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Un blog creato da siddhal il 14/09/2006

DenseSoul

Cercando la parte di sogno che mi spetta di diritto...

 
 
 

KENSHI DAITO

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Post N° 86

Post n°86 pubblicato il 08 Ottobre 2007 da siddhal

"Quello che conta nel nostro esistere è stabilire un contatto. Perché una vita senza amore è come un uccello con le ali spezzate"

Sei più piccola di me. Non di molto, in effetti, solo qualche mese, ma è con la tenerezza della maggiore che ti ho sempre rivolto i miei pensieri. Eppure, sei grande, anzi, immensa, nel tuo modo di esistere. Ti conosco da sempre e da sempre ti amo, perché tua madre e mia madre erano sorelle e perché, tu ed io, siamo cresciute come se lo fossimo. Sei una delle persone più importanti della mia vita, una delle poche con le quali sia riuscita a stabilire un contatto profondo, intimo, indissolubile, nonostante me stessa e i miei ristretti confini emotivi.

Ci siamo riviste ieri, non accadeva da tempo. Al solito, con naturalezza, abbiamo ripreso discorsi interrotti da mesi, così, come se il periodo intercorso non fosse stata che una pausa durata il tempo di un respiro. Con la dolcezza e la pazienza che ti caratterizzano, mi hai costretta a riflettere, e a ricordare qualcosa che colpevolmente avevo rimosso.

Tre anni fa, in un soleggiato e flemmatico pomeriggio di maggio, mia sorella è venuta a trovarmi per darmi personalmente una terribile notizia.

Elena ha il cancro...

Rievocare quel momento, il terrore che provai, mi ha fatto venire ancora la pelle d’oca. Ma non solo...E’ emersa anche tutta la mia vergogna.

Ho abbassato lo sguardo. Ma tu mi hai preso la mano e mi hai detto che ne avevamo bisogno entrambe.

E io te lo devo, Elena...

Così, va bene, al diavolo! Apriamo questo forziere. Ormai, è stato dissotterrato e, su questa spiaggia, continuerò ad arenarmi se non lo svuoterò per riprendere il largo senza zavorra.

Quel pomeriggio, come tante altre volte nella vita, la mia prima reazione fu di mettermi a correre. Non verso di te, però. Al contrario, correvo come una furia nella direzione opposta, sulla via della fuga. Non ti chiamai, non chiamai nessuno, non ne volli più sapere per dieci, lunghi giorni. Mi lasciai andare completamente al dolore e alla paura di perderti, facendomi fagogitare da quella ignobile e gigantesca codardia che, nella mia mente, segnava il tuo destino prima che fosse realmente il destino a segnare te. E’ terribile, ma per me eri già morta.

Mi chiamasti tu. Tu mi consolasti. Tu mi incorraggiasti. Tu mi aiutasti a venire fuori dal quel vortice depressivo che mi stava umanamente rimpicciolendo, annullando. E intanto, senza di me, combattevi la tua guerra. E, giorno dopo giorno, la vincevi.

Incapace di fare altro, dipinsi una tela: farfalle. Quando cominciai i toni erano scuri, freddi, le pennellate piatte, saettanti. Ma, mentre il tempo passava e tu combattevi, curando anche la mia speranza inducendola a levitare, lentamente, saldamente, la mia tela cambiò. Le pennellate si fecero dense e morbide, le sfumature schiarirono fino a diventare colpi di luce e poi fasci e poi campi interi di esplosioni luminose.

Il piccolo quadro - incorniciato con i rami raccolti qui, sulle rive del mio lago - che ora è sopra il tuo letto, è diventato infine un volo leggero e colorato. Un volo a cui tu, non io, hai tolto peso, e sempre tu, non io, hai donato colore.

