nulla in tutto; le piccole costruzioni bianche, lì da sempre, erano le certezze, gli affetti sinceri, la famiglia. Gli alberi come gli amici, pochi ma ben radicati. Ricordo ancora l'albero di carrube sul quale mi arrampicavo da bambina e a cui raccontavo i miei sogni. Lo chiamavo l'amico buono. I cespugli in fiore erano gli attimi di allegria e spensieratezza che portano una nota di colore nelle giornate tutte uguali. Il fattore era ancora lì, in giro per i campi, instancabile, meticoloso e sempre attivo, proprio come la nostra mente.
Veniva di nuovo giù la pioggia e l'acqua nel greto aveva accelerato il suo corso, notai allora che vi erano dei canali laterali che ne permettevano il defluire per evitare che il fiume straripasse. Anche nella vita è così. Abbiamo il nostro fiume di lacrime dentro, che lasciamo scorrere lento, pigro e costante, ma se aumenta d'intensità troviamo sempre una scappatoia laterale per riuscire a gestire la sofferenza. C'è chi si rifugia nello shopping, chi mangia chili di nutella e chi litiga col mondo intero. Almeno finchè l'allarme non rientra e il fiume riprende a scorrere lento.
Mi rimisi in macchina e ben presto arrivai in albergo. Mi sistemai e dopo una cena leggera consumata in camera mi misi a letto. Credo di non aver mai dormito così profondamente. Ma era solo la quiete prima della tempesta. Mi svegliai che pioveva a dirotto, avevo fatto bene ad anticiparmi e fortunatamente per i successivi due giorni non mi sarei mossa da quell'albergo. Andò tutto come previsto, la mia efficienza aveva fruttato all'azienda un nuovo pacchetto clienti. Avevo tutto sotto controllo. Almeno all'apparenza.
Dentro ero in uno stato confusionale totale. Le telefonate che avevo ricevuto in quelle ore mi avevano spezzato a metà, non riuscivo più a contenere pensieri ed emozioni, non riuscivo a chiudere le brecce che si erano aperte e stavano facendo fuoriuscire tutto il male che avevo dentro. Inventai una congiuntivite per giustificare gli occhi gonfi e gli occhiali scuri. Non riuscivo a smettere di piangere.
Mi rimisi in auto per rientrare a casa, ma guidavo automaticamente, senza leggere le indicazioni, andando semplicemente dove la strada mi portava. Un tuono mi scosse fin dentro l'anima e in preda ad una crisi di nervi e di pianto persi il controllo dell'auto finendo nel campo che costeggiava la carreggiata. Non so per quanto rimasi lì, mi ripresi come se mi fossi svegliata da un incubo, il sole era in cielo ed io ero bagnata e infreddolita, dovevo esser scesa dall'auto per poi risalirvi. Misi in moto l'auto, che partì con non poca fatica, e muovendomi lentamente riuscii a venir fuori da quel pantano. Mi sentivo svuotata e senza forze, volevo solo tornare a casa, dai miei cari, ritrovare le mie casette bianche in cui rifugiarmi, le mie certezze.
Lungo la strada trovai una deviazione, che mi portò ad attraversare un ponte. Restai a bocca aperta. Lo spettacolo di due giorni prima si era trasformato nel nulla. Non c'era più niente. Solo acqua. Acqua ovunque. Il fiume era tracimato sommergendo e invadento tutto. Portando solo distruzione. Piansi in silenzio guardando quel disastro. Piansi pensando che era ciò che era successo a me. Il mio fiume non era riuscito a contenere la sofferenza ed era straripato, in preda a un'alluvione di pensieri avevo perso il controllo ed ero finita fuori strada. Può accadere a chiunque, e sarebbe potuta andare peggio. Ora ero sola e spaventata, ma ero ancora in piedi.
Come il buon fattore dovevo solo rimboccarmi  le maniche e ricostruire.
Risalii in auto e tornai a casa.
La sofferenza si può gestire quando sai che sta arrivando, quando il greto riesce a contenerla e quando riusciamo a deviare il suo corso incanalandola per alleviare la sua forza. Ma quando arriva improvvisa come un'onda di piena, non si riesce a contenerla e ciò che porta è solo distruzione.
Quando poi si cheta ritroviamo il fattore che, caparbio e risoluto, ricomincia il suo lavoro di ricostruzione.
E stavolta lo scenario che ne risulterà sarà più bello di prima. 

 
 
 
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STORIA DI UNA CAPINERA

Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifugiava in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime: Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera. Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili. La poveera capinera cercava di rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva;  non voleva rimproverarli nenache col suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle. Dopo due giorni chinò la testa sotto l 'ala e l'indomani fu trovata stecchita nella sua prigione.
Era morta, povera capinera! Eppure il suo scodellino era pieno. Era morta perché in quel corpicino c'era qualcosa che non si nutriva soltanto del miglio, e che soffriva qualche cosa oltre la fame e la sete.

