Creato da Praj il 30/11/2005
Riflessioni, meditazioni... la via dell'accettazione come percorso interiore alla scoperta dell'Essenza - ovvero l'originale spiritualità non duale di Claudio Prajnaram

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Messaggi di Ottobre 2009

La scommessa totale

Post n°690 pubblicato il 31 Ottobre 2009 da Praj
 

Se credi essere libero come individuo devi anche sentirti responsabile di ciò che ti accade.
Non puoi dunque lamentarti delle conseguenze di ciò che hai scelto di fare: tutto ciò che ti sta capitando vuol dire che l'hai voluto, quando hai creato la tua realtà attuale con pensieri, scelte e azioni.
Se invece non ti ritieni libero, ma determinato da un insieme di forze superiori di cui sei soltanto strumento operativo, anche se consapevole, è ovvio che non puoi sentirti nemmeno responsabile.
Allora però devi accettare coscientemente tutto ciò che ti succede: pensieri, scelte e azioni. In questo ti senti tutt'Uno con l'accadere comunque sia.
In entrambi i casi, ci si ritenga personalmente responsabili o no, si sta vivendo un irripetibile momento presente di cui, come umani, non si sapremo mai con assoluta certezza se ciò che ci sta accadendo stia accadendo per nostra volontà o altro. La scommessa esitenziale consiste appunto nell'abbracciare consapevolmente una convinzione piuttosto che l'altra. Se in entrambi i casi ciò lo si fa' con totalità, si vive con pienezza e intensità. Altrimenti, restando nella parzialità, sarà inevitabile che si viva nella confusione e nel disagio permanente, nella sfera lacerante della domanda perpetua: perché...?
La non totalità non ci permette dunque di essere né liberi per sé stessi né servitori di un Sé superiore. Questa divisione è una delle ragioni della tragicità della condizione umana.
Il tormentoso dilemma esistenziale sulla presunta o meno nostra liberà viene superato facendo una scommessa totale, scegliendo una delle due strade che sono alla base del cammino spirituale.
Entrambe, se portate a termine, conducono a Casa.




 

 
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L'ipocrisia, la zona d'ombra

Post n°689 pubblicato il 28 Ottobre 2009 da Praj
 

Quando ammettiamo che in noi possono albergare tutti i vizi, debolezze e virtù umane abbiamo già fatto il primo passo per liberarci dall'ipocrisia, oltre che dall'illusione di essere migliori o peggiori degli altri. Siamo umani come chiunque, soltanto che abbiamo una storia più o meno fortunata, un destino  particolare.
Dovremmo ammettere che le cadute nelle nostre zone d'ombra, aree di malessere, spesso non si sono evidenziate solo per pura coincidenza o capacità particolare di tenerle nascoste alla altrui visione e riprovazione.
Queste zone d'ombra, private, non sempre hanno l'occasione di emergere, per mille motivi, i più svariati. Tuttavia queste zone grigie e oscure del nostro animo sono presenti e sono solo le circostanze della vita che le mettono in rilievo pubblico.
Noi le conosciamo bene ma non le ammettiamo mai pubblicamente. O lo facciamo molto raramente.
Allora è il caso di smettere di giudicare gli altri con falsi moralismi solo perché hanno messo il piede in fallo mentre a noi è andata finora bene, perché il destino è stato fino ad ora clemente e beffardo con il prossimo.
In noi tutti, volenti o nolenti, albergano sia la luce che l'oscurità. Riconoscerlo e accettarlo è la base per perdonarci e perdonare, per imparare a considerare gli errori nostri e altrui con maggior compassione e valutare gli eventuali sbagli dell'essere umano con sempre minor supponenza e arroganza.
In questo atteggiamento ci sono gli elementi di una crescita e reale cambiamento, non certo nella finzione di essere impeccabili o fuori da ogni contaminazione negativa.
Altrimenti, siamo condannati a restare prigionieri del gioco sporco della mente ipocrita che guarda sempre la pagliuzza che è nell'occhio del nostro simile e non s'accorge della trave che è nel proprio occhio.
Chi è senza peccato scagli la prima pietra, diceva un grande Essere. Purtroppo, ancora oggi, si constata invece che una folla sterminata di ipocriti ha la spudoratezza di lanciarla comunque. Se vogliamo essere sinceri e  onesti con noi stessi piuttosto dovremmo riconoscere che ognuno di noi è portatore di inconfessati comportamenti, pensieri o attitudini che nascondiamo agli altri per vergogna, per apparire migliori o diversi da quello che siamo realmente.
Ciò succede perché vogliamo rappresentarci soltanto come individui univoci e non per quel che siamo nella nostra interezza. La nostra ambiguità e contraddittorietà sta proprio nel non accettarci totalmente, nel rifiutare le nostre debolezze e colpe per vantare solo meriti, capacità.
ll mondo, secondo me, è anche nel disordine proprio per la somma di tutte le nostre falsità , le auto indulgenti idee su noi stessi e la colpevolizzazione spietata delle altrui cadute e debolezze.
Se non riusciamo a comprendere che noi siamo il mondo e che proiettiamo il nostro mondo interiore sugli altri con giudizi e condanne non avremo nessuna possibilità di trasformarlo.
Per cui incominciamo a sbarazzarci dell'ipocrisia lanciatrice di pietre e trasformiamo innanzitutto noi stessi facendo chiarezza con onestà su quel che siamo davvero, liberandoci dalle maschere di comodo.

