RUGIADA

LUCE D'ERBA

 

 

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PASQUETTA SUL COLLE

Post n°61 pubblicato il 23 Marzo 2008 da aidanred
Foto di aidanred

 

 Se spalanco la finestra, oggi non vedo ciò che un tempo riempiva i miei occhi. L'orizzonte di verde e di cielo mi è stato nascosto, cancellato dai muri alti di grigio cemento, in cui a fatica stento a riconoscere i volti e le voci care e familiari.

Mompiano dall'aria leggera, come acqua di fonte, dalla terra generosa, impotente al volere del tempo, ha permesso che i suoi prati fossero calpestati. L'erba non è più cresciuta e di questa s'è perduto anche il profumo dell'ultimo fieno.

Sulle pendici del colle le ferite si fanno ogni anno più larghe e gli ulivi piangono i giorni in cui volgevano i rami ai raggi del sole che sembrava splendere solo per loro. Avevano radici profonde e c'è voluto un freddo coraggio per riuscire a strapparle, ma qualcuno l'ha fatto e siamo rimasti a guardare.

A Pasquetta, quando ero giovane, ci ritrovavamo tutti su, sopra il colle di San Giuseppe e i sentieri pietrosi si affollavano di passi ansanti e di voci chiassose e felici. Stendevamo, come lenzuola aperte su un letto di primule e viole, le ampie tovaglie e volgevamo lo sguardo dall'alto verso la città che faceva capolino in piccoli gruppi di case aldilà dall'anfiteatro delle nostre montagne.

Poi solo campi, una distesa piatta ed estesa che si estendeva verso il nord per poi perdersi dietro la curva di un monte.

La valle, coi suoi vigneti e frutteti, campi verdi di erba e gialli di frumento maturo, macchiava una tavolozza di colori che si mescevano in toni accesi o pacati nello  scorrere perpetuo delle stagioni.

Una fisarmonica e un mandolino suonavano le nostre canzoni e i "Mazzolin di fiori" si alzavano al cielo di quelle primavere nascenti, come canti augurali per i giorni futuri. Era la festa delle uova, del salame e dei "ridicì".

Uova fresche delle nostre galline e salame di quello buono, nostrano. Allora ce ne bastava una fetta per mangiarci due o tre pani; bagnato di vino rosso era ciò che di meglio potevamo gustare.

La lunga camminata in salita, fino sulla cima del colle, alimentava la nostra fame e tutto 'sto ben di Dio ci appariva così buono.

Il giorno di Pasquetta lo segnavamo sul calendario, era il giorno in cui "quelli di Mompiano", che avevano ancora due buone gambe, si presentavano all'appuntamento cui nessuno avrebbe voluto mancare.

I giovani erano i primi ad arrivare sulla cima, loro il sentiero lo salivano a passo veloce e con voci alterate da sonore risate accompagnavano il ritmo accelerato dei respiri ansanti.

I bambini ci arrivavano in piccole corse a singhiozzi, sordi ai richiami dei genitori che avrebbero voluto averli al loro fianco: tranquilli e ubbidienti.

Gli anziani si arrampicavano lenti e pensosi e in ogni passo gli occhi ed il cuore ritrovavano un ricordo e il sapore malinconico degli anni trascorsi, graffiato nella corteccia di un albero, con i tratti sbiaditi di una freccia e di un nome.

A Pasquetta ci toglievamo le calze che l'inverno aveva voluto coperte di lana spinosa e a gambe nude lasciavamo che il sole ci accarezzasse la pelle senza pudore. Quanti miracoli potevano accadere in una giornata di primavera!

Io ricordo d'essermi promessa al mio Giuseppe il giorno di Pasquetta del 1919: eravamo ancora due ragazzini, ma quel sì fu per sempre. Ci sposammo il primo di maggio: il giorno della festa dei lavoratori. Lui mi diceva: “Noi faremo la rivoluzione, vinceremo e non ci saranno più né servi né padroni…Il primo maggio regalerà la nuova primavera dei popoli e la nostra felicità…”.

Ci credeva il mio Giuseppe ed era convinto che Cristo la povera gente l'avrebbe aiutata…ma non fu così.

C'eravamo promessi amore sul colle e sul colle noi scegliemmo di vivere. La nostra casa di giovani sposi c'è ancora, se guardi verso l'alto la puoi ben vedere. Aveva un bel portico, una cucina grande e due camere luminose.

Nell'orto piantammo un ulivo, lui non lo vide crescere.

La vita spesso illude i suoi figli e quando gli strappa ciò che gli è caro, rimane un incolmabile senso di vuoto.

Fin che ho avuto le gambe buone ogni anno a Pasquetta sono ritornata sul colle perché non volevo mancare all'appuntamento con il mio unico amore.

Mi è stato strappato che ero ancora giovane, non hanno avuto rispetto di me e della mia bambina che a quel tempo aveva solo due anni.

Ora tutto ciò che successe mi appare così terribile da non trovare   giustificazioni all'agire dell'uomo.

Guardo fuori dalla finestra questo mondo che cambia, sospiro di malinconia e mi abbandono al suono amico dei ricordi.

 

Tratto da " FILOMENA E LE ALTRE" Un libro che ho scritto per mantenere viva la memoria del passato

Sono ricordi di un tempo lontano, riemersi dai racconti delle donne del mio paese: storie di quotidianità nascoste che non vogliono essere dimenticate. 

 

                                          

                                               

                                         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
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Data di creazione: 21/10/2007
 

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