Creato da Praj il 30/11/2005
Riflessioni, meditazioni... la via dell'accettazione come percorso interiore alla scoperta dell'Essenza - ovvero l'originale spiritualità non duale di Claudio Prajnaram

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Messaggi di Gennaio 2008

Il minimo impegno non paga

Post n°392 pubblicato il 30 Gennaio 2008 da Praj
 
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Il minimo impegno, anche se ci permette di ottenere un risultato apparentemente solido, è probabile che poi ci costringa al massimo sforzo per mantenerlo.
Per questo non è un atteggiamento conveniente.
E' piuttosto nella stabilità delle basi che ci hanno fatto raggiungere un obbiettivo che sta il fondamento di un duraturo godimento.

 
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Lo Zen: l'arte di vedere la propria natura

Post n°391 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da Praj
 
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Nella sua essenza lo Zen è l'arte di vedere nella propria natura. Esso indica la via che dalla servitù conduce alla libertà. Facendoci attingere direttamente alla fonte della vita, esso ci emancipa dai gioghi sotto i quali noi, quali esseri finiti, di solito soffriamo in questo mondo. Può dirsi che lo Zen libera tutte quelle energie naturalmente immagazzinate in ciascuno di noi che nelle circostanze normali sono contratte e deviate, tanto da non trovare un modo adeguato di esplicazione. Il nostro essere lo si può paragonare ad una batteria elettrica che racchiude, allo stato latente, un potere misterioso. Quando non è portato all'atto in modo conveniente questo potere intristisce, ovvero, alterandosi, va a manifestarsi in forme anormali. Ora, Io scopo dello Zen è di preservarci sia dalla follia che da una interna mutilazione. Ciò io intendo per libertà: dar libero giuoco a tutti gli impulsi creativi e benefici insiti nel nostro animo. In genere, siamo ciechi di fronte al fatto che noi possediamo le facoltà necessarie per essere felici e per amarci gli uni con gli altri. Tutte le lotte che vediamo intorno a noi derivano da siffatta ignoranza. Perciò lo Zen vuole che in noi un terzo occhio - come i buddhisti lo chiamano - si apra su quella regione insospettata da cui siamo esclusi a causa della nostra ignoranza. Quando la nube dell'ignoranza si dissipa, si manifesta l'infinito dei cieli e per la prima volta noi scorgiamo la vera natura dello stesso essere.
Allora noi conosciamo il significato della vita, comprendiamo che essa non è un cieco tendere, né un mero dispiegamento di forze brute; pur non conoscendone esattamente lo scopo ultimo, sentiamo in essa qualcosa che ci rende infinitamente felici di viverla, che ci fa restare contenti in ogni sviluppo di essa di là da ogni problema e da ogni dubbio pessimistico. Finché siamo pieni di attività e non ancora desti alla conoscenza della vita possiamo non sentire la serietà di tutti i conflitti che essa racchiude e che sul momento sembrano essere risolti per essere in uno stato di quiescenza. Ma prima o poi verrà il tempo in cui dovremo metterci senz'altro faccia a faccia con la vita e sciogliere i suoi enigmi più incalzanti e preoccupanti.


Tratto da: Saggi sul buddhismo zen - D.T. Suzuki - Ed.Mediterranee, vol. I

 
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Il tabù quasi insuperabile

Post n°390 pubblicato il 25 Gennaio 2008 da Praj
 
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Una volta chiamavo la schiavitù libertà, soltanto perchè non ero capace di immaginare il confine e le pareti del recinto nelle quali mi ero confinato. L'arbitrio libero che tanto proclamavo è stato un mito che è esistito in me fino a quando mi  sono raccontato, convinto: io sono questo corpo.
L' identità con la carne, con l'emozioni, con i pensieri, pur se rosei e celesti, mi dava un senso vertiginoso che appariva scelta, mentre in realtà ero relegato, vagante e sordo, in una prigione dalle sbarre invisibili e inafferrabili. Quando questo credermi persona cadde, il senso dell'interdipendenza con il Tutto divenne sempre più smagliante, evidente oltre ogni titubanza. Stupore e meraviglia mi avevano invaso, e avevano dissolto l'immagine di me.
Non esisteva più la libertà dell'io, ma esisteva ora solo la libertà dall'io.
Ora sapevo che la liberazione dal presunto libero agire, da me creduto suprema e umana legge, era invece il tabù più difficile da smontare che ci fosse.
Un tabù che ci accompagna da sempre.
Allora non sapevo che a colui
 che è immerso sognante in questo potente credo non piaceva vedersi morire sull'altare alchemico della mistica rinascita. Questa effimera entità non voleva e non poteva lasciare il posto, sorridendo, al soffio pulsante del Sè infinito. Adesso invece so che non ho confini, ma accetto di crearmeli consapevolmente per permettermi di danzare con Te.