Quando ti ho chiesto dove trovassi il coraggio, la forza, la fede, l’impegno, mi hai risposto candidamente che li compri al supermercato, quello dell’ Universo che ascolta e risponde. Al mattino, subito dopo aver aperto gli occhi, subito prima di alzarti e cominciare la giornata, vai a chiedere duecento grammi di sorrisi, trecento di costanza, mezzo chilo di fiducia, un sacchetto di quella fortuna che ti serve per finire in tempo il tuo lavoro, una sporta di quella pazienza che ti manca...Oh, dolcissima Elena ...

Quando mi comunicasti che era vero e inconfutabile, eri guarita!,ti strinsi fino a farti male e ti promisi che mai, per nessuna ragione, mi sarei più allontanata da te.

Non è stato così...

La mia vita è sempre stata più forte di me, ha sempre avuto il malefico potere di rapirmi, ingoiarmi, imbambolarmi, distogliermi dalla salvifica intenzione di chiedermi sistematicamente Sto vivendo bene? Sto vivendo per quello che conta davvero? Sto vivendo...in fondo?

Stabilire un contatto è l’unica cosa che abbia davvero un senso nell’atto dovuto di vivere la nostra esistenza. Si. Anzi, è l’unico atto che possa salvarci da un intollerante ed implosivo egocentrismo. Un pericolosissimo egocentrismo. Ma è mantenere vivo e fertile, quel contatto, ciò che conta davvero.

E io, non ne sono capace. Non ne sono mai stata capace. Non so coltivare, non so rallentare, osservare, curare, non sono capace di stare lì, serenamente, in coda, nel tuo fantastico supermarmercato cosmico, a decidere cosa mi serve di più, o cosa posso chiedere per qualcun altro, magari qualcuno che amo da impazzire e ha bisogno di me.

Vivo così, confusamente, faticosamente, da sempre, annaspando fra moti di gioia e strappi dolorosi. E riscoprendomi, sempre, deludentemente, come quella che non mantiene le promesse.

A mia madre, a Elena, a Laura,e...a più di un paio di altre persone.

 

 
 
 

Post N° 85

Post n°85 pubblicato il 30 Settembre 2007 da siddhal

Camminiamo dietro il velo denso dell’acqua. Un milione di micro sfere di vapore ci rotolano addosso, frizzanti e fresche. La voce di Skogafoss è un boato sordo, un rumore primordiale, un’intonazione incantevole, ipnotica. Il passaggio dietro la cascata dura pochi minuti, ma mi sembra infinito. Non ricordo quando è cominciato, non mi chiedo quando finirà. Cammino rapita e stringo la mano di Pietro. E’ pace qui, il tempo non scorre, la vita per una volta - sembra essere un fatto puramente contingente, esiste solo l’acqua, la sua forza, il suo respiro fresco, il suo canto. E la mia mano nella sua, i suoi brividi e i miei, una luce iridescente negli occhi. Gli bacio la mano e poi le labbra, con impeto, impulsivamente, e i suoi pensieri scivolano sui miei, mescolandosi. Con le mani, la bocca, la mente, sotto la pelle...E’ la prima volta che facciamo davvero l’amore, senza nemmeno un’eco di sesso. Un incanto, improvviso e inatteso, che rapidamente svanisce quando torniamo alla luce del sole.

Quattro passi dietro una parete d’acqua, un’altra esperienza straordinaria e indimenticabile.

Con una punta di delusione infantile, mi rendo conto che, rientrando nel tempo reale, ha lasciato la mia mano con indifferenza. E tristemente mi accorgo che il filo emozionale che univa la mia mente alla sua si è spezzato. Nella frazione di un secondo ha ricostruito il suo muro impenetrabile. Anche il suo sguardo è diverso...Devo arrendermi all'evidenza, non tollera nemmeno l’idea di un’intimità vera tra noi.

A volte, quando lo guardo, vengo letteralmente assalita da una sensazione terribile. E’ come se fossi certa di leggere tra i pensieri della sua retroguardia, un desiderio inconfessabile di dissolvenza. In questi momenti, vissuti per puro istinto e sensibilità, so che col tempo, se me lo permetterà, lo amerò profondamente.

