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« LA DONNA DEL TORRENTEALBA »

E VISSE  DI SOGNI

Post n°47 pubblicato il 15 Gennaio 2008 da aidanred
Foto di aidanred

Un album di corpi immobili, di volti accesi di spontanei sorrisi, sguardi fieri o impacciati di cui mi è stata raccontata la storia o ho condiviso la storia, sfoglio per riannodare sottili legami di affetti e per non dimenticare i ricordi.

 

Il sorriso ingenuo di Iolanda mi ha accompagnato negli anni e la sua immagine stropicciata tra i volti di cugini lontani e mai conosciuti, mi restituisce i gesti, il suono della voce, le risa e la luce delle sue lacrime indifese.

Iolanda era poco più di un’adolescente quando io ero una bambina e a quel tempo il suo unico desiderio era incontrare un amore.

Della sua piccola vita scriveva ogni giorno pagine di romanzi rosa: strazianti affanni e dolci illusioni.

Veniva spesso a casa mia, ogni qual volta riusciva a liberarsi delle due nipotine che la sorella sposata le affidava durante le ore di lavoro, come impiegata in città.

Dalle sette del mattino, alle sette di sera, dal lunedì al sabato, era impegnata nel ruolo di zia bambinaia, vittima di una madre che le aveva impedito ogni libertà e soffocato il respiro dei sogni.

 Suonava alla nostra porta per chiacchierare con le mie sorelle e le sue storie erano sempre le stesse

 Si lamentava e sfogava la sua rabbia, le nipoti le avevano rovinato gli anni della giovinezza e per accudirle, diceva, aveva dovuto rinunciare a molti appuntamenti e se non era ancora fidanzata la colpa era loro. 

Il principe azzurro che l’avrebbe strappata da quella che considerava una vita ingrata, lo vedeva in ogni giovane che incontrava per caso e non perdeva occasione per mettergli gli occhi addosso.

 Con lo sguardo fisso, persa in uno dei suoi tanti sogni romantici, si vedeva e rivedeva salire  le scale di un altare.

Il riscatto di Iolanda  si vestiva di un abito bianco e di un sì deciso, pronunciato con tutta la forza della sua ribellione. 

Iolanda aspettava con ansia la domenica e già di prima mattina si preparava alla messa. Sul sagrato della parrocchiale sostava tra le fila dei cipressi, sorridente e in trepida attesa.

Era il suo momento, non doveva lasciarsi sfuggire l’occasione di rispondere ad un saluto o ad un cenno di fuggente attenzione.

Quando le campane scandivano l’inizio della funzione, lei tardava ad entrare in chiesa e una volta dentro si metteva in fondo, dove le femmine si mescolavano ai  maschi: quello era lo spazio occupato da chi la messa non l’ascoltava affatto, ed essere lì rappresentava solo una occasione di incontro per scambiare qualche battuta e lanciare con gli occhi i messaggi di intesa.

Iolanda distribuiva sorrisi che non trovavano spontanee risposte e le sue domeniche scorrevano così, aspettando qualcosa che mai accadeva.

Nei pomeriggi domenicali passeggiava in su e in giù per la via principale, si fermava davanti alla pasticceria della piazza, poi prendeva coraggio, entrava, e rossa di vergogna chiedeva in fretta un gelato sul cono.

Riprendeva con lentezza la sua passeggiata, leggendo nei numeri delle targhe delle automobili il gioco infantile del suo destino.

-          Due sette, incontrerò una donna, due otto incontrerò un uomo.

Così affidava a quei numeri doppi gli inviti mancati, senza sentirsi colpevole. 

In estate e nei giorni di festa indossava vestiti moderatamente scollati, arricciati e stretti in vita. Calzava scarpe bianche col tacco a spillo e appesa al braccio teneva stretta una borsetta di pelle chiara, nella quale nascondeva il rossetto e il portacipria, i guanti di rete sottile e il fazzoletto per asciugarsi le lacrime.

  Aveva capelli ondulati e neri, divisi a metà sulla  fronte pallida. Era robusta e soffriva per le sue rotondità mal distribuite, le quali accentuavano l’atteggiamento bonario e dinoccolato che nessuno sentiva di prendere veramente sul serio.

Iolanda aveva poche amiche disposte ad ascoltarla, anche perché i suoi discorsi non erano ricchi di parole o pensieri scorrevoli e comprensibili. Si esprimeva a fatica, interrompendo le frasi con continui - No, é... é... é ... vero!, ma?. 

Solo chi era solito sentire i suoi sfoghi poteva capirla senza prestare troppa attenzione, poiché  erano sempre gli stessi rimpianti, tinti di malinconia e di cieli ideali in cui volare, libera dai lacci che le tenevano strette le ali.

Andarsene, per ritrovarsi diversa e cancellare la maschera che le era stata incollata sul volto, era il pensiero fisso che la sua mente tesseva lentamente, ma senza sosta, Il disegno di una mitica fuga che l’avrebbe portata via, lontano dai pregiudizi, dai suoi complessi e permesso di  ritrovarsi sola, di fronte a chi, guardandola, non avrebbe scavato  oltre il suo  spontaneo sorriso.

