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QUARANTADUE - Per sempre

Post n°43 pubblicato il 23 Agosto 2010 da passato_per_caso

Il giorno che la vide scomparire fu tutto un attimo. Un attimo prima era “tuttocomeprima” l’istante dopo oltre lo iato. Comprese che era una questione di tempo. Chiedendole “per sempre” lei rispose si, ma intendeva un sempre che poteva scomparire dentro a un attimo.

“Nulla è per sempre” glielo si diceva, ma lui a questo non riusciva a credere. “per sempre” è una rete, il fondo umido dell’occhio mentre guarda passare in cielo nuvole e stagioni, per sempre è quella pelle che s’abbronza o chiude i pori a seconda che la scaldi il sole e sferzi poi la tramontana.

Per sempre è il punto fermo da sui si attende il tempo, mentre tutto attorno muta, con il tempo.

Per lui “per sempre” era fatto così: unità indivisibile del tempo, linea retta verso l’infinito senza alcuna possibilità di separazione.

Pensò “Che strani gli uomini, le persone che dicono “per sempre” e non ne avvertono il significato così assoluto”- troncare un “per sempre” era come venire meno a un giuramento solenne.

Certo se amare fosse soltanto una promessa allora ce ne sarebbero di lieto fine ad incorniciar tramonti che, infondo, una parola sarebbe bastata a tacitar lo scatto e poi la rabbia di un momento, e un solo momento non sarebbe bastato a confondere i giorni come i grani di sabbia nella mano.

Certo, se amare fosse soltanto un volta allora sarebbe d’ali il cielo sino al limite infinito d’orizzonte, e d’ali sarebbe il mare e persino la cima del monte che diresti innevata e invece, no il candido manto solo piume.

Certo che se amar fosse davvero un dono allora e solo allora dico, si direbbe per Natale d’averne un poco da scambiarsi e scandire su tovaglie immacolate, scintillii d’argento e voli poi di fate

Certo che se amare fosse dare e non scambiare allora, forse si potrebbe dire, amore e poi guardare, che di occhi da sorreggere e ritrovare ce ne sarebbe a  frotte.

Avvertì la confusione delle parole avvolta sotto il manto celeste del creato ed in modo ancor più distinto la confusione degli uomini quando le usano.

Guardò un oggetto. Ne scandì a voce alta il nome. L’oggetto rimase immobile, muto. Quel nome non era il suo nome ma la convenzione nel chiamarlo.

-“il mondo è pieno di convenzioni”- disse fra sé. –“Ecco perché le cose a volte par che si dicano ma non s’intendono davvero”- Avvertì il senso di precarietà delle parole, il margine ambiguo del loro significato.. Il nome è una forma che sbiadisce ai margini e lì, nel margine, si fonde a volte con un’altra parola ancora. E lì, nel margine si consuma e muta di significato, a volte, per chi la dice o per chi l’apprende.

Si formano nei margini le catene di parole, libere associazioni che portano il senso di un discorso a mutare in modo inesorabile.

-“Se le parole fossero nette e netto fosse il loro significato allora nulla di tutto questo potrebbe accadere. Se dici “Amore”, amore resta il significato e “per sempre” rimane un tempo, nel tempo, illimitato”-

Pensò al nome di lei e ne trovò i confini incerti, confusi. Uscì alla luce del sole credendo che la luce intensa del mezzogiorno potesse aiutarlo a rivederne intatti i margini.

Il tempo stava sbiadendo l’immagine e ancor di più il suo significato.  Il nome, quel nome, stava diventando una catena di lettere ed il prima, il dopo ed il durante semplicemente fatti, accadimenti.

-“Disaffezione”- fu la parola che gli venne alla mente. I margini del nome sono chiari solo quando l’affettività ancora comanda il nome, lo mantiene nel suo dominio. Quello che era stato “Nome” era diventato lettere accostate. Lo sfondo delle parole lo aveva lentamente assorbito ed ora, sfumato, giaceva fra le parole usate dentro i percorsi di un dialogo qualsiasi.

“Non è il significato mancante, è l’’affettività che muta a cambiar il senso delle parole. Solo chi ama davvero può pensare “Per sempre” come un limite infinito. Per chi ne  parole normalmente, “per sempre” è una parola che significa tempo lungo, al limite indeterminato.

Si sentì più sicuro, ed anche più incerto.

Le parole avevano un valore che non era il proprio ma quello dell’affettività di chi le pronunciava.

Sorrise del culmine di quel ragionamento. Il mondo gli appariva più chiaro.

Un petalo s’era adagiato dal fiore a terra. Lui guardò il fiore. La terra  sorrise. Muta.

 
 
 
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