Intanto, nella più surreale indifferenza, Pietro è tornato a mixare argomenti disparati e stridenti, come le bellezze naturali islandesi e la nuova stagione del Milan. Mi irrita come mai nessun altro.

"Ho sentito la guida di quel gruppo inglese, raccontare di come siano nate gran parte delle cascate in Islanda.", cambio discorso. "Si sono formate immediatamente dopo un violento mutamento della crosta terrestre. Per questo vengono chiamate cascate istantanee...Mi fanno pensare a me stessa. Sai, anch’io credo di essere..." Ma un verso gutturale, sbottante, spezza la catena delle mie parole.

"Che noiosa che sei!"

"Noiosa?? Ma che ti prende, ora?"

"Mi prende che non ti sopporto più. Sei pesante, mia cara. Cosa volevi dire? Che sei un’istantanea anche tu? Che sei nata - oh no, aspetta!! RI-nata è il termine che ti è più congeniale!! - RI-nata in seguito a un improvviso terribile terremoto esistenziale? Sei un libro aperto, tesoro. Un libromattone che mi sta passando la voglia di leggere. Sei un continuo pensare, rimuginare, riflettere, psicanalizzare...Echeppalle! Io non ho bisogno di questo. Ho voglia di divertirmi, godere, ridere a crepapelle! Non me ne frega un cazzo di sublimare, idealizzare, armonizzare, perfettizzare."

"Si può sapere perché mi dici questo, Pietro?"

"Perché là dietro", sentenzia indicando platealmente il salto di Skogafoss, "Là dietro, mia cara, sulla mia bocca, ti stavi perdendo di nuovo. Mentre, è fondamentale che resti ben salda al centro."

"Ma al centro di cosa? Che stronzo che sei...", la mia voce si incrina a metà tra lo sforzo doppio di contenere la rabbia e lasciarla emergere, finalmente.

"Al centro di uno spazio dal quale io resto sicuramente fuori, Fata. Stronzo&felice, come sono da sempre!"

Se mi leggesse davvero nel pensiero, adesso, affogherebbe nel mare di amarezza che porta alla deriva i miei pensieri. Invece, si accende l’ennesima sigaretta e si allontana da me, fisicamente ed emotivamente, il più rapidamente possibile, seguendo un copione fossilizzato. E, probabilmente, non lo sfiora nemmeno il sospetto che sia stato lui, non io, a rischio di perdersi là dietro...Vigliacco.

Rientrati nella capitale, ci dividiamo. Io resto a passeggiare nel centro di Reykjavik, lui se ne torna in albergo, nascondendosi dietro un violento mal di testa.

Quando lo raggiungo è quasi mezzanotte. Questa luce islandese, che si affievolisce ma non si spegne, continua a ingannarmi sullo scorrere del tempo. Un istante prima che la mia mano si posi sulla maniglia della porta della nostra camera, metto a fuoco la scritta rossa sul cartoncino beige che penzola, stonata e inattesa, attaccata al pomello:

do not disturb!

E una risata inequivocabilmente femminile giunge dall’interno a dar forma e peso a una delusione mostruosa.

Fossi un’altra, infilerei rabbiosa il pass nella fessura magnetica e spalancherei la porta. Invece no, sono io...Mi accascio lentamente strisciando sullo stipite e, in silenzio, inutilmente, piango.

 
 
 

Post N° 83

Post n°83 pubblicato il 29 Luglio 2007 da siddhal

Abbiamo studiato, a tavolino, un itinerario. La disavventura di ieri ha avuto il merito, se non altro, di costringerci a fare il punto della situazione. L’Islanda è una terra selvaggia e difficile, non possiamo permetterci di andarcene semplicemente a zonzo. Abbiamo sostituito la berlina con un mezzo a trazione integrale, ma abbiamo anche deciso che, salvo qualche breve, rapida incursione, non ci arrischieremo più nei sentieri sterrati dell’entroterra. Perciò, abbiamo previsto una serie di tappe raggiungibili percorrendo, quasi esclusivamente, la sola Ring Road.

