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[ Pastori, padri e condottieri ]

Post n°270 pubblicato il 14 Aprile 2010 da orta0

Lui, Dio, li ha condotti fuori dalla schiavitù verso la terra promessa. E ogni volta che non hanno ascoltato il pastore e che hanno fatto di testa propria, gli ebrei (le pecore) sono finiti in qualche dirupo o in pasto a qualche lupo.

Per noi l’immagine ha preso un riflesso negativo (“essere come delle pecore”; “la pecora nera”) a quel tempo indicava protezione e guida (lasciarsi guidare).

Del vangelo tutti conoscono la parabola della pecora smarrita: se anche una sola si perde il buon pastore se la va a riprendere perché per lui tutte sono importati, care e amate.

Nel vangelo troviamo due relazioni paterne: Dio-Gesù e Gesù-credenti. Il Padre è stato per il Figlio come un buon pastore: lo ha condotto e lo ha guidato un po’ come ogni buon pastore conduce, guida e protegge le sue pecore. Gesù stesso, dopo aver interiorizzato l’essere guidato, è diventato a sua volta guida per tutti noi.

E’ sempre così: prima si riceve e poi si dà ciò che si ha ricevuto. Non si può mai dare ciò che non si ha o ciò che non si è ricevuto.

Non si può insegnare la fede, la fiducia, la passione per Dio se non la si vive; non si può trasmettere l’amore se non lo si vive; non si può chiedere che l’altro faccia o viva quello che noi non siamo in grado di fare o di vivere.

Gli apostoli dopo la morte di Gesù fecero un’esperienza profonda. Gesù era sempre stato con loro e li aveva sempre protetti e difesi, perciò dentro di sé pensavano di essere preservati dal pericolo, dal rischio, dall’esporsi e dal contrasto. Ma dopo che il Capo se ne era andato, dopo che Gesù era morto, si trovarono loro stessi in prima linea.

Lì sperimentarono sulla loro pelle la fatica, la persecuzione, la lotta. Ma è solo da quel momento che poté nascere la chiesa. Solo perché Gesù se ne era andato, si era ritirato, poterono prendere il suo posto.

E’ per questo che nel vangelo troviamo espressioni “buone” dove il Risorto le conosce, dà a loro la vita eterna cioè la vita vera, ma anche espressioni “dure” dove si parla di rapire e di strappare.

All’inizio di fronte alle prime difficoltà gli apostoli dissero: “Ma dove sei Signore?”. E’ il bambino che parla così, che vuole la mamma, che pretende che qualcuno gli risolva i suoi problemi. Poi trovarono loro stessi la risposta: “Tu sei in noi. Tu non ci sei più, ci siamo noi. Gesù vive in noi”. Questo è l’adulto: non mi aspetto da nessuno quello che posso e che devo fare io. I primi cristiani dicevano: Dio ci guida ma non ci porta in carrozzina.

E’ sempre così nella vita: finché c’è una madre che ti preserva dal pericolo (ed è buono che sia così) non puoi veramente crescere, perché non puoi sperimentarti, non puoi conoscere i tuoi limiti, le tue forze, le tue capacità, le tue risorse. Il padre nel processo di crescita del figlio è colui che infligge il dolore della ferita. Cosa che non ha nessuna relazione con il picchiare, l’umiliare o il ferire i propri figli. Il bambino vive per i primi anni della sua vita nella completa fusione con la madre. Questo è fondamentale perché la madre gli insegna, amandolo, a volersi bene, ad accettare se stesso e ad accudirsi. La madre è colei che dice al figlio: “Stai qui perché fuori è pericoloso e ci sono tanti nemici”. La madre lo terrebbe sempre in casa, non lo lascerebbe mai uscire nel mondo. La madre è colei che dice: “Stai qui”. Il padre invece deve dirgli: “Fuori!”. La madre lo confermerebbe sempre: “Ma che bello che sei! Ma sei il mio tesoro! Sei il mio amore!”. Ma così il figlio rimane nella ragnatela di sua madre per sempre: rimane dipendente.