 


 
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Servire il Sè gratuitamente

Post n°688 pubblicato il 26 Ottobre 2009 da Praj
 

Un servizio spirituale può essere considerato come un'attività o una serie di attività di natura più o meno intangibile, che ha luogo nell'interazione tra una persona ed un'altra o altre con lo scopo di aiutare nella crescita interiore.
Allora, per come lo intendo in questo contesto virtuale, un servizio è il risultato di attività di consiglio e di stimolo alla riflessione e meditazione svolto nell'interfaccia fra un portatore di particolari esperienze - risultato di un lungo e approfondito viaggio nella coscienza di Sé - e altri che ancora non le hanno fatte ma che aspirano o è nel loro interesse volerle fare. Per cui il servitore è anche colui che opera, non retribuito, servendo l'altrui bisogno o richiesta di aiuto in questo ambito, avendo esperienza diretta e competenza in merito.
A questo punto però va detto che un autentico servizio spirituale che è possibile offrire al nostro prossimo, oltre al servizio vero e proprio - suggerimento utile o gradito - è quello di essere innanzitutto onesti con noi stessi. Questa onestà interiore deriva dalla piena consapevolezza che non siamo mai noi gli autori di qualsiasi servizio o dono che possiamo elargire, perché noi siamo solo dei tramiti con cui l'Uno-Divino si esprime nella dimensione duale e relativa.
Quindi, sapendo ciò,non possiamo mai aspettarci, tanto meno richiedere, riconoscenza e gratitudine. Semmai, qualsiasi riconoscimento lo consideriamo un ritorno compensativo gradevole che riceviamo che però non ci spetterebbe. In realtà esso andrebbe indirizzato altrove, non al mero strumento individuale attraverso cui il servizio viene manifestato.
Questo consapevole atteggiamento pone il servitore dello spirito al riparo da ogni forma di orgoglio che possa scaturire dalla disponibilità al servire. In senso profondo, quando il servitore offre al presunto altro un servizio sa bene che lo sta facendo a se stesso.
Inoltre, quando è sbocciata una consapevolezza e una compassione nel cuore dovuto al Risveglio dell'Essere, il farsi servitori diventa un fatto naturale, una incontenibile voglia di condivisione che non s'aspetta nulla in cambio, ma che è però presente alla genuinità delle richieste. Diventa un respiro d'amore e gratitudine per una realizzazione – dovuta alla Grazia - che ora non può diventare che servizio spontaneo e gratuito.
Quando ciò non succede non è servizio spirituale ma servizio prettamente materiale, profano, tendente ad un guadagno e vanità personale. Il distinguo è importante perché segnala che ogni non gratuità del servizio vanifica ogni pretesa di aiuto spirituale all'altro, perché il dono interiore che ci è stato dato gratuitamente non può che essere condiviso altrettanto gratuitamente.