Il primo tragitto è quello verso Skogar. Visiteremo il Museo del Folklore e la cascata di Skogafoss. Abbiamo letto che è alta più di sessanta metri e che è possibile arrivare a piedi fin quasi sotto la massa d’acqua.

Sarà emozionante.

Consumate pesantemente poche ore di sonno, al risveglio, una doccia e si va.

Dopo un’oretta di viaggio tranquillo, un po’ spenti dalla monotonia del paesaggio lineare e dal nostro stesso silenzio, incontriamo alcuni villaggi di pescatori. Piccoli, colorati, assolutamente pittoreschi. Attraenti. E ci rianimiamo.

Il grido dell’oceano arriva fino a noi. Un richiamo irresistibile. Senza bisogno di consultazioni, decidiamo di fare una sosta presso un grazioso paesino, a ridosso di una suggestiva spiaggia di sabbia nera.

E’ un buon posto per scrutare un nuovo orizzonte e fare uno spuntino, poiché ancora una volta, ci siamo mossi senza aver fatto colazione.

Mentre mi siedo nella sabbia nera e grossa, ho quasi l’impressione di affondare, talmente è morbida e cedevole. Il profumo del mare è intenso.

"Un fottuto Stronzo."

L’allegro crocchiare fra i miei denti di un delizioso biscotto al burro si arresta di botto. Non è la frase a congelarmi, ma il modo in cui è emersa da un silenzio apparentemente innocuo, improvvisa, secca, amara. C’è, nello spazio fisico che occupa il suono sordo di quelle parole, un movimento aggressivo, che mi urta, mi scuote, mi angoscia.

"Cos’hai detto?"

"Stronzo. Ho detto, un fottuto stronzo."

Il suo sguardo, come a volte accade, punta lontano. Vitreo.

"Ma con chi ce l’hai, scusa?"

"Sei un fottuto stronzo, è l’ultima cosa che ho detto a mio padre. L’ultima che ha sentito prima di morire."

Ognuno di noi possiede uno scrigno dove custodisce un prezioso tesoro, una catena fatta di memoria e coscienza. E’ uno scrigno talmente piccolo da essere invisibile, ma può essere di una pesantezza indescrivibile. A volte intollerabile. Eppure ce lo portiamo dietro, dentro, addosso, tutti, una vita intera. Talvolta, in condizioni speciali, per ragioni forse incomprensibili nel contingente, decidiamo di aprirlo...

So che Pietro è orfano di padre, ma non c’è mai stata un’occasione nella quale approfondire il discorso, fra noi. Non è la prima volta che mi capita di avere la deludente sensazione di non sapere quasi nulla di lui, infondo.

Non è molto che ci conosciamo, in effetti. Eppure, in poco tempo, siamo riusciti a creare un legame stretto e profondo. Siamo uniti, intimamente. Ma la nostra vicinanza è dovuta a un fatto oggettivo più che a un intento costruttivo: siamo emotivamente complementari e mentalmente orientati verso lo stesso Cardinale.

Pietro ha aperto il suo scrigno proprio adesso, qui, con me, per me...Non so cosa mi aspetti, cosa lui si aspetti. E, peggio ancora, non so se sono pronta a guardare dentro uno scrigno che non sia il mio.

A stento contengo un moto d’ansia.

"Come è morto, tuo padre?"

"Un incidente d’auto, di notte. Venne a portarmi via di peso da casa di un amico, il mio migliore amico. C’era stata una grande festa per il suo diciottesimo compleanno, che era cominciata nel tardo pomeriggio e si era protratta fino a notte fonda. A dieci minuti da casa, ci sorprese un violento temporale. In pochi istanti, e senza che ce ne rendessimo conto - coinvolti come eravamo in uno dei nostri violenti alterchi - la pioggia prese a cadere così fitta che la visuale si ridusse a zero. Avevo fumato marijuana e bevuto birra, ancora, nonostante i suoi divieti, le sue punizioni, le sue bastonate morali. Questo lo mandò in bestia. Perse il controllo dell’auto e andammo a sbattere contro un platano. E’ davvero incredibile che, dopo quasi vent’anni e fatto com’ero, ricordi ancora il suo sguardo disgustato e rabbioso, di pochi istanti prima dell’impatto. Sento ancora quello che mi disse..quello che dissi a lui. Ha la voce orrenda di una creatura mostruosa, fatto di un odio immaturo, incosciente, crudele. Un mostro che ancora spalanca le fauci per divorarmi."

