Essere e pensiero
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Sul dialogo e sulla laicità di Cristo...
Post n°89 pubblicato il 14 Gennaio 2008 da pensieroinespresso
Nel Cristo, pienamente uomo fra gli uomini, e nella sua pratica d’incontro troviamo tracciata con forza l’immagine di un moderno concetto di laicità. Il suo essere “non-religioso”, che si esprime con compiutezza nell’affermazione, “il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2, 27-28), e nella costante ricerca della relazione profonda e conviviale con gli “impuri” ed i reietti della società teocratica del suo tempo, delinea con chiarezza, anche per l’uomo d’oggi, lo spazio vitale per un cristianesimo non-religioso. Un Cristianesimo, cioè, spogliato dall’assetto dogmatico che, nel corso dei secoli, ne hanno ingessato l’anima originaria e restituito alla forza rivoluzionaria dei suoi valori portanti. Un Cristianesimo in cui appare allora chiara la presenza di uno spazio vitale in grado di svuotare di senso la dicotomia fra laici e credenti che, isolando gli elementi della relazione, li rende reciprocamente inintelligibili. Se autonomia e libertà da ogni credo, che pretenda di porsi come ideologia assolutizzante, sono gli elementi fondanti della mentalità laica come della fede non-religiosa, allora sfuma, fino a diventare irrilevante, la distinzione fra laici e credenti. In tal modo, allargandosi gli spazi dell’incontro e della relazione ed i motivi della condivisione, si determinano le condizioni perché le ragioni del dialogo possano prendere il sopravvento. Abbandonata ogni certezza dogmatica, il credente laico nel Cristo, modello di laicità, si apre naturalmente anche al confronto con altre esperienze religiose, alla ricerca di un tessuto valoriale comune che sia al di qua delle differenze ideologiche. Tali differenze potranno essere, pertanto, accantonate, una volta accantonata la propria presunta pretesa di verità. Se non ci si sente depositari di una verità assoluta, si può intraprendere il cammino verso la verità a cui avvicinarsi e ci si rende conto che questo percorso non può essere fatto da soli, ma necessita di compagnia e di confronto. Nel riconoscimento dell’altro come possibile compagno di viaggio e di ricerca si scompone e si ridetermina la nostra stessa identità. E credo che l’affermazione, più volte sentita, della necessità di una reciprocità di atteggiamento e di riconoscimento fra le varie esperienze religiose, come condizione imprescindibile del dialogo interreligioso, non debba essere un inciampo o un freno al dialogo stesso. In ogni forma di dialogo c’è sempre qualcuno che dà avvio al discorso, rivolgendo per primo la parola e non sapendo se l’altro risponderà e come risponderà. Ciò non può impedire che unilateralmente ci sia chi proponga la parola dialogante. Il dialogo si costruisce nel tempo e non implica che in partenza gli elementi dialoganti abbiano la stessa storia, gli stessi riferimenti ideali e le stesse speranze. Esso é un seme che si getta nella storia i cui germogli saranno raccolti da altri dopo di noi.
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