 
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Illumina ogni momento

Post n°687 pubblicato il 23 Ottobre 2009 da Praj
 

Rispetto alla nostra condizione umana, abbiamo sempre una grande opportunità per rimediare al nostro essere precipitati in una qualche crisi esistenziale, derivata dal senso di separazione da ciò che ci circonda.
Crisi che è il segno della caduta, che si esprime in varie forme, nella quale ogni ego si ritrova. Va riconosciuto invece che il nostro destino spirituale si determina, in ogni momento, nel vertice del presente immacolato della nostra consapevolezza.
La maledizione della caduta non ha origine temporale, in una ereditato errore e deficienza come spesso si crede, ma ha un’origine istantanea. Istantaneità sempre vergine nella quale in ogni momento si perde o vince la partita, nel gioco dell'esistenza. Ma ciò che è meraviglioso in questo apparente problematico stato di cose, è che abbiamo in noi il potere di risorgere a quella momentaneità per riparare i danni.
La rinascita nell'eterno presente è possibile ma controcorrente a noi stessi, verso la nostra sorgente, fino ad arrivare ai bordi della fonte, dove sorgono i fenomeni negativi che tutti conosciamo.
La meraviglia è che quella risalita è possibile; è molto sottile e delicata, ma non richiede particolare capacità o particolare energia. Richiede piuttosto molto coraggio e molta sensibilità, oltre che una attenta e distaccata osservazione.
Non abbiamo però nessuna possibilità di fare quella ascesa, se non abbiamo l'ardore, l'onestà e l'intrepidezza, per essere capaci di andare contro tutte le obiezioni che la nostra mente ci offre. Questo spirito è necessario al fine di smetterla con tutti i pregiudizi che si manifestano ostili al momento di quella ascensione orientata al riscatto.
Nonostante questi ostacoli, comunque il viaggio di ritorno che ci redime dalla caduta originaria è attuabile da subito. Purchè non lo si voglia continuamente rimandare ad improbabile futuro illusoriamente risolutore.

 

 
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Il Segreto non segreto

Post n°686 pubblicato il 21 Ottobre 2009 da Praj
 

Accettare è possibile, sempre. Accettare anche le contraddizioni in cui si scivola normalmente, perché anche questo in fondo è essere qui, è essere nel vivo presente. Le contraddizioni che viviamo non vanno problematizzate... sono semplici realtà da vivere. Essere perfetti è un concetto mentale dal quale ci si può liberare, perché noi siamo sempre "nel nostro giusto", se non ci diamo dei modelli mentali a cui adeguarci... una meta da raggiungere... se siamo senza aspettative.
In realtà, se non ci dividiamo, alimentando una lotta interna fra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere in quel momento, si scopre che siamo già a Casa. Proprio così come siamo. Non ci sono miglioramenti immaginari da raggiungere ma solo un eterna realtà presente da riconoscere: quella che si sta vivendo proprio adesso, davanti e dentro di noi, così com'è. Con questa adesione totale si entra in contatto pieno e diretto con ciò che Siamo realmente,
con il Ciò che E'. Ci si libera dell’immaginaria visione di noi stessi. E' tutto qui e ora! Non c’è spazio per la fantasticheria sul come saremmo se….
In questo pieno riconoscimento del Vero accade indirettamente un genuino miglioramento spontaneo, non dettato altrimenti da un ego spirituale ambizioso, orgoglioso, auto referenziale... Per me,  l'Accettazione assoluta, nella sua disarmante semplicità, qui ed adesso, è la chiave... del ben Vivere.
In essa non c'è spazio per la separazione fra l'essere ed il dovere essere... ed in tale condizione di non tensione naturalmente la mente si calma... si ridimensiona. Allora, in questo accettarsi, l'ego è vissuto come una semplice rappresentazione da "usare" nel "Gioco" della Vita. E non crea più conflitti perché sa rapportarsi con altri ego in maniera nuova,  Se riusciamo, o ci accade, di accettare perfino la nostra "non accettazione", abbiamo perfino la possibilità e capacità di Vedere le cose da un'altro piano, sempre più interno, addirittura impersonale.
Questo non è un gioco di parole ma una Comprensione Metafisica, direi sovra razionale. Due livelli principali coesistono simultaneamente in noi. Sono il livello personale manifesto e l'impersonale immanifesto. In realtà sono due facce della stessa medaglia.
E' una unità che si dualizza per manifestarsi. E' l'Assoluto che gioca ad essere relativo per esprimersi nella sua infinita creatività.
Quindi, l'umana manifestazione non si può che accettare, se non si vuole lottare senza possibilità di vittoria alcuna, e senza alimentare ulteriore sofferenza a noi stessi e agli altri, al mondo.
Nell'accettazione l'Essenza ha la possibilità di emergere e guidarci, spodestando l'ego usurpatore dal trono della Coscienza, da un ruolo che non gli spetta.
Però questa celebrazione del Ciò che  E’ è possibile solo se c'è una Presenza Osservante - la Consapevolezza - che ci accompagna, vigile momento dopo momento.
E' evidente infatti che se la Consapevolezza è più espansa, l'area dell'identificazione da accettare si restringe. Più c’e Consapevolezza (Luce) meno c’è identificazione (Oscurità). La Vita si esprime danzando fra questi due poli, accentuando ora l’una ora l’altra dimensione.
Certamente, in questo ambito misterioso che è l'esistenza individuale, che si appalesa a più livelli, non si può che constatare che essa sia molto bizzarra nel suo esperimentarsi umano e addirittura paradossale riguardo la sua Comprensione "Divina". Consapevole e Compassionevole.