...

Il biscotto che prima sgranocchiavo allegramente adesso è una palla asciutta che si è bloccata in gola. E’ lì, in secca, non va né su né giù.

E’ importante che dica qualcosa ora...E’ questa la ragione dell’attacco di panico che lo ha assalito ieri, sul ciglio di quella strada sterrata? Ha bisogno di me, adesso...O ha solo bisogno di andare a fondo di certi pensieri e buttarli fuori, buttarli via? E’ a me che sta parlando o a se stesso? Vuole parlare di suo padre o di sè?

Al solito, la mente colma di incertezze e interrogativi, perdo l’attimo.

Pietro si accende una sigaretta e ruba un biscotto dalle mie preziose scorte private. Poi, sorride, ridando colore agli occhi, che rapidamente riprendono vita.

E’ passato, quel momento, ed è passato senza che io ne fossi all’altezza.

Ingoio il biscotto e il mio senso di inadeguatezza, rumorosamente.

Pietro mi prende per mano e mi aiuta ad alzarmi.

"Coraggio, rimettiamoci in viaggio. E, un’altra cosa...Se continui a metabolizzare biscotti sui fianchi, non mi innamorerò mai di te! Sappilo."

Ride, strappa un ultimo respiro all’oceano e si incammina.

Se solo sapesse cosa provo per lui in questo momento...

"Pietro?"

Lui si ferma, si volta, mi guarda. Facendolo, mi entra negli occhi e va giù, come sempre, ma, per una volta, non ha alcuna importanza che veda, perché c’è solo lui dentro, in questo momento.

"No, è che...Pensavo a una canzone."

"Eh?!"

"C’è una canzone che dice più o meno così, l’amore può sanarti la vita..."

"...Ma può anche spezzarti il cuore. Questo è il verso che segue, cara."

"Va bene, si. Quello che volevo dire è che...Insomma, la vita non può essere arida e sterile. La morte ti spezza il cuore, ma è un fatto senza appello. L’amore, no. E’ una possibilità che si può scegliere e scegliere ancora."

"Non è stata la morte di mio padre a spezzarmi il cuore, ma il suo disprezzo. E non è la mia vita ad essere arida, sono io ad essere impermeabile. E, se mai ne varrà la pena, stanne certa, farò la mia scelta in amore. Lo sai che sono orientato al profitto, io, no?"

"Pietro..."

"Andiamo. Muovi le chiappe! Hai mezzo chilo di burro da smaltire."

"Tu sei come questa terra, Pietro. Fiumi in piena di lava incandescente, sotto un mare di ghiaccio."

"Uhhh, sei sempre eccitante quando sciogli la prognosi!"

"Tu sei malato, ragazzo!"

"E tu sei la mia cura, donna."

 
 
 

Post N° 82

Post n°82 pubblicato il 22 Luglio 2007 da siddhal

Spesso vediamo le cose solo come vogliamo vederle. Ma, basta capovolgerle per scoprire che possono essere diverse.

Quando ci siamo messi in viaggio, Pietro ed io, avevamo entrambi un'intima e segreta ragione per farlo. Cercavamo qualcosa, in un giro la’ fuori, senza sospettare che l’unico vero percorso lo facciamo sempre e comunque dentro di noi.

Io auspico di perdere un po’ di quella titanica zavorra accumulata negli anni, in una vita sbagliata. Pietro, invece, è a caccia di significati per dare peso e senso a un’esistenza quasi sprecata sul filo della superficialità. Ma non ce lo diciamo.