 

L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE

L'accordo non scritto dell'amicizia erotica presupponeva che Tomas escludesse l'amore dalla propria vita. Nell'istante in cui fosse venuto meno a questa condizione, le altre sue amanti si sarebbero ritrovate in una posizione subalterna e si sarebbero ribellate.
Procurò a Tereza un subaffitto nel quale lei dovette portare la sua pesante valigia. Voleva vegliare su di lei, proteggerla, desiderare la sua presenza, ma non sentiva alcun bisogno di cambiare il proprio modo di vivere. Non voleva perciò che si sapesse che Tereza dormiva da lui. Il dormire insieme era infatti il corpo del reato dell'amore.
Con le altre donne non dormiva mai. Quando andava da loro era facile; poteva venire via quando voleva. Il peggio era quando venivano loro a a casa sua e lui doveva spiegare che dopo mezzanotte le avrebbe accompagnate a casa perché soffriva d'insonnia e non poteva addormentarsi se aveva di fianco un'altra persona. Questo non era lontano dalla verità, ma il motivo principale era meno nobile e non osava confessarlo alle sue amiche: nell'istante che seguiva l'amore, provava un invincibile desiderio di rimanere solo; svegliarsi in piena notte al fianco di un essere estraneo gli era fastidioso; alzarsi al mattino insieme a un altro lo disgustava; non desiderava che qualcuno lo sentisse lavarsi i denti in bagno, e l'intimità di una colazione a due non lo attirava.
Per questo fu così sorpreso quando si svegliò e Tereza gli teneva saldamente la mano. La guardava e faticava a capire quello che gli era accaduto. Ripensava alle ore appena trascorse e gli sembrava che da esse si effondesse il profumo di una qualche sconosciuta felicità.
Da allora entrambi aspettavano con gioia il momento di dormire insieme. Mi verrebbe quasi da dire che per loro la meta dell'amore non era il piacere bensì il sonno che ne seguiva. Lei soprattutto non riusciva a dornire senza di lui. Se le accadeva di restare sola nella sua stanza in affitto (che stava ormai diventando un semplice alibi), non riusciva a prender sonno l'intera notte. Tra le sue braccia, anche al massimo dell'agitazione, si addormentava sempre. Lui le sussurrava favole che inventava per lei, piccole sciocchezze, parole che ripeteva monotonamente, rassicuranti o scherzose. Quelle parole si mutavano in lei in visioni confuse che l'accompagnavano nel primo sonno. Lui aveva pieno potere sul suo sonno e lei si addormentava nell'istante che lui aveva stabilito.
Quando dormivano, lei lo teneva come la prima notte: gli stringeva saldamente il polso, un dito, la caviglia. Quando lui voleva scostarsi senza svegliarla, doveva usare l'astuzia. Liberava il dito (il polso, la caviglia) dalla sua stretta cosa che ogni volta la svegliava a metà, perché anche nel sonno lei lo sorvegliava attentamente. Per calmarla, le faceva scivolare nella mano, al posto del proprio polso, un oggetto qualsiasi (un pigiama arrotolato, una pantofola, un libro) che lei poi stringeva con forza come fosse stata una parte di lui.

 

Una volta che l'aveva appena addormentata e lei era nell'anticamera del primo sonno e poteva quindi ancora rispondere alle sue domande, le disse: "Bene. Ora me ne vado". "Dove?" chiese lei. "Via" rispose Tomas con voce severa. "Vengo con te!" disse lei tirandosi su a sedere. "No, non puoi. Me ne vado per sempre" disse lui, e passò dalla camera all'ingresso. Lei si alzò e lo seguì, strizzando gli occhi. Aveva indosso una camicia da notte corta, senza nient'altro sotto. Il suo volto era immobile, senza espressione, ma i suoi movimenti erano energici. Dall'ingresso lui uscì nel corridoio (il corridoio in comune con gli altri inquilini) e le chiuse la porta in faccia. Lei l'aprì con gesto brusco e lo seguì, convinta nel suo dormiveglia che lui volesse andar via per sempre e che lei dovesse trattenerlo. Lui scese le scale fino al primo pianerottolo e si fermò ad aspettarla. Lei lo raggiunse, lo prese per mano e lo riportò con sé a letto.
Tomas diceva: fare l'amore con una donna e dormire con una donna sono due passioni non solo diverse ma quasi opposte. L'amore non si manifesta col desiderio di fare l'amore (desiderio che si applica a una quantità infinita di donne) ma col desiderio di dormire insieme (desiderio che si applica a un'unica donna).

 
 
 
 

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