Allora interviene il padre: “Sei grande, esci e cammina sulle tue gambe”. E’ la prima grande ferita della vita per tutti noi: la separazione dalla madre, dal paradiso, dal calduccio, dove si stava bene e si era rassicurati. Il primo trauma della nostra vita è la nascita: dover respirare da soli, assumere cibo da soli. Tutto è tremendamente complicato. Il secondo trauma è lasciare la madre: non c’è più chi ti protegge, chi ti rassicura, chi fa per te, chi ti difende in ogni caso, e adesso ti devi arrangiare da solo. E’ così difficile fare da soli! La madre proteggerebbe sempre e se potesse eviterebbe ogni pericolo al figlio.

Se la separazione non avviene il bambino “piange” per tutta la vita. Diventa uno di quei tanti criticoni che ce l’hanno con il governo, con i preti, con il sindaco, con il vicino di casa; uno di quelli che si lamentano sempre: è il bambino che piange, che aspetta ancora che arrivi la mamma. Una di quelle tante persone insoddisfatte che se la prende con gli altri invece di prendere in mano la propria vita. Il padre insegna al figlio che non si può crescere senza ferite e senza perdite. Bisogna salire su qualche croce per diventare grandi. Per inseguire e vivere ideali alti bisogna saper soffrire, resistere, lottare, faticare, sputare sangue e sudare. Il padre insegna che ci sono dei limiti. “Figlio mio, stai attento! Non volare mai troppo in alto, perché il sole farebbe sciogliere la cera, né troppo basso, perché le penne potrebbero essere inumidite dal mare” disse Dedalo al figlio Icaro, prima di prendere il volo.

Ma dove sono i nostri padri? Quanto tempo passa un padre con i suoi figli? Dove sono i nostri condottieri? Dove possiamo trovare chi ci insegna ad essere noi stessi, a lottare per ciò che crediamo, a cercare in noi la forza? Se ci guardiamo attorno, dove troviamo esempi e modelli?

La nostra società è terribilmente “materna”. Tutto ciò che è fatica, lotta, sacrificio, è da evitare. La società è terribilmente “materna” perché garantisce ai nostri giovani un sacco di cose materiali (mater e materia hanno la stessa origine: la madre, infatti, crea, genera, la materia). La madre presiede ai bisogni materiali (primari) del ragazzo: mangiare, bere, lavarsi, dormire, ecc. E’ il padre che dovrebbe introdurlo nei bisogni dello spirito: trovare se stesso, trovare un senso alla propria vita, avvicinarlo a Dio, ecc.

Oggi tutto arriva subito ai nostri giovani: il cellulare, il videofonino, il motorino e tutto quello che chiedono. Sembra “brutto” farli soffrire. E invece dovremmo dirgli: “Quando ci saranno i soldi lo compreremo; non si può avere tutto! I tuoi amici ce l’hanno perché hanno degli altri genitori, tu hai noi! Ti dai da fare e ti metti via i soldi!”.

C’è un ragazzo di trent’anni, con tanto di lavoro, che assilla il padre perché gli regali la moto: “Ma non si discute neanche! Sei grande: se hai i soldi te la compri, altrimenti fai a meno!”. E’ il bambino che vuole il biberon dalla mamma. E se il padre lo ama, guai se gli dà la moto! Quanti Peter Pan ci sono in giro? Grandi e grossi ma mai cresciuti!

La stessa psicologia è troppo “materna”. Sembra che tutto dipenda dalla madre (certamente ha un ruolo decisivo, ma…). Senza padre anche la psicologia ci passa il messaggio che non possiamo che essere dipendenti e invischiati per sempre. Abbiamo bisogno del padre: “Tu puoi essere libero; tu puoi liberarti; tu puoi distaccarti; vai e fai la tua strada”.