Dopo la Spagna, destinazione Nord, come in origine avevamo deciso.

Quando atterriamo a Reykjavìk è quasi sera, ma la luce è ancora la Signora del Regno, non si spegne quasi mai, qui.

Ci abitueremo a vedere sempre tutto alla luce del sole? Potrebbe essere questa la vera conquista. 

Dopo quella breve e sterile discussione sulle modalità del sesso tra amici, sulla possibilità del sentimento tra noi, nelle campagne di Toledo, non abbiamo più toccato l’argomento. E non ci siamo più nemmeno toccati l’un l’altro. Nonostante la camera sia una doppia, il letto è uno solo. Eppure, buttati in un angolo gli zaini, e fatta una breve doccia sotto l’acqua sulfurea dell’albergo, poggiamo la testa sul cuscino io, e sul bracciolo del divano lui, e dormiamo. L’uno distante dall’altra.

Quando mi sveglio, Pietro è già in piedi. Mi aspetta pronto, accanto alla finestra, davanti a un’alba che si rivela senza distinzioni dalla notte.

Avverto in me l’eco di una strana sensazione, quella del pianto...Credo di essermi svegliata ieri notte e di averlo sentito gemere, sommessamente.

"Allora, dormigliona, ci diamo una mossa?!? La Blaa Ionio ci sta aspettando!", un bel sorriso, il suo. Irresistibile e incoraggiante, come sempre.

Vamos!

Quindici minuti più tardi siamo in tour.

In Islanda c’è una sola vera strada, un grande anello d’asfalto che ridisegna la costa lungo tutta la circonferenza dell’isola. Per il resto, è una ragnatela di percorsi estesi nell’entroterra, più o meno percorribili, più o meno battuti, più o meno sicuri. Ché poi, i nativi, non hanno bisogno di strade. Solcano la loro isola in lungo e in largo, sopra tappeti di muschio o gobbe montuose, facendo gincane tra i piccoli geyser, a bordo dei loro jeepponi, che sobbalzano su pneumatici larghi ognuno quanto la mia misera Punto.

Solo noi, col nostro improponibile ed economico fly & drive, ci ritroviamo a bordo di una berlina Toyota che presto ci dimostrerà di non essere in grado di portarci da nessuna parte...E infatti, non appena abbandoniamo la Strada N° 1, ecco che una piccola distrazione e due gocce d’acqua ci portano fuori strada.

Proviamo a venirne fuori, ma le ruote girano a vuoto, immerse per metà in una terra sassosa ma molle e profonda. Il cellulare non prende.

Panico. Lui più di me, tanto che, sorprendendomi come mai prima, rimane lì, inebetito, quasi bloccato da un attacco di pura fifa.

Il tizio della reception ci aveva avvisato, sul nascere di quel primo giorno della nostra avventura, che le previsioni non erano incoraggianti, di non avventurarci fuori dai percorsi principali, "Ché poi la situazione si complica quando sulle piste interne, talvolta per giornate intere, non si incrocia anima viva". Ma, sappiamo-tutto-noi-alla-ricerca-dell’emozione-perduta, abbiamo deciso di andare proprio all’interno, per fare subito un bagno nelle calde sorgenti termali. E così...

Ci sono momenti in cui la vita ti passa davanti e l’unica cosa che ti viene da dire è fanculo, ne ho avuto abbastanza, io mi fermo qui! Ma ci sono anche momenti in cui il film della tua vita scorre davvero troppo rapido, frustrandoti, lasciandoti appeso, senza appello, e l’unica cosa che abbia senso dire è fanculo, non ho ancora vissuto abbastanza!

Così, fuori strada, nel deserto islandese come nella vita di tutti i giorni, accanto a un fottuto fifone emotivo e senza palle, che non ne vuole sapere di innamorarsi di me, e negli occhi ancora tutta una vita davanti, ho capovolto le cose e le ho guardate da una diversa angolazione.