 
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Il valore del placebo

Post n°685 pubblicato il 19 Ottobre 2009 da Praj
 

In una recente trasmissione televisiva è stato dimostrata la potenza della suggestione, dell'effetto placebo su individui fortemente intenzionati a "sballare" con le droghe.
Sì è fatto vedere, filmandola a loro insaputa, come della gente può comunque entrare nello spazio psicologico dello sballo da droga pur prendendo della polvere bianca innocua (mannite, derivato delle zucchero) ma credendo, essendo convinta, che siano sostanze stupefacenti.
L'inchiesta si concludeva con l'obbligatoria constatazione: il pensiero di drogarsi è allora più forte della droga stessa, della chimica della sostanza! Con ciò voglio fare rimarcare le potenzialità dell'effetto placebo nelle nostre menti.
Non sarebbe dunque il caso di utilizzare e valorizzare un pò di più - questo effetto placebo - di quanto si sta facendo in molti campi e non solo occasionalmente esperimentalmente in medicina? Oltretutto non ha controindicazioni di nessun genere.
Perchè lo si sottovaluta ancora, quando si dimostra continuamente la sua importante, anche se relativa, efficacia terapeutica?
Non è che non si utilizza di più perchè non costa niente e non produce profitti per qualcuno?



La riflessione e stata ispirata da questa trasmissione: http://www.video.mediaset.it/mplayer.html?sito=iene&data=2009/10/13&id=5397&from=iene

 
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Inadeguatezza

Post n°684 pubblicato il 17 Ottobre 2009 da Praj
 

Soltanto chi aspira ad essere altro da quello che è può sentirsi inadeguato. Pertanto il senso di inadeguatezza è il riflesso di una mancata accettazione di sè.
Il senso di inadeguatezza esistenziale è dunque la spia dell'ego che segnala una sua presenza impotente, inadeguata ad un dover e voler essere migliori di quanto si mostra d'essere.
L'inadeguatezza è solo un fatto mentale che si ritorce su di noi perché abbiamo aspettative programmate dalla presunzione di volere essere diversi da ciò che siamo. 
Il sentirsi a proprio agio interiormente, così come si è, invece è la prova della riconoscenza che si ha nei confronti del dono della Vita.
Vita che ci è stata data senza pretendere da noi altro che la vivessimo per come siamo fatti.
Quindi il senso di inadeguatezza scompare quando ci accettiamo totalmente, quando non ci confrontiamo con nessun modello - sia interiore che esteriore -  e lasciamo fluire le nostre capacità uniche ed esprimiamo le nostre potenzialità per la semplice gioia di farlo.

 


 
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Essere sempre pronti...

Post n°683 pubblicato il 15 Ottobre 2009 da Praj
 

Non trattengo niente e nessuno e neppure posso essere trattenuto… fluisco con ogni istante godendolo per quel che è, per quel che da, per quel che toglie.
Solo così vivo appieno e con gratitudine tutto ciò che sono chiamato ad incontrare.
Non cerco meriti, quindi non conosco colpe. Non aspiro alle cime, tanto meno alle valli. Scorro calmo come un fiume verso il mare passando fra insenature, sopra cascate… preparando l’orgasmo che accadrà nella foce quando mi perderò ritrovandomi.
Se amo la vita è perché con essa mi sono reso disponibile in ogni momento alla mia scomparsa nell’oceano cosmico, all’abbandono nell’oscura Luce.
Appena il canto del silenzio eterno si farà udire fra i clamori del tempo vorrei farmi trovare presente, pronto, senza rimpianti, senza rimorsi, per essere ancora una volta trasformato.
Intanto, aperto allo sconosciuto celebro, anche adesso, l’abbraccio materno che mi regala il mistero, sia quando è bianco sia quando è nero.

