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Riflessioni, meditazioni... la via dell'accettazione come percorso interiore alla scoperta dell'Essenza - ovvero l'originale spiritualità non duale di Claudio Prajnaram

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Rinunciare, ritirarsi... è necessario ?

Post n°358 pubblicato il 12 Novembre 2007 da Praj
 
Foto di Praj

Molte volte si sente dire che un individuo inserito nella realtà mondana non può praticare una concreta ricerca interiore, perché è troppo occupato a far fronte a tanti impegni di vario genere che gli impediscono di dedicarsi a quello che, invece, chi si ritira in uno spazio consono, di tranquillità e di silenzio, può fare molto meglio. Come ad esempio: monasteri, ashrams, comunità spirituali...

Si crede che chi è oberato da molte incombenze non possa praticare un lavoro su se stesso, come chi invece ha preso la via della rinuncia al mondo, andando a vivere in realtà protette da molte situazioni ritenute disturbanti il proprio cammino. Si ritiene, erroneamente a mio avviso, che le interferenze dovute agli obblighi sociali o famigliari siano un problema, il quale offre scusanti per giustificarsi rispetto all'indisponibilità verso la propria evoluzioni spirituale. 
Invece vorrei dire che gli obblighi sociali e famigliari certamente possono interferire, interferiscono, ma sono proprio questi "ostacoli" che mettono in evidenza la qualità della nostra comprensione e crescita. Sono proprio le difficoltà del vivere nel mondo che ci mostrano quanto sia solida e non velleitaria la nostra maturità interiore.
Se non c'è questa continua verifica, il nostro sentirci spirituali è un fatto effimero, astratto, fumoso. La "fuga" dal mondo trasforma la ricerca in una specie di droga, in un bisogno di pace e tranquillità, senza le quali non siamo in contatto con l'essenza di noi stessi. Invece, per me è proprio nella routine, nella bagarre del mondo che va ritrovato il punto d'equilibrio e di serenità interna, comunque sia. Altrimenti ci stiamo raccontando delle balle. Abbiamo paure e desideri che non vogliamo vederci e con le quali non vogliamo confrontarci.
La crescita spirituale può benissimo accordarsi con la vita nel mondo materiale. Non c’è contraddizione. Bisognerebbe però tener presente una cosa: le problematiche materiali dovrebbero avere una funzione subordinata, e la crescita spirituale dovrebbe rimanere la priorità. Mai la crescita spirituale dovrebbe essere sacrificata alla dimensione materiale. In qualunque momento, qualora fosse necessario, l’aspetto materiale può essere sacrificato alla vita spirituale. Se questo è chiaro, non ci sono problemi. Il problema si presenta solo perché il lato materiale diventa il padrone, e nonostante ciò si desidera ancora la crescita spirituale. La spiritualità non può crescere come dimensione secondaria. Lo spirito non può essere un servitore del corpo. La spiritualità deve essere l’elemento primario, allora tutto può avere la funzione subordinata ed essere utile. Allora la vita materiale, con le sue difficoltà e pericoli, diventa una sadhana, una utile disciplina con cui fare i conti, una palestra che può aiutare la nostra evoluzione spirituale. Quindi ritengo che la rinuncia non debba essere connessa al rinunciare al mondo, ma a ciò che il mondo vorrebbe – con
 i suoi valori, i suoi beni - noi ci identificassimo, rinunciando a riscoprire la nostra Essenza, la nostra profonda natura spirituale.

 
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