Creato da perestico il 20/09/2008

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« Il NataleMessaggio #35 »

Il senso della Vita?

Post n°34 pubblicato il 01 Dicembre 2008 da perestico

Non ricordo molto di quando ero piccolino, occhialuto e capellone, tanto meno quando ero meno capellone e gli occhiali ancora non facevano parte di me.   Mia madre mi racconta che il giorno in cui son nato non è stato semplice per lei (e quando mai…).  Immagino mio padre, pauroso come pochi, che corre su e giù per la casa trafelato, cercando di raccogliere il necessario per partire in ospedale, che urla, inciampa e impreca contro tutto e tutti (che dolce J).  Ovviamente non ho avvisato nessuno, nascere a sette mesi non è che sia tanto simpatico, meglio non avvisare, non sia mai che ci ripensanoJ.  La mia mamma è una donna molto “Donna”,  ne ho incontrato poche come lei. Dice che erano così convinti che non ce la facessi , che mio padre,  aveva ormai avvisato tutti i parenti… “noooo, nooooo non ce la faaaaaa, non venite neanche”.

Mi faceva incazzare già allora!  Io nasco e non invita nessuno?  GRRRRRRRR.   Nasco!  Si, si, e faccio pure casino, però non reggo… mi sbattono come un vassoio di ciambelle fatte in casa dentro un fornetto, insomma un’incubatrice.  Mi sembra di vedere mio padre, “ecco lo sapevo io, non ce la fa, è inutile, non mi avete ascoltato, avevo ragione io”,  sono certo che gli facevo il ghigno, anche se non ci sono le prove.   Dopo innumerevoli telefonate di disperazione e fiumi di lacrime, versati da mia madre,  ce l’ho fatta.  Non potrò mai dire che non me la sono cercata, potevo lasciarmi andare li, in quel momento, e invece ho deciso di continuare.   

 
 
 
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Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi? 

 

Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno. 

 

Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno. 

 

Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi? 

 

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore. 

 

Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è il mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte delle umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.

 

 
 
 

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