 


 
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La pace non è attraente

Post n°682 pubblicato il 13 Ottobre 2009 da Praj

A volte mi domando del perché molti film, fiction e opere letterarie, aree della musica e dello sport, che hanno come protagonisti personaggi che sono o si rappresentano duri, cattivi…, attraggano l'interesse di così tanta gente. Mi chiedo perché il genere thriller, giallo, horror, intrattenimenti vari che si basano sulla violenza, sulla crudeltà fisica e psicologica, siano per tante persone spettacoli affascinanti.
Per non parlare del fatto che la cronaca nera produce ascolti record nei mass media.
Poi mi pongo subito dopo quest'altro interrogativo: perché invece queste cose non suscitano, ripugnanza, schifo, rifiuto, piuttosto che curiosità, attrazione morbosa? Invece, devo constatare che nel nostro modo d'intendere l'informazione sulla realtà, spesso anche nell'arte cinematografica... valori positivi come il bene, l'armonia, la gentilezza, l'amore fraterno, la fiducia… siano aspetti che non facciano spettacolo o si ritengono notizie non degne di rilievo, ovvie. Noto una sproporzione netta della rappresentazione del bene e del male, a favore del male.
Perché questo squilibrio?
Mi spiace vedere che sulle dimensioni positive non si metta molta più enfasi, entusiasmo. Che non si diano notizie positive che almeno controbilancino quelle negative. Come naturale stato delle cose, della realtà.
Ma da dove viene questa perversione per cui la rappresentazione del male è così seducente? Mi duole immaginare un mondo dove solo la patologia sia ritenuta interessante, proponibilecome spettacolo a persone adulte.
La nostra mente quotidianamente, purtroppo, si nutre prevalentemente di imput nefasti, poco edificanti. Così mi sembra ovvio che poi sia sempre più intasata da suggestioni negative, con tutte le conseguenze psicologiche e sociologiche che ciò comporta nel vivere sociale, relazionale, di ogni giorno. Questo continuo bombardamento psicologico induce poi a fenomeni di emulazione o depressione in soggetti dalla mente già stressata o fragile. Questo lo riscontriamo facilmente. E’ un circolo vizioso: più negatività veicoliamo come comunicazione più negatività ritorna in forma di stati d’animo e comportamento.
Perché invece non s’inverte questa tendenza che porta sempre più verso il degrado? Chi ha interesse che le cose non cambino, che si viva sempre nell’insicurezza, nel disagio, alimentando così le nostre zone tenebrose di paura, diffondendo tensione nell’inconscio personale e collettivo?
Mi dico: non si potrebbe invertire questa patologico modo d'intendere le cose, di diseducare, giovani e non, per cui la notizia o lo spettacolo che deve necessariamente interessare è soprattutto quello che fa leva sulla parte più oscura della nostra natura? O vogliamo fino in fondo cavalcare la tigre della negatività, della disperazione, della sfiducia e sprofondare sempre più nell’abisso?
Resta a noi la responsabilità e la libertà di cambiare, se vogliamo, partendo da una trasformazione interiore, che cambi l'interesse alle cose a cui diamo energia, attenzione.
In conclusione resta un interrogativo aperto: la pace e l'armonia non attraggono perché, in qualche maniera, siamo psichicamente e spiritualmente malati?

 
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Eresia antidogmatica permanente

Post n°681 pubblicato il 12 Ottobre 2009 da Praj
 

Chiunque voglia definire eretico qualcuno che esplora strade nuove, implicitamente si auto condanna ad essere dogmatico.
E il diventare dogmatico è quanto di più dannoso possa capitare a colui che aspira a riconoscere il Vero.
Ogni dogmatismo imprigiona il fluire dell'intelligenza in nome in un consolidamento ideologico artificioso, di un arroccamento concettuale limitato, di un costrutto autoreferenziale imbalsamato.
Il dogmatismo è uno stratagemma che serve solo per placare una sorta di ansia di potere,
una insicurezza e sfiducia di fondo in ciò che si crede di sapere ma del quale non si è convinti fino in fondo.
Questo è ciò che succede allo spiritualismo e non, quando si blinda nel dogma e vuole imporsi a scapito della sconfinata Conoscenza.