 
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La Sapienza ignorante non accade quando la si vuole

Post n°389 pubblicato il 23 Gennaio 2008 da Praj
 
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La Conoscenza metafisica, la Gnosi, la Fiducia trascendentale, secondo me, viene da sola, attraverso lei stessa. Non può venire da nessuna parte, salvo dal cuore. Non viene da nessuna attività, non può essere compresa dalla mente umana limitata. La Realizzazione è dunque  l’intuizione profonda di ciò che noi siamo. Ciò ci permette di vedere molto chiaramente i nostri meccanismi, la nostra arroganza, le nostre paure, le nostre limitazioni.  Si affronta questa realtà, senza volerla cambiare: è un atto d’umiltà. Si constata solamente il fatto, ciò che non siamo, è ciò che in Oriente si chiama l’intuizione di ciò che siamo. La prima Realizzazione accade senza essere sollecitata, niente può farla tornare. Si capisce che è la vita che decide ogni processo. Ciò che è arrivato attraverso la Conoscenza metafisica, non può ritornare che attraverso di lei. C’è stato un momento di disponibilità, l’evidenza è apparsa. Questo deve essere compreso chiaramente, perché spesso si ha la fantasia di voler pensare o visualizzare l’intuizione di ciò che non siamo. Per cui nessuna disciplina può mai condurci alla Conoscenza metafisica, ma può accadere… quando ci sono certe condizioni di fondo: quando si è totalmente senza aspettative, arresi, disponibili... Se sembra cadere misteriosamente su alcune persone e non su altre, è perché forse non osserviamo bene. Le persone che vivono nella Conoscenza metafisica, può sembrare che abbiano vissuto una vita molto semplice, che sia la loro umiltà, o la nostra mancanza di chiarezza che ce li fa vedere così.  E’ anche la nostra mancanza di consapevolezza che fa si che non vediamo la leggerezza delle persone che, secondo le nostre fantasie, sembrano qualificate per la Conoscenza metafisica. Quelli che fanno grandi sforzi nella loro pratica spirituale non vivono che in un divenire. Non fanno che vivere nella tensione, nella sete di divenire qualcosa, di diventare liberi. Nel desiderio, non c’è posto per altro. Desiderare di essere libero, essere ricco, essere bello, possedere un’automobile di lusso, è esattamente la stessa cosa. Le poche persone che hanno  osato descrivere la discesa della conoscenza metafisica in noi hanno tutte detto che in quel momento erano semplicemente silenziose e tranquille. Le nostre pretese di essere gli autori delle azioni, ci chiudono ad ogni conoscenza metafisica.
Non c’è nessun autore dell’azione tranne Dio stesso. Quando vedo questo, io non sono niente; non c’è che il Divino-Tutto. Allora si può dire che c’è l’intuizione della Conoscenza metafisica. Realizzazione e Conoscenza metafisica appartengono alla stessa dimensione. La Realizzazione è l’evidenza istantanea dell’opera della Conoscenza metafisica o Coscienza transpersonale.

 
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Perchè usare solo mezzo cervello?