Mi sono detta fanculo, io non mi arrendo proprio oggi!

Spalanco la portiera, afferro Pietro per un braccio e lo tiro fuori di peso dall’auto. Poi, me lo trascino dietro, letteralmente, lungo un serpente di ghiaia scricchiolante,  inquietante e rassicurante allo stesso tempo, perché ci si prolunga davanti come l’unica via, quella d'uscita, la nostra!

Lui mi guarda, stranito, muto. Si accende una sigaretta e tira forte, una boccata dietro l’altra. Poi, si arresta e urla.

"Cosa cazzo mi sta succedendo? Non ho paura di niente, io!"

"Già, di solito sono io quella che trema per il più insignificante spostamento d’aria..."

"Sono un’ambizioso, IO. Un tipo freddo. Uno che sa stare al mondo, che lo sa gestire, governare, conquistare. Non ho paura, IO. Eppure...Tremo. Perché?"

Cosa c’entra il mondo, ora? E l’ambizione, poi...Non ho risposte per lui. Non lo capisco più, non so nemmeno se l’abbia mai compreso davvero. Cosa vuoi che me ne freghi del tuo fottuto, ambizioso mondo, ora? Il mio mondo è tutto qui, adesso, in questa selvaggia e spaventosa terra del nord. E, a dirla tutta, non so nemmeno come o dove riesca a trovare la forza, IO, di reagire alle situazione. Credo di dover ammettere di essere dotata di coraggio. E sangue freddo. E c’ho pure le palle , IO!

Ecco, si, brava ragazza! Rivolta le cose e guardale di nuovo. Per una volta, le vedrai davvero. Senza paura.

Facciamo che mi rivaluto?

"Non lo so, Pietro...Immagino sia perché hai perso il controllo della situazione, di te stesso. Probabilmente stai vivendo un momento di smarrimento che...", penso alla sensazione di pianto della notte scorsa, "...uno di quei momenti senza centro, che invece centrano perfettamente il concetto di oltre, di poi. Questo viaggio avrà il suo senso, vedrai..."

Abbassa lo sguardo e riprende a camminare, allungando gli occhi fino all’orizzonte. E il suo pensiero è così denso che sembra uscire da lui come il fumo della sigaretta dalla sua bocca. In mezzo a questo deserto verde e umido, seppur con me accanto e se stesso addosso, si sente solo.

Dopo mezz’ora di cammino, finalmente, vediamo avvicinarsi un pullman. E, incredibile ma vero, alle nostre spalle sopraggiunge una jeep. Siamo salvi.

L’autista dell’autobus è un metro e ottanta di splendida ragazza islandese. Capelli corti e ribelli, neri come la pece, e occhi grandi e turchesi, come lo Ionio in una brillante giornata d’Agosto. Mentre scende dall’autobus ride e saluta, sorprendendoci con un inglese perfetto. Ci prende un po’ in giro, bonariamente. Poi, con quattro parole islandesi, si mette d’accordo con il proprietario della jeep. Lei ci metterà il cavo da traino, e lui userà la sua auto per tirarci fuori dai guai.

Due ore più tardi, ci ritroviamo seduti in un Caffé nel centro di Reykjavìk, accanto a una grande vetrata. Un tuono fragoroso introduce un incredibile temporale. Davanti a una tazza di costosissimo caffé americano, rimaniamo così, per ore, a guardare il tempo cambiare, a pensare a come cambiamo anche noi, e le cose, continuamente. Perché la vita è questo: evoluzione. E il segreto per viverla è il modo in cui sei capace di capovolgere le cose e guardarle con occhi diversi.

Aggancio gli occhi di Pietro con occhi nuovi  e vado a fondo, con timore...Pare essere tornato l’uomo tutto d’un pezzo di sempre. Lo stesso adorabile stronzetto di ieri. Devo spezzare questo silenzio che sta diventando comodo e ci sta inghiottendo.

"Le cascate di Selfoss, domani?", propongo animatamente.