 
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Non sei quell'ombra!

Post n°680 pubblicato il 09 Ottobre 2009 da Praj
 

L'errore più grande che può compiere chiunque voglia conoscere veramente sé stesso, per comprendere la sua originale natura, è cercare di scoprirlo analizzando solo la propria ombra piuttosto che guardare al Sole che permette questo riflesso.
L'ombra, che metaforicamente corrisponde al nostro ego, è sia reale che irreale, ma è un fenomeno immanente, intrinseco ad una dimensione che la trascende.

Perciò la direzione verso cui dobbiamo orientare il nostro sguardo e ricerca va diretto verso la Luce-Coscienza (il Sole interiore), non certo puntato verso l'ombra impermanente,
la quale non è nient'altro che un riflesso insostanziale, temporaneo e dipendente. Il cambio di direzione - portare l'attenzione piuttosto che rivolta all'esterno all'interno - è la vera conversione.




 

 
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Dal percorso tradizionale al volo libero

Post n°679 pubblicato il 07 Ottobre 2009 da Praj
 

Qualcuno le chiama new Zen, new Advaita, per differenziarle dalle tradizionali vie spirituali non dualiste chiamate Zen ed Advaita: sono le nuove forme e approcci all'essenza interiore che si ispirano a queste a queste vie e insegnamenti spirituali, ma che non danno importanza all'aspetto esteriore, alle liturgie di queste tradizioni. Vanno direttamente al punto.
Queste modalità oggi stanno emergendo e attecchendo fra molti ricercatori. E' un fenomeno molto interessante; in questa campo direi che è addirittura rivoluzionario.
Spesso con quel “new” però s'intende un qualcosa che ha tradito la purezza di un insegnamento che affonda le radici nell'antichità ed è stato portato avanti, fino ad oggi, da una catena ininterrotta di maestri dal lignaggio riconosciuto. E i nuovi insegnanti di queste tendenze sono messi in discussione dai guardiani delle ortodossie, come disturbatori, come sirene fuorvianti e, ancor peggio, a volte vengono considerati veri e propri imbroglioni, millantatori o simulatori di realizzazioni mai avvenute.
Io credo che invece si possa abbandonare la ritualistica, la forma, per passare direttamente al succo del messaggio. Credo anche che tutto il monachesimo sia superato, che non occorra rasarsi la testa, portare certi abiti, fare certe pratiche, ritirarsi dal mondo per conoscere se stessi. Anzi, per me l'insegnamento va ridotto all'essenziale e trasmesso da cuore a cuore, da consapevolezza a consapevolezza, con chiunque sia pronto o voglia ardentemente riceverlo Non c'è più bisogno di tutori della tradizione che trasmettano solo parole ammuffite, gestualità superate, pratiche inutili.
Ora va detto senza remore che ogni momento della nostra vita è il nostro insegnamento, se lo vogliamo vivere in questo spirito. Ora chi sa per esperienza diretta può trasmettere liberamente a chi non sa, senza gerarchie, conventicole, senza chiese di alcun tipo, che controllino e che dicano cosa è giusto e cosa non è giusto se è conforme o meno alla lettera. Bisogna che l'essenza della tradizione torni a vivere attraversi esseri vivi, insegnamenti fluidi e aperti che non necessitino della conformità ai canoni tradizionali. Si deve correre questo rischio, i tempi lo richiedono. Altrimenti lo spirito si perde e trionfa la lettera con tutte le conseguenze negative che ne derivano: fondamentalismo, dogmatismo, bigottismo, formalismo e materialismo spirituale.
So che a molti questa autonomia fa storcere il naso perché in essa vi vedono il principio della corruzione, della disgregazione, del degrado degli insegnamenti, i quali invece dovrebbero rimanere incontaminati, lungi dall'essere rinverditi, rinnovati, rinfrescati. Purtroppo questi custodi della tradizione spesso non sanno riconoscere il Vero se si presenta in forme differenti rispetto alle quali sono abituati a pensarlo, ad aspettarselo, a comprenderlo.
Per me invece non c'è nulla che possa sostituire l'esperienza diretta, anche se ottenuta attraverso le forme più disparate. L'importante è cogliere l'essenza di ogni insegnamento. E il nucleo di ogni insegnamento (l'aspetto esoterico) è sempre convergente, mai separativo.
Coloro i quali avranno colto e realizzato il principio essenziale di ogni via spirituale si riconosceranno tra loro e non avranno difficoltà ad accettare la bellezza della diversità di ogni particolare percorso per arrivare al punto inevitabilmente comune, unitario.
Non avranno problemi di denominazione di origine controllata o protetta perché sanno che la Verità metafisica non può essere inscatolata in nessun contenitore. O la si coglie come un vento che accarezza l'anima e che unisce o la si perde nei recinti della mente personale o di gruppo, nelle divisioni spiritualmente assurde.
Per cui, pur nel rispetto di ogni tradizione e del prezioso e intrinseco messaggio di cui sono state e sono portatrici, e bene rivendicare il diritto di estrapolare questo messaggio in piena libertà di Coscienza. Dopo di che si può anche mettere o togliere un "new" davanti ad ciò che rappresenta una tradizione consolidata per riproporne il succo in una veste ritenuta più adatta agli uomini contemporanei, più idonea alle forme mentis menti che si sono evolute nel mondo moderno. Poi, se a qualcuno può dare fastidio quel "new" davanti ad un nome considerato così pregno di significato, intoccabile, altisonante, per me anche si può anche togliere, perché quando si è realizzata una comprensione trascendente anche i nomi, le tradizioni, si dissolvono e risolvono senza nessun problema nella Coscienza del realizzato.
A quel punto c'è solo lo spazio per il Silenzio, il quale non necessità di sovraintendenti, il quale è al disopra di ogni cosa, di ogni parola e accomuna ovunque qualsiasi Essenza risvegliata.