Post n°388 pubblicato il 21 Gennaio 2008 da Praj
 
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Sappiamo che il cervello umano e' suddiviso in due emisferi: uno è il destro, il quale gestisce le informazioni affettive ed emozionali; è  legato al nostro sentire, è analogico, irrazionale, atemporale e non-verbale. E' la sede delle attivita' creative, della fantasia. E' connesso con la nostra immaginazione, con l'intuizione e forse all'attività onirica dei sogni; corrisponde al nostro lato ricettivo femminile. L’altro è il sinistro il quale invece è logico- analitico: ovvero, governa le funzioni di tipo razionale. E' astratto, lineare, numerico, razionale, simbolico, temporale, verbale. Esso corrisponde al nostro lato attivo maschile.
Ogni esperienza umana puo' richiedere ed includere il coinvolgimento di entrambi gli emisferi, o  potrebbe, al limite, svilupparsi anche mediante l'attivazione di uno solo dei due. E' certo comunque che, nello sviluppo della propria personalità, ogni soggetto tende, per un concorso di ragioni genetiche e soprattutto culturali e ambientali, a determinare la prevalenza di un emisfero sull'altro.
Il fondamento dell'equilibrio sta nel favorire costantemente una coerenza fra i due emisferi cerebrali. Per la nostra salute, sia fisica che psichica, è necessaria una sinergia tra i due emisferi, che spesso manca a causa dei processi di utilizzo parziale del cervello, che per l’influsso dell’ambiente e dell’educazione, crea occasioni che tendono a far esprimere maggiormente un emisfero sull’altro.
Fatta questa introduzione, osservo invece che noi viviamo usando soprattutto la parte sinistra del cervello. Il suo utilizzo è preponderante. La scuola, la famiglia, come quasi tutte le istituzioni, ci hanno indotto a privilegiare questo aspetto funzionale. Ci hanno condizionato con certe idee riguardo a chi noi siamo e come dovremmo essere, favorendo meccanismi ed abitudini che ci aiutano a mantenere tutto sotto controllo, quindi a usare l’emisfero destro a scapito del sinistro. Ciò comporta l’anestetizzazione di gran parte della dimensione creativa, intuitiva. Questo è un modo di vivere un po’ limitato e limitante. Forse è anche per questo che spesso i giovani, i creativi, gli artisti, cercano rifugio in realtà che danno la sensazione di sfuggire all’inscatolamento
esistenziale che una lettura solo logico razionale fa sentire opprimente e grigio. Stiamo perdendo sempre più il contatto con il nostro corpo, aldilà di una ricerca narcisistico estetica superficiale che s'identifica soprattutto con la forma del corpo.
Ci stiamo purtroppo un pò plastificando. Ci stiamo avviando a perdere la sensibilità, essendo sempre meno in connessione con le nostre sensazioni e, soprattutto, con l’intelligenza del nostro cuore, le nostre qualità più intuitive, creative, spontanee e misteriose. E andiamo perdendo il contatto con la sensazione di spazio ed accettazione che il nostro cuore rappresenta.
Se si vuole ritrovare l’equilibrio, la fantasia del vivere, la risata spontanea che allontana dai rischi della seriosità e dallo scientismo materialista, secondo me, bisogna trovare una via per esprimere noi stessi in quanto esseri completi ed equilibrati.
Bisogna  ritrovare la strada che ci porta dalla testa al cuore, dall'emisfero sinistro a quello destro del nostro cervello, così da poter accedere alla nostra conoscenza interiore rinforzando nello stesso tempo l’intelligenza del nostro  essere interi.
Dobbiamo riscoprire che collegandoci con il cuore si apriranno per noi anche le qualità rilassanti dell’accettazione, della fiducia, dell’innocenza e della gioia, comprendendo altresì che il cuore non è solo il luogo dove si trovano i sentimenti e le emozioni, ma che, in senso spirituale e psicologico, esso è anche il ponte ideale fra i due emisferi cerebrali.
Ricentrandoci sul cuore,  come fulcro del nostro sentire, i due emisferi si armonizzano, vanno equilibrandosi; e in quel equilibrio la nostra percezione e visione del mondo diventa sempre più nitida e luminosa.

 
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Il viaggio oltre la sofferenza

