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TRENTANOVE - Un passo

Post n°40 pubblicato il 20 Giugno 2010 da passato_per_caso

"Forse tutto sta cambiando". Glielo sentì dire dentro il montare di un discorso che aveva colto solo a tratti, magari pure i meno essenziali. Ma quella frase, buttata lì come uno che dice "non ci sono più le mezze stagioni" o "una volta i treni si erano in orario", gliela accolse  nell'alveolo della sua attenzione.

"Forse tutto stava cambiando" se lo sentì colare dentro, aderire alla sua anima come una seconda pelle. Lei stava cambiando. come un serpente che fa la muta, usciva da quel torpore, da quella sensazione scomoda, fuori tempo. Da quel tempo. Come una farfalla diventa tale dopo esser stata pupa.

 

Le lancette dell’orologio si muovevano a velocità costante lungo il percorso d’una circonferenza, sempre quella, sempre la stessa, segnando tuttavia, attimo dopo attimo, che ogni istante era differente da quello successivo così come da quanto lo aveva preceduto.

 

Strano gioco quello del tempo, ad essere coerenti l’orologio avrebbe dovuto misurarlo il tempo su una linea continua da e verso l’infinito. Invece eccolo racchiuso dentro ad un cerchio, muoversi da lato a lato come l’aggirarsi di un leone dentro ad una gabbia. L’animale libero, braccato, in cerca di una via di fuga.

 

Potendolo forse il tempo sarebbe fuggito da quell’involucro e dal suo cinturino.

Perché il tempo è aquila, o forse germano, il tempo è animale rapace, è il falco, e tu sei la sua preda migliore.

 

Com’era Prato della Valle in quel momento, in quel giorno? Non lo sapeva, lo poteva immaginare pensando a quella Piazza in un attimo avulso dal tempo. Non in quell’ora e in quell’istante. Non poteva sapere chi la percorreva, chi ci sostava, chi, fra le statue o sopra un ponticello di quella roggia che la circondava, si stesse baciando.

 

La ricordò la prima volta che l’aveva vista diversa da ogni volta successiva. Diverse le persone, gli occhi, le emozioni, i baci raccolti e dati. Diverso l’angolo e la prospettiva, come quel giorno che si decise a guardar le statue con gli occhi  d’una bambina e allora via, attaccata la camera ad un cavalletto alzato un metro e venti, l’ottica normale, l’angolo della testa alzato sui 35  gradi ( o erano 40?) e via a coglier spazi e prospettive e sogni, e poi pensò, guardando quelle foto, che il fondo dello sguardo di un bambino, con quell’angolo di 35° (o forse 40, a ricordarlo non lo sapeva dire bene), lo sfondo non era un muro, o una strada o un albero, come avrebbe visto un “grande”. Lo sfondo era soltanto il cielo, l’occhio rivolto all’insù lo coglieva nitido, e forse era per questo che i bambini vedevano molto più lontano di ogni adulto e avevano gli occhi pieni di sogni, quegli stesso che poi da grandi cadono, ad uno ad uno, come lo sfondo di cielo che si trasforma in muri, in alberi, in case. Un linea d’orizzonte rasoterra.

 

Così le parve d’improvviso tutto il paesaggio attorno, le pareti, i mobili. Una linea continua rasoterra. Anche lui che da una sedia le parlava pareva d’improvviso esser diventato un punto invisibile sparso sopra il pavimento.

 

Tutto in quella casa sembrò d’improvviso insopportabilmente basso,  un universo melmoso, di sabbie mobili, invisibili capaci d’inghiottir tutto nell’arco del battere di ciglia.

 

Si sentì soffocare in quell’aria diventata spessa, stagnante.

 

“Forse tutto stava cambiando” colava sulla sua anima quel drappo di parole, invischiava ogni parte intima di lei come un limo. Tutto in un istante s’era fatto polveroso attorno. L’aria rovente come mischiata al Fohn.

Era tempo di cambiare. Davvero.

 

Si alzò che ancora lui parlava. Posò quel bicchiere che per tutto quel monologo aveva tenuto fra le mani, giocherellandoci e, senza un filo apparentemente logico, e senza avanzare alcuna ragione, lasciò la stanza, lasciò la casa. Semplicemente se ne andò. lasciando come scia, il suo umore di prima, la sua apatia. Dentro la macchina accese il motore, e subito dopo, il tergicristallo. Pioveva forte sulla strada, i fari illuminavano la pioggia. Accese la radio, una canzone di molti anni prima invase l'abitacolo. Non sapeva perchè ma quella solitudine improvvisa, cercata e quindi trovata dentro la sua automobile, su quella strada, quel crogiolarsi fra se e sè, le metteva allegria. Svuotò la mente, resettò la memoria di tutte quelle parole andate, come la pioggia sopra la carrozzeria e, a squarcia gola, incominciò a cantare, seguendo la musica che ancora l'accompagnava.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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