 

 
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Ultimo saluto ad un Maestro

Post n°678 pubblicato il 06 Ottobre 2009 da Praj
 

Ho saputo solo ora che il giorno 27-09-2009 nella sua casa di Bombay il Maestro di Advaita Ramesh Balsekar ha lasciato il corpo, all'età di 92 anni.
Colgo l'occasione per ricordarlo e per esprimere la mia infinita gratitudine per ciò che mi ha aiutato a Comprendere.
Egli, come Osho, miei amati Maestri spirituali, resteranno indelebilmente nel mio cuore per quello che mi hanno donato.
Con grande riconoscenza gli mando, ovunque esso sia, il mio ultimo e sentito saluto dal profondo del cuore.



 

Namastè, caro Ramesh!

 
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Essere nell'emozione ma non dell'emozione

Post n°677 pubblicato il 05 Ottobre 2009 da Praj
 

La dimensione della coscienza risvegliata non ha niente a vedere con il sentimentalismo e la mielosa compassione. Essa c'induce non ad essere apparentemente gentili, ma a gettarci nelle fiamme dell’amore, della compassione reale, nel teatro delle relazioni umane senza paura e ipocrisia. Senza fingere.
In alcune circostanze la compassione ci chiede di dire di no, di esternare la verità, di turbare, scuotere... Per questo ci scuote e ci cura. Non è la verità compassionevole che è terribile, ma il reale, in particolar modo quando si cerca di evitarlo. La lucida compassione ci obbliga a non trascurare nessun aspetto delle nostre vite, in specie quelli che ci sembrano i più brutti e inaccettabili.
Questo modo di affrontare direttamente la cruda realtà delle cose, senza titubanze, di gettarci nella confusione per dissolverla, può sembrare una pazzia, mentre invece è il gesto più creativo che ci sia.
Rimuovere il ciò che è, questa è la codardia. Rifiutandolo, esso ritornerà in altre forme spaventose, sotto l'aspetto di altri fantasmi.
Si dovrebbe invece tuffarsi totalmente nel ciò che è. Ma noi invece non vogliamo guardare in faccia la realtà. Facciamo piuttosto il possibile affinché ogni cosa sia in linea alle nostre aspettative e così siamo diveniamo schiavi del sogno, della speranzosa fantasticheria.
Invece sarebbe importante non rifiutare nulla di quel che è, di quel che siamo. Se siamo irati, lasciamoci ardere dalla rabbia. Questo è il solo modo di osservarne la chiarezza implicita. Gli altri atteggiamenti che ci portano a smorzarla, capirla, mostrarla, ovvero disfarsene e negarla in ogni maniera, ci fanno restare incatenarti ad ogni genere di timore.
Tutti i nostri tentativi per migliorarci, per essere più corretti o giusti, ci allontanano dall’essenziale. Ogni sforzo di migliorare la situazione dove siamo è fuorviante, rischia di farci allontanare dal ciò che è.
E, per essere lì con il ciò che è, occorre entrare in una dimensione meditativa.
Ma la meditazione, orientata verso uno scopo, ci svia. Voler cercare la vacuità, la pace, rilassarsi, essere più amorevoli…, sono dei modi per evitare di entrare in uno spazio veramente meditativo, per aiutarci ad avere una apertura incondizionata, uno spirito di accettazione.