"Selfoss, domani. Si. E lo stesso letto, stanotte...Che ne dici?"

 Talvolta, la resistenza al cambiamento è davvero notevole...

 

 

 

 
 
 

Post N° 81

Post n°81 pubblicato il 15 Luglio 2007 da siddhal

"I patti erano chiari : zaino in spalla e niente sesso."

"Si, be’,ormai lo zaino aderisce alla schiena come una seconda pelle..."

"Si, be’", gli faccio il verso, "ma il sesso lo facciamo di continuo!"

"Cosa vuoi che ti dica?", sorriso irresistibile. " E’ naturale, irrinunciabile, come mangiare, dormire, respirare!"

"Veramente, da quando siamo partiti, non mangiamo molto. E dormiamo anche meno. L’unica cosa di irrinunciabile pare sia il sesso, qui."

"Sarà il ritmo dettato dal battito di questa terra caliente! Qui stiamo riscoprendo le vere necessità..."

Un splendida terra, in effetti, la Mancha!

Faccio un giro su me stessa, lentamente. Mi sento letteralmente avvolta dai toni caldi del tramonto, coccolata dai suoni e dai profumi dell’estate castigliana. E’ già sera, ormai, ma la luce non muore, si trasforma, si modula, si addensa, ammanta le cose di sfumature rosse, bionde e dorate. Il mio sguardo accarezza campi di cerali e viti che paiono infiniti. E mi sovviene uno splendido passaggio di Kerouac. Una breve, incantevole descrizione di un’altra terra, dove - come in una preziosa catena - le parole sono piccoli gioielli incastonati uno dopo l’altro, perfettamente, in una collana che irresistibilmente vorresti indossare per sentirne il dolce peso, per vestirti del suo valore:

...il crepuscolo, un crepuscolo vinoso, un crepuscolo color porpora sopra i giardini di mandarini e i lunghi campi di meloni; il sole del colore dell’uva spremuta, con squarci di rosso borgogna, i campi color dell’amore...

Anche questi campi hanno il colore dell’amore. Splendida Spagna!

 Ma come ci siamo ritrovati, qui, poi?

"Non dovevamo andare in Irlanda, noi due?"

Lui ride. E’ seduto per terra, sopra un grande masso bianco, con le braccia a penzoloni appoggiate sulle ginocchia, e la testa che vi ciondola nel mezzo.

"Non dovevamo fare sesso, non dovevamo diventare amici, non saremmo neanche dovuti partire, visto come si era messo il lavoro negli ultimi tempi. E dovevamo andare a Nord... L’imprevedibilità! E’ questo che rende la vita un’esperienza prodigiosa."

"E spaventosa, a volte..."

"Prodigiosa, spaventosa, fa-vo-lo-sa!"

Mentre lo ascolto, un po’ troppo seriamente rispetto al peso reale della nostra conversazione, riscopro quasi con tenerezza le cose che mi hanno sempre attratto di lui. L’aspetto antiborghese, quel modo non codificabile di muoversi nel mondo, apparentemente e incredibilmente slegato e distante dai piccoli problemi quotidiani che angosciano l’uomo medio. Quella sua non classificabile superiorità e la bellezza originale, a volte ostentata, a volte patita. La giovane età in netto e costante contrasto con l’aria vissuta e lo sguardo maturo.

Ho paura di essere innamorata di lui.

E mentre lo osservo e assorbo le sue parole, mi chiedo quando sia successo, quando abbia tolto il freno e sia andata a sbattere su questo sentimento improponibile...

"Pensavo...", azzardo mordicchiandomi le labbra, "Quando questa vacanza sarà finita, tornati a casa, tu ed io potremmo..."

Lui solleva la testa e mi punta addosso uno sguardo feroce, dritto e categorico, che mi scuote e cambia improvvisamente la percezione di tutto ciò che mi circonda. Ho quasi freddo, ora.

"Non farlo!", ammonisce. "Non metterti a fare la donna proprