Prigione dei SogniCercare adagio, umilmente, costantemente di esprimere, di tornare a spremere dalla terra bruta o da ciò ch'essa genera, dai suoni, dalle forme e dai colori, che sono le porte della prigione della nostra anima, un'immagine di bellezza che siamo giunti a comprendere: questa è l'arte. James Joyce |
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Tu; tu; tu; tu… Da quanto era lì? Tu; tu; tu; tu… Sola. Tu; tu; tu; tu… Quel suono…era l’unica cosa che riuscisse a sentire.
Un giorno.
Un mese.
Un anno.
Non ricordava. Sapeva solo che ora era in quel luogo e non riusciva ad andare via.
Non vedeva nulla. Tutto era buio lì, ma non quel buio nero, come si ci immagina che debba essere il buio. No, quello era un buio senza colore, scurissimo ma allo stesso tempo più chiaro della luce stessa.
Si sentiva sospesa, come a mezz’aria, incapace di muoversi.
Galleggiava in quel vuoto da chissà quanto tempo...
Perché nessuno veniva ad aiutarla?
Era come un sogno senza fine. A volte provava ad addormentarsi, sperando che al suo risveglio si
sarebbe ritrovata nella sua stanzetta, con Charlie che le leccava la faccia e le faceva le feste. Lei lo sgridava sempre quando succedeva ma stavolta sarebbe stata contenta di avere il viso impiastricciato e lo avrebbe accarezzato dolcemente.
Un po’ aveva paura, perché al suo risveglio tutti l’avrebbero sgridata. Certo, per forza: doveva fare un mucchio di cose e non aveva ancora incominciato. C’erano i compiti innanzitutto, e poi aveva un appuntamento con la sua amica Roberta…
Non se la ricordava neanche più la faccia di Roberta. Quando provava ad immaginarsela al posto del volto c’era solo una specie di buco rotondo di luce. Eppure andavano a scuola insieme tutti i giorni e sedevano anche nello stesso banco. Se si fosse svegliata forse avrebbe ricordato...
Purtroppo però ogni volta che si risvegliava era ancora lì, bloccata ed impotente, immersa in quel buio-non buio che la opprimeva da tutti i lati con la sua immensità.
Eppure a volte udiva delle voci soffuse, che la chiamavano in lontananza e le ronzavano attorno alla testa come zanzare dispettose. Quando le sentiva bloccava il respiro nel tentativo di afferrare il senso di quelle frasi, ma quei bisbigli erano incomprensibili e vaghi per lei.
Una volta gli era parso che una di quelle voci fosse quella di sua madre. Sembrava così triste. Come se avesse pianto da poco. Voleva andare verso quella voce con tutte le sue forze. Voleva capire perché la sua mamma fosse così infelice. Ma non riusciva a muoversi, i suoi muscoli sembravano non obbedirle. Oppure magari si muoveva e non se ne rendeva conto: non c’erano punti di riferimento in quel luogo.
Allora provava a gridare, con tutta l’energia che aveva in corpo, ma non veniva fuori alcun suono dalla sua bocca. Provava piangere, ma le lacrime non uscivano.
Perciò decise di aspettare, cercando in ogni momento di ricordarsi che lei non faceva parte di quel buio, sperando che quel vuoto non l’avrebbe inghiottita, ripetendo a se stessa il suo nome per non dimenticarlo…
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