Accettarsi non vuol dire però non cambiare. Ciò sarebbe una interpretazione strumentale egoica, di comodo, della faccenda.
Riconoscersi e accettare di essere irosi, per esempio, non significa che si debba indulgere in questa condizione. Vuol dire piuttosto vedersi onestamente per quel che si è, ora, ma anche diventare consapevoli del perché siamo in quel modo.
Tutto questo senza colpevolizzarci, senza condannarci. Dovremmo perdonare e perdonarci, ma non certo per dirci che andiamo bene così. Altrimenti questa sarebbe una pesante distorsione di un messaggio che è in realtà molto più profondo del: è così e basta!
Accettare l'ira d'accordo, ma non necessariamente questa esternata e riversata sugli altri. Cosa c'impedisce di riversarla sugli altri? La consapevolezza, l'umiltà, l'ascolto...
Va ricordato che con la nozione egoica del distacco compassionevole, dell'accettazione mal compresa del proprio negativo... fiorisce il cinismo della mente, se non c'è il cuore aperto ad accompagnarci.
In sostanza, la spiritualità autentica implica un balzo fuori dagli schemi del pensiero ordinario, ci invita a guardare tutto in un altro modo, cioè dal punto di vista del non ego, a superare il senso del “io”. Se non c'è quest'approccio consapevole e aperto con il ciò che è, rischiamo di non entrare in un rapporto autentico con la vita con il mondo. Perché più forte è il “senso del “io”, più è problematico entrare in relazione con qualsiasi cosa, compresi noi stessi.

 

 
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Sirene e zavorra

Post n°676 pubblicato il 02 Ottobre 2009 da Praj
 

Si può valorizzare esistenzialmente il tesoro nascosto, esoterico, di ogni tradizione spirituale solo se siamo in grado di coglierne l'essenza, pur nella continuità di un'incessante trasformazione esteriore. Altrimenti, rischiamo di tenere in vita un cadaverico corpus dogmatico che serve solo al potere temporale di ego spirituali aggregati in gerarchie costituite, ma che di fatto è stato svuotato di ogni reale carica liberatoria, trascendente.
L'Essenza vivente di ogni tradizione viene illuminata non dal mero studio scrupoloso dei testi e, tanto meno, dalla supina osservanza dei precetti, ma dall'intuizione profonda e dalla realizzazione degli insegnamenti stessi.
In genere, solo chi è coraggioso spiritualmente e religiosamente anticonformista sa andare contro le rassicuranti tradizioni letterali, esplorare a fondo la propria natura, trovare se stesso senza bisogno di autorità alcuna che gli confermi un riconoscimento evidente  nato da esperienze dirette. Il compimento di tale realizzazione interiore potrà anche essere visto e definito autoreferenziale dagli spiriti ortodossi, scettici, ma a quel punto egli non se ne fa più un problema.
Sa che questa incredulità fa parte del gioco.
Per il resto, condivide liberamente, amichevolmente, come può quel che sa e quel che è con chi ci sta. Non gli interessa fare la sirena incantatrice di nessuno, ma solo aiutare qualcuno a liberarsi di zavorre che ha sperimentato come ostacolanti la ricerca.
Se di sirena si tratta, casomai, è una sirena d'allarme, di sveglia.



 
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