Anche certi gruppi religiosi sono troppo “materni”. Non aiutano a formare delle personalità autonome, decise, che non temono di dire le cose come stanno; personalità vere e autentiche. Viene privilegiato il gruppo (che diventa in realtà un nido) a scapito della fisionomia delle persone. I valori che trasmettono sono: ubbidienza, fraternità (che vuol dire a volte fare come tutti), dipendenza dall’alto, non esporsi, culto dell’autorità, nascondimento, ritiro nel misticismo, non conflittualità (un buonismo che poi invece diventa giudizio nascosto, a volte feroce), conservatorismo, ecc.

Gesù non conduceva così le sue pecore: ha fatto degli apostoli degli altri Gesù, degli altri condottieri veri, franchi, coraggiosi, autonomi, pieni di energia che non temevano di lottare per ciò che credevano.

L’energia della madre è conservativa: tende a preservare, a difendere, a proteggere, a custodire. Guai se non fosse così nei primi anni di vita. Moriremmo tutti. Il suo simbolo è l’abbraccio e la casa: “Dentro”.

L’energia del padre, invece, è trasformativa: vuole cambiare le cose, vuole fare diverso questo mondo. Il suo simbolo è il lavoro e la strada: “Fuori”.

La “madre” è conservatrice; il “padre” è un progressista.

La biologia insegna: la donna è portatrice della vita e la accoglie.

Il maschio è portatore di un seme e lo semina. Il maschio è fatto per creare e generare qualcosa di nuovo. Il maschio ha bisogno di veder crescere, di far crescere o nascere qualcosa. Il dinamismo “far crescere” appartiene all’essenza dell’uomo. Che poi sia il conto in banca, la propria impresa, la propria fama e notorietà, non importa. E’ per questo che moltissimi uomini impegnano tutta la vita per accrescere la propria azienda o per il lavoro. E’ la risposta malsana ad un bisogno molto profondo che hanno nell’anima.

Il problema è che molte persone non fanno altro che accrescere la propria immagine (nuove conquiste nel campo della sessualità, negli affari, nella vita professionale), ma non fanno nascere niente dall’anima.

Abbiamo spesso padri quantitativi (più case, più auto, più soldi, più fama, più potere) ma non padri qualitativi, che ci introducono nel mondo sociale e dello spirito.

Una volta i nostri padri uscivano per andare al sindacato, al partito, in parrocchia, in comune, per la riunione di questo o di quell’altro. Adesso dove sono i nostri padri? Davanti a Sky a guardarsi le partite della Champions? Dove escono i nostri padri? Se vanno nel mondo vanno al bar o al lavoro.

Ma l’esperienza più forte che gli apostoli fecero e che qui traducono con le parole di Gesù: “Io e il Padre siamo una cosa sola”, è che il Risorto li aveva introdotti al mondo di Dio. Gesù, il loro padre, aveva fatto conoscere loro il mondo di Dio, un mondo meraviglioso e appassionante.

Tutto quello che Gesù aveva scoperto e vissuto di Dio, lo aveva passato e comunicato a loro. La Forza di Gesù era diventata la loro forza; la Luce di Gesù era diventata la loro luce.

Il padre nella nostra vita presiede al viaggio, all’esperienza del muoversi, dell’andare. Il padre ti dice: “Fai la tua strada! Diventa libero! Cerca tu quello che desideri. Poniti ideali profondi, radicati e valori alti, veri. Cerca la tua essenza. Scopri la tua missione. Fai il viaggio che Dio ha pensato per te”.

E’ il padre che trasmette la passione per Dio e il desiderio della ricerca.

Perché ci sia un figlio, ci vuole un padre! Dove sono i nostri padri? Chi ci insegna ad osare, a ricercare in prima persona, a trovare nuove strada, a superare noi stessi, a compiere il viaggio dell’anima e quello di Dio?

Dove possiamo trovare i Gandhi, i M. L. King, i don Lorenzo Milani, i don Primo Mazzolari, condottieri dello spirito e di Dio, che ci appassionano per le cose vere, grandi, quelle per cui vale la pena vivere e morire?

Per che cosa si battono i giovani d’oggi? Per che cosa lottano? Non sono capaci di battersi per qualcosa che non riguardi “loro”: la loro carriera, le loro comodità, i loro interessi, i loro soldi.

I nostri giovani, figli di noi adulti, sono troppo concentrati su di sé, hanno un Ego troppo grande, gigante. Non sono capaci di dare più niente; sono solo capaci di prendere, di possedere, di accaparrare. “Fatti la tua famiglia! Fa le tue cose e fregatene degli altri; fatti gli affari tuoi; gli altri si arrangino; nessuno ti regala niente; tu prenditi tutto quello che puoi; non ti interessare degli altri che hai solo grane…”.

E se uno ha un Ego, una personalità così centrata su di sé, vedrà nemici dappertutto e non potrà che essere in lotta con il mondo intero: tutti ce l’hanno con lui! Si sentirà continuamente aggredito.

Il volontariato ha avuto un grande boom anni fa, ma oggi è in calo.

In parrocchia anni fa c’erano molti animatori che donavano gratuitamente il loro tempo per gli altri: oggi è difficile trovare qualcuno che lo faccia. Ma ci chiediamo: un ragazzo che oggi non sa donare tempo “gratuito”, che non vive l’esperienza dell’amore gratuito, della bellezza e della gioia del donare senza ritorni qualcosa di sé agli altri, di quale amore vestirà i suoi figli? Che società dovremmo aspettarci se nessuno è disposto a fare qualcosa per gli altri?

Roger Schutz (fondatore di Taizé) come molti altri parlava di contemplazione e di lotta.

Gesù si ritirava nel monte a pregare da solo, per poi di nuovo tornare a lottare per la verità, contro l’ingiustizia e per l’affermazione del regno dell’amore. Tutta la vita di Gesù fu lotta, impegno, contrasto, scontro aperto, dichiarato e duro.

Sacrificium non è umiliarsi, rinunciare, star male; sacrificium, dal latino “sacrum facere” vuol dire la disponibilità al sacrificio, cioè la capacità di donare e di offrire qualcosa di sacro, anche se può essere faticoso. E’ difficile trovare persone che non vivono per il denaro, il potere, il sesso, ma per la verità, persone che non vivono per avere successo, ma per amare e seguire la voce di Dio.

Chi ha il coraggio di uscire dal proprio io, dal proprio ego? Chi oggi si mette in prima fila? Chi rimane ancora come un faro a far luce per tutti? Dove trovo un condottiero dell’anima? Chi può insegnare la strada dello spirito?

Una società senza “padri” non ha futuro perché non può più presiedere al passaggio della saggezza. Di questi pastori abbiamo bisogno, altrimenti non saremo che pecore perse e in preda ai lupi.

Se i nostri figli muoiono di noia, d’ecstasy, è perché siamo una società senza pastori, senza padri e senza condottieri.

M.P.

 

 
 
 
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La sera quando i pensieri, i ricordi
Si fanno più intensi
Accendi una candela
Sarà la luce del tuo Angelo.
Nella penombra,Egli saprà farsi sentire
Saprà farsi ascoltare.
In quei momenti non avrai freddo
Ma sentirai la pelle d’oca,
sentirai nel tremolio della fiamma
il volteggiare delle Sue ali,
sentirai nel calore della fiamma
il Suo alito baciare il tuo viso.
Egli sorriderà hai tuoi sogni
E veglierà il tuo sonno.!
( michael)

 

 

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Orme di piedi
sfiorano fili d'erba.
Orme in scia
alla ricerca del tempo
trascinano un ricamo
su quel prato decorato di fiori.
Petali riflessi nella notte
oscurano le stelle,
leggeri desideri sfiorano
la luminosità dell'anima.

 

 

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