 Solo questo voleva Iolanda, essere se stessa e non l’immagine che la sua famiglia aveva modellato per lei.

Quando parlava alle amiche, voleva solo conferme sul futuro d’amore che aveva progettato e bastavano brevi risposte, sempre le stesse, per farla piangere o sorridere: Iolanda dalla lacrima facile, dal riso improvviso nell’eco di un singulto. Aveva bisogno di stringere un contatto fisico con la persona che le stava accanto, la spingeva con continue gomitate e ciò rendeva difficile ogni rapporto. Quello strano atteggiamento l’aveva allontanata da molte delle sue coetanee, che non accettavano e mal sopportavano il perché di tanta invadenza, e per questo di buone amiche ne aveva ben poche.

Quando veniva da noi si aggrappava a chiunque pur di sfogare le sue gioie e i dolori e si accontentava anche di me che capivo ben poco di quelle drammatiche passioni, ma comprendevo, con sofferenza, quanto dolorose fossero le sue pesanti gomitate.

All’inizio dell’estate si era fatta fotografare con l’abito della festa, seduta su un muretto, in una posa tipica delle attrici che apparivano a quei tempi sui rotocalchi o nei fotoromanzi a puntate di Grand Hotel e Bolero.

Ne aveva letti tanti, troppi. Immersa in romantiche storie si dimenticava delle nipoti e in quei momenti qualcuno dall’alto vegliava per lei sui loro giochi, impedendo che potesse accadere qualcosa di terribile.

Prima dello scatto si era ben sistemata il vestito e la sottogonna che doveva gonfiare, ma non troppo, la curva che dai fianchi scende fin sopra i ginocchi. 

Ne aveva fatte più copie di quella fotografia e le aveva distribuite alle amiche.

 Anche le mie sorelle conservavano la foto di Iolanda con le gambe accavallate e lo sguardo sognante e non perdevano occasione per mostrarla ai loro corteggiatori insistenti e rifiutati, nella speranza di poterla sistemare una volta per tutte.

 Lei sperava proprio di incontrare in un modo o in un altro un fidanzato, ma nessuno ci provò seriamente a volerle bene. In paese “i diversi” li marchiavano di un marchio indelebile che nella vita non trovava riscatto.

Un giorno, ricordo che arrivò da noi piangente, era disperata, diceva di aver preso la decisione di fuggire da casa.

Aveva conosciuto un militare, il quale sembrava dimostrare nei suoi riguardi serie intenzioni, era andato persino a casa dei genitori e si era presentato alla madre che lo aveva accolto in soggiorno e fatto sedere sulla poltrona bella.

Iolanda li lasciò soli per preparare il caffè, ma quando rientrò nella stanza con il vassoio e le tazzine fumanti, il bel soldato non c’era più: se n’era andato. Era certa di sapere chi gli aveva raccontato delle crisi  che la colpivano d’improvviso da quando era bambina, ma ora stava meglio, non c’era bisogno di tirare fuori quella brutta storia.

- Perché - si chiedeva, - Una madre fa questo ad una figlia? .

Nel parlare di sé svelava il segreto della sua diversità e i sogni crollavano dinanzi ai muri del suo essere fragile.

Povera Iolanda, io non capivo fino in fondo il  dramma del suo cuore, ma per me era Cenerentola che si aggrappava a chiunque non chiudesse la porta ai suoi sogni.   

Si, Cenerentola non viveva solo nella fiaba, mi abitava vicina e io non potevo far nulla per aiutarla.     

Ai suoi pianti c’eravamo abituate e per questo quel giorno non le rivolgemmo particolare attenzione.  Iolanda, invece la valigia l’aveva davvero preparata e quella sera se ne sarebbe andata per non tornare più.

Dopo essersi sfogata con parole accompagnate da trascinati singhiozzi, sembrava si fosse calmata e quando la salutammo non potevamo pensare ciò che sarebbe successo. Domani si sarebbe ripresentata e ci avrebbe raccontato un’altra pagina della sua storia infinita.

La stessa sera, sul tardi, ci suonarono alla porta. Non ricordo chi andò ad aprire.  La mamma di Iolanda cercava disperata sua figlia perché non era ancora rientrata e a quell’ora poteva succederle certo qualcosa. Malata com’era non doveva restare fuori, al buio e da sola.

Nel tempo che seguì mi mancarono gli spintoni e le gomitate affettuose che non sapeva frenare, quello era il suo modo di comunicare e formulare messaggi d’aiuto.

Iolanda ora deve essere felice e il suo sorriso di gioia lo ritrovo ogni volta che apro l’album di famiglia e la rivedo col vestito della festa, seduta sul muretto, con le gambe accavallate e lo sguardo sognante.

 
 
 
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Un blog di: aidanred
Data di creazione: 21/10/2007
 

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