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Post n°304 pubblicato il 24 Gennaio 2011 da orta0

Cosa accadrebbe se non possedessi più niente? Ti sentiresti fallito? Se il mio valore è appoggiato su ciò che ho, quando non ho più niente cade tutto (c’è chi si spara quando l’azienda fallisce, chi va in depressione, chi non si riprende più). E capite che ansia per chi vive l’equazione: valore uguale a soldi. Ma se il mio valore è appoggiato sull’essere, sul fatto di essere un valore al di là di ciò che possiedo allora, anche se non possederò più niente, terrò.

Cosa accadrebbe se non possedessi più quella persona? Quanto mi sentirei solo? Il possedere qualcuno copre la nostra paura di rimanere da soli e rimanere da soli ci apre il sospetto che nessuno ci voglia. Possedere qualcuno copre il nostro senso del vuoto, della mancanza, la nostra paura di non essere amati. Ma possedere gli altri è mortale: o ci attacchiamo, diventiamo nulli, senza spina dorsale per paura di perderli; oppure li gestiamo, ce li “mangiamo”, li manipoliamo per non perderli. Le persone, però, si amano non si possiedono; possedere uno è sequestro.

Cosa accadrebbe se non potessi vantarti e sfoggiare più il tuo riconoscimento pubblico? Allora emergerebbe che sei solo un uomo, uno come tanti, uno come tutti. E se non accetto la mia umanità non posso permettere questo. Devo essere sempre più degli altri. Essere come gli altri, come tutti; avere le difficoltà, le paure e le questioni di tutti mi fa sentire inferiore. Devo essere sempre su di un piedistallo, più in alto. Devo avere, allora, sempre qualcosa da vantare, da mostrare perché non mi posso permettere di essere solo umano. Ma se non mi posso permettere di essere umano, chi sono?

C’è molta diversità tra l’avere una vita ed essere in vita, vivi.

C’è molta diversità tra l’avere un uomo o una donna oppure l’essere di una donna o un uomo. L’avere è il possesso, il trattenere e il disporre per sé.  L’essere di ci richiama il dono, l’appartenenza, la responsabilità.

C’è molta diversità tra il fare il maestro, il medico, il prete e l’essere un maestro, un medico, un prete. Nel primo caso è solo un ruolo, un’insieme di mansioni da eseguire. Nel secondo caso si è coinvolti, dentro, è la propria vita.

C’è molta differenza tra fare finta di piacersi ed essere se stessi. Nel primo caso ci sono molti sorrisi, molte buone maniere, tante gentilezze, ma il volto rimane cupo, l’espressione non è vitale; sorridono le labbra ma non gli occhi. Chi, invece, è se stesso è libero, emana un’aura di vita, di creatività, di positività. Chi è se stesso, felice di sé, non attacca gli altri, non li sminuzza e non li infanga. Chi è se stesso fa la propria strada e invita gli altri a fare altrettanto; è contento di esistere e di essere a questo mondo e proprio per questo vuole che tutti possano esistere e dispiegarsi.

C’è molta differenza tra fare educazione ed educare. Fare educazione vuol dire trasmettere buone maniere, regole precise, buon comportamento, galateo, rispetto. Educare vuol dire costruire degli uomini vivi, veri, liberi, autonomi.

C’è molta differenza tra lo sguardo che vuole avere e lo sguardo dell’essere. Lo sguardo dell’avere brama, conquista, invidia, vorrebbe per sé, possiede. Lo sguardo dell’essere vede ma non conquista, gioisce, si stupisce, si commuove, fa entrare dentro di sé ma non vuol per sé.

C’è molta differenza tra chi vuole “avere ragione” e chi cerca la ragione. Nel primo caso ciò che conta è aver ragione, nel secondo trovare la verità.

C’è molta differenza tra voler essere qualcuno, grandi importanti e sentirsi importanti, sentire di aver un valore in sé, sentire di essere qualcuno per il solo fatto di esserci e di esistere.

La differenza tra gli uomini non è per quello che hanno ma per ciò che sono. L’essere sarà la nostra felicità perché è l’accettazione; l’avere la nostra continua insoddisfazione perché è una rincorsa infinita ed affannosa.

L’essere è sempre interno: c’è qualcosa in me che mi può fare felice. L’avere è sempre esterno: c’è qualcosa fuori di noi che ci fa felici.

 

“Non è quello che hai la tua felicità, ma quello che sei”. Per avere bisogna combattere, darsi da fare, eliminare gli altri, essere superiori, confrontarsi, vincere, arrivare primi. E’ terribile, è un’ansia tremenda, è un gioco al massacro!

L’essere è sempre interno: c’è qualcosa in me che mi può fare felice. L’avere è sempre esterno: c’è qualcosa fuori di noi che ci fa felici. Molti uomini credono che per essere bisogna avere (e così accumulano a dismisura). Ma la realtà è che per avere bisogna essere.

Quando andremo di là, dal Gran Capo, non ci chiederà “Quanto avevi?”, ma “Chi sei stato?”.

 

Beati voi che piangete: perché chi piange è ancora vivo,

ha ancora dei sentimenti, può commuoversi, sentire il dolore proprio e altrui.

Chi piange sa ancora esprimere ciò che ha dentro.

M.P.

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La sera quando i pensieri, i ricordi
Si fanno più intensi
Accendi una candela
Sarà la luce del tuo Angelo.
Nella penombra,Egli saprà farsi sentire
Saprà farsi ascoltare.
In quei momenti non avrai freddo
Ma sentirai la pelle d’oca,
sentirai nel tremolio della fiamma
il volteggiare delle Sue ali,
sentirai nel calore della fiamma
il Suo alito baciare il tuo viso.
Egli sorriderà hai tuoi sogni
E veglierà il tuo sonno.!
( michael)

 

 

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Orme di piedi
sfiorano fili d'erba.
Orme in scia
alla ricerca del tempo
trascinano un ricamo
su quel prato decorato di fiori.
Petali riflessi nella notte
oscurano le stelle,
leggeri desideri sfiorano
la luminosità dell'anima.

 

 

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