Post n°387 pubblicato il 18 Gennaio 2008 da Praj
 
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Un Saggio ha detto: "Ciò che non vi uccide vi fa crescere". E questa affermazione, soprattutto, se letta in chiave spirituale, mi sembra giusta. Ognuno di noi, in un momento o nell’altro, ha avuto l’impressione di soffrire e di soffrire sempre di più e che la vita fosse dura, difficile, dolorosa.
Ognuno di noi passa o ha passato quei momenti. Ora però, di fronte a questa sofferenza, piuttosto che negarla o fuggirla, dovremmo invece trovare la forza per andare oltre... per trovare in noi quel luogo in cui tutto ciò viene trasceso.
Dovremmo usare la sofferenza, per quanto dura, come occasione, come palestra, per imparare a riconoscere l'essenza di noi stessi.
Dopo aver ritrovato il coraggio di riconoscere completamente ciò che è in noi, si tratta di avere il coraggio di gettarci nell’esistenza, di assumere i rischi, di accettare di ricevere i colpi della vita, sapendo già che si verrà esposti al gioco dei contrari: riuscito-fallito, felice-infelice, lode-biasimo. Certo, dovremo far fronte a situazioni che sinora abbiamo considerato dolorose, ma saremo in grado di accettarle dal momento che, se saremo "uno con" una situazione quale che sia, non ne saremo più colpiti. e, se viene accettata la sofferenza sfocia nella pace del profondo.
Se comprendiamo questo principio, non avremo più paura di soffrire, perché la sofferenza, se accettata, non è dolorosa; le situazioni tormentose acquistano un senso. E’ proprio a questo che dovremmo arrivare. Però se seguiamo il cammino della ricerca interior solo per paura di soffrire, non progrediremo mai.
Siamo d’accordo che la meta del cammino sia la scomparsa della sofferenza, la pace permanente, la gioia che supera ogni comprensione, ma il cammino passa per la sofferenza. E non è un ricercatore serio chi cerca di apprendere gli insegnamenti allo scopo di non soffrire più, bensì chi non ha più paura della sofferenza e non teme più di mettersi in situazioni che potrebbero farlo soffrire. Almeno avrà sperimentato, avrà vissuto, saprà che cosa l’esistenza poteva o non poteva dargli, avrà iniziato a comprendere la verità di ciò che i Saggi chiamano maya. l’illusione, e l’attaccamento, con il suo gioco di attrazione e repulsione. Un ricercatore accetta di soffrire. Chi è impegnato nel cammino preferisce vivere e soffrire piuttosto che non vivere per non soffrire. Non possiamo vivere senza assumerci il rischio di soffrire, sino a quando non abbiamo scoperto il segreto che ci pone al di là della sofferenza, quali che siano le circostanze della nostra esistenza. Comunque soffriremo.
Allora perché non accettarlo deliberatamente una volta per tutte. Perchè non viverlo come un ritorno alla nostra verità profonda, farne un cammino di purificazione, prenderlo come un punto d’appoggio per trascendere la sofferenza?

 
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Post n°386 pubblicato il 16 Gennaio 2008 da Praj
 

 Simbolico arcobaleno

Ponte iridescente
inafferrabile per la brama
ma passaggio per il sogno.
Il suo arco indica un cammino
che va dalla terra al cielo
ritornando a terra.
Ermetico transito
per chi vuole cavalcare
la Luce dopo la pioggia

 
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Il mentire nasconde sempre una paura

Post n°385 pubblicato il 14 Gennaio 2008 da Praj
 
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Spesso mentiamo a noi stessi perchè non siamo in grado di accettarci per quello che siamo.
E, se non ci accettiamo noi, come possiamo credere che ci possano accettare gli altri? Da questo senso d'inadeguatezza non superato, di vergogna, nasce la diffidenza reciproca: che poi fa ci rimandare l'un l'altro l'insicurezza, il disagio della non fiducia...
Quindi: l'ipocrisia, il credersi furbi nell'inganno, il cercare di apparire... il mentire come supporto al malessere nascosto. In realtà, così facendo, ci facciamo del male, in maniera più o meno grave a seconda del livello di falsità che sosteniamo.
Con simili atteggiamenti, è ovvio che contribuiamo a peggiorare la qualità della nostra vita interiore e quella delle nostre relazioni umane e sociali.
E' invece nella misura in cui siamo disposti ad essere e mostrarci per quello che siamo veramente, onestamente, sinceramente,
che abbiamo meno bisogno di mentire sia a noi stessi che agli altri.
Se così accadesse, sarebbe meglio per tutti.
In fondo, il mentire nasconde sempre una qualche forma di paura... che non vogliamo ammettere, risolvere.
Riconoscere questa paura e accettarla, ci rende più consapevoli, e ciò fa venir meno il bisogno della menzogna.

 
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Perchè la rappresentazione del male attrae?

