Creato da laprigione il 14/03/2010

Il bacio della vita

romanzo a puntate

 

 

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Il bacio della vita episodio 2

Post n°120 pubblicato il 08 Febbraio 2011 da laprigione

Non restava che pianificare con cura le fasi dell’evento. Certo. Raul non voleva lasciare inghippi a nessuno. Morire era una scelta complessa ed impegnativa, ci voleva tempo per fare tutte quelle cose necessarie per aggiustare al meglio le conseguenze della dipartita. La corda appesa era solo l’ultimo tassello di un puzzle ancora da comporre, il semplice assolo all’interno di una grande melodia, la punta di diamante fino a diventare nella sua mente distorta come “l’unica cosa fatta veramente bene”. Ed ecco che nella sua testa poteva diventare l’artefice perfetto, l’artista dal pennello eccellente. <<Cazzo, se la vita l’ho passata con il culo per aria, voglio diventare il Michelangelo della morte>>. Il ragionamento così perverso, distruttivo per un essere normale, calzava perfettamente come un gambale nel freddo inverno nella mente in decomposizione di Raul. La prima cosa da fare era l’inventario e la distribuzione assegnata dei suoi beni perché la consegna delle cose materiali avrebbe significato il suo giudizio postumo su coloro che avevano vissuto con lui, nei contorni della sua esistenza e che avevano contribuito, a ragione o torto, a quella decisione estrema. Ognuno di loro, così gretti e materiali, all’apertura del testamento, avrebbero dovuto comprendere il suo amore o l’evidente disprezzo. <<Benedetti o maledetti>> esclamò Raul, alzando il calice di prosecco aperto dopo cena, a rincalzar la dose al chianti di cui era rimasto solo il fondo nudo e scuro della bottiglia. Una classifica, un modo per gridare dopo morto e al tempo stesso, l’idea assurda di poter diventare il Dio del “dopo”, del tempo seguente la dipartita. Quindi prese un foglio bianco, ci versò sopra il succo delle bollicine nell’angolo in altro a destra, prendendo subito dopo un coltello appuntito. Buttò giù un altro sorso di prosecco, tenendo in bocca per alcuni istanti il “perlage” inebriante. Brillava come una diamante quella lama affilata ed era bello far girare su sé stesso il filo tagliente, poi di colpo,impugnandolo con la sinistra infilò la punta nel medio della mano destra, entrando nella carne. Bastò un giro per far uscire il sangue. Era questo che voleva Raul, vedere il rosso del suo sangue sporcare il foglio mischiandosi con il vino. Lo fece, fino a lasciar scendere la goccia spremendo il dito violato. Inconsciamente aveva celebrato un rito, spinto da chissà quali arcani retaggi della memoria ancestrale o più probabimente da quelli assimilati in anni di film alla televisione. Ecco, adesso si sentiva speciale, diverso da ogni altro essere vivente sul pianeta e quindi unico e padrone, finalmente padrone del suo destino. Nulla avrebbe più dovuto accadere per volontà di qualcun altro o in conseguenza del caso. Vino e sangue su quella carta sulla quale sarebbe rimasta impressa la volontà voluta. L’ultima e per questo intensa e necessaria. <<Ecco, il patto è sottoscritto adesso! Alla faccia vostra, stronzi…>> Bevve di nuovo, ormai l’alcol non era più nemmeno in grado di renderlo intontito, anzi funzionava nelle sue sinapsi con una specie di effetto leva, potenziandone, almeno nella sua percezione, le capacità e l’intuizione. Fare l’inventario cominciò in quella lunga notte anche ad essere un modo per riepilogare la vita passata. Ogni proprietà, ogni oggetto, narrava i giorni vissuti e possedeva l’energia consumata allora. La prima cosa erano gli immobili. Non aveva fatto una gran fortuna in quei fottuti cinquant’anni ma non era nemmeno uno finito con, solo, le pezze al culo e se il fisco avesse aspettato ancora alcuni giorni avrebbe potuto passare mattoni solidi, pezzi di casa e la palla della vita ai suoi eredi. La casa in montagna, quella al mare, le mura di tre negozi, la villa lasciata in utilizzo all’ex moglie e il bilocale in corte dove si era rintanato. <<Niente male per un fallito!>> pensò Raul, sorridendo come un bambino con i suoi giocattoli. Si era fatto un mazzo tanto, fin da giovane per rendere solido il suo futuro. Come non ricordare la prima casa presa in affitto quasi trent’anni prima?

 
 
 
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