Post n°384 pubblicato il 11 Gennaio 2008 da Praj
 
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A volte mi domando del perchè molti film, fiction e opere letterarie, che hanno come protagonisti personaggi che sono o si rappresentano duri, cattivi…attraggano l'interesse di così tanta gente. Mi chiedo perchè il genere thriller,  giallo, horror, intrattenimenti vari che si basano sulla violenza, sulla crudeltà fisica e psicologica, siano per tante persone spettacoli affascinanti.
Per non parlare del fatto che la cronaca nera produce ascolti record nei mass media.
Poi mi pongo subito dopo quest'altro interrogativo: perchè invece queste cose non suscitano, ripugnanza, schifo, rifiuto, piuttosto che curiosità, attrazione morbosa?
Invece, devo constatare che nel nostro modo d'intendere l'informazione sulla realtà, spesso anche nell'arte cinematografica... valori positivi come il  bene, l'armonia, la gentilezza. l'amore fraterno, la fiducia… siano aspetti che non facciano spettacolo o si ritengono notizie non degne di rilievo, ovvie. Noto una sproporzione netta della rappresentazione del bene e del male, a favore del male.
Perché questo squilibrio?
Mi spiace vedere che sulle dimensioni positive non si metta molta più enfasi, entusiasmo. Che non si diano notizie positive che almeno controbilancino quelle negative. Come naturale stato delle cose, della realtà.
Ma da dove viene questa perversione per cui la rappresentazione del male è così seducente? Mi duole immaginare un mondo dove solo la patologia sia ritenuta interessante, proponibile come spettacolo a persone adulte.
La nostra mente quotidianamente, purtroppo, si nutre prevalentemente di imput nefasti, poco edificanti. Così mi sembra ovvio che poi sia sempre più intasata da suggestioni negative, con tutte le conseguenze psicologiche e sociologiche che ciò comporta nel vivere sociale, relazionale, di ogni giorno. Questo continuo bombardamento psicologico induce poi a fenomeni di emulazione o depressione in soggetti dalla mente già stressata o fragile. Questo lo riscontriamo facilmente. E’ un circolo vizioso: più negatività veicoliamo come comunicazione più negatività ritorna in forma di stati d’animo e comportamento.
Perché invece non s’inverte questa tendenza che porta sempre più verso il degrado? Chi ha interesse che le cose non cambino, che si viva sempre nell’insicurezza, nel disagio, alimentando così le nostre zone tenebrose di paura, diffondendo tensione nell’inconscio personale e collettivo?
Mi dico: non si potrebbe invertire questa patologico modo d'intendere le cose, di diseducare care, giovani e non, per cui la notizia o lo spettacolo che deve necessariamente interessare è soprattutto quello che fa leva sulla parte più oscura della nostra natura? O vogliamo fino in fondo cavalcare la tigre della negatività, della disperazione, della sfiducia e sprofondare sempre più nell’abisso?
Resta a noi la responsabilità e la libertà di cambiare, se vogliamo: partendo da una trasformazione interiore, che cambi l'interesse alle cose a cui diamo energia, attenzione.

 
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Sogni...

Post n°383 pubblicato il 09 Gennaio 2008 da Praj
 

Si continua a dire che è bello realizzare
i propri sogni,
perchè pochi sanno invece quanto sia infinitamente più appagante risvegliarsi
definitivamente da essi. 

Praj

 
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La mente è un ladro che non può auto catturarsi

Post n°382 pubblicato il 07 Gennaio 2008 da Praj
 
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Non puoi raggiungere niente di eterno che non sia già qui.
Se viene se ne andrà. Qualcosa è lì a testimoniare l'apparire e lo sparire di tutto. Questo è quello a cui punto. Che cos'è ? Può questo essere diverso da te? Proprio qui e proprio adesso, dov'è questo? E' alla fine di qualche pratica?
Puoi dire"Ok ci stò andando vicino".  
Noi siamo sedotti dalla promessa di arrivarci più vicino, quasi lì. Ciò a cui stai guardando è già dove stai iniziando a guardare. Tu sei già quello. Stai chiedendo alla mente di essere convinta da questa verità ma la mente non coopererà volentieri con qualcosa che la renderà ridondante. C'è un bell'esempio che Sri Ramana fece per esprimere questo. E' come trasformare un ladro in poliziotto e mandarlo a catturare sè stesso. Il poliziotto non catturerà mai il ladro perchè il ladro è lui stesso.
Se domandi alla mente di inseguire l'assoluto amerà questo lavoro. 'Oh, c'ero quasi'; 'Mancato per un pelo'.  Non puoi arrivare lì attraverso la mente.
Guarda la mente per ciò che è. Vedi che tu sei stato sempre lì osservando l'emergere di sensazioni e vedi che qualcose è prima e che testimonia movimenti.. Tu sei testimone di movimenti. Prima tu sei. Ma non fissi la tua attenzione alla sorgente. Siamo intrappolati dai concetti e surfiamo con loro, e loro ti portano via. Tuttavia tu puoi vedere ciò che appare nella tua mente o coscienza e riconoscere che tu sei solo testimone di un qualche movimento. I pensieri arrivano, sentimenti tremendamente potenti, una minaccia, tu copri gli occhi, li riapri e il pensiero è passato. Così tanti pericoli e tuttavia tu sei ancora qui. Tu vedi l'andare e il venire dei pensieri, non è così?
Allora non toccarli, proprio qui e adesso, nonostante appaiano, non toccare l'idea "Devo fare qualcosa", semplicemente osserva. E' come il traffico, niente ti tocca se rimani solo come testimone. Giudizi emergono, non li toccare. Anche la sensazione "Non posso sopportare questo" è un'idea. Osserva solamente.
Quando osservi non tocchi. Semplicemente osserva.

Estratto da un satsang di Mooji

http://www.mooji.org/dialogue_06_it.html

 
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Parola d'ordine: vendere... anche l'anima

Post n°381 pubblicato il 04 Gennaio 2008 da Praj
 
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Leggendo un articolo in cui si parlava del fatto che oggi la pubblicità fa ampio uso del "materiale" della cultura spirituale, per sedurre il consumatore più raffinato. Usando questo particolare linguaggio religioso- spirituale essa cerca di persuadere un particolare tipo potenziale cliente a comprare prodotti più o meno sofisticati. Questi prodotti, rivolti ad un target sempre più vasto, se vogliono essere allettanti e stimolatori di nuovi desideri d’appartenenza, devono promettere dei valori aggiunti che abbiano in sè delle qualità particolari, dei riferimenti simbolici sottili. Aspetti dell’autocompiacimento narcisistico che i richiami materialistici, i quali alludono alla mera sensorialità, non possono avere, evocare.
Da questo discende l’ampio uso – spesso abuso – di richiami allo spirito, alla simbologia magica, alla psicologia trascendentale.
Nel suddetto articolo ci si poneva anche questa domanda: I pubblicitari si rendono conto del paradosso di usare un messaggio essenzialmente antimaterialista per venderci dei prodotti?  La mia risposta è questa. Per la mente dei pubblicitari questo quesito non ha nessuna valenza etica. Ciò che conta, per loro e i loro committenti, è indurre all'acquisto, comunque. Non importa come, ma basta vendere. Il modo d’indurre a questo fittizio bisogno, invece, è un frutto abile e luciferino che scaturice dalla creatività e narcisismo dei pubblicitari. In questo alcuni sono molto bravi e veramente efficaci. L'aspetto estetico e creativo di questa opere induttive e seduttive, a volte, è forse il solo aspetto positivo della faccenda. I pubblicitari sono i migliori esponenti, i cantori, di questa cultura dominante, materialistica, edonista e consumista. Essi - i pubblicitari - non sono altro che specchi del tempo attuale. Il tempo della superficialità, della banalità, della manipolazione mentale. In sostanza, la pubblicità, non ha nulla a che fare con la spiritualità, sebbene possa usarne le icone, i simboli, i personaggi...
Quindi, si potrebbe dire che ne quasi l’antitesi: ovvero, l’illusione che viene spacciata per realtà. La finzione venduta per verità, l'immagine al posto dell'essenza.
Che poi la gente si lasci influenzare da messaggi della pubblicità, della moda, che alludono allo spirito... è un altro discorso: è un tema che riguarda la mancanza di Consapevolezza a livello di massa.
Di questa infausta condizione della coscienza e delle conseguenze che ne derivano se ne può riparlare.

 
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Aldilà dei dubbi e delle certezze

Post n°379 pubblicato il 02 Gennaio 2008 da Praj
 

Guardati dalle certezze
perché se possono farti credere
di essere delle sfere di cristallo
un giorno potrebbero rivelarsi
evanescenti bolle di sapone.
Come pure dubita dei dubbi
perché anche di colui che dubita
si può sempre dubitare.
     Dubbi e certezze      
non sono che ombre passeggere

 ospiti senza fissa dimora,
nuvole destinate a scomparire

 dallo specchio vuoto della Coscienza.
Quando vengono spalancate
porte e finestre della mente
i dubbi e certezze se ne ritornano
nell’oceano dei pensieri.
E il nudo cielo dell’intelligente ignoranza
allora ti appare nel suo splendore.
Ed è pura beatitudine senza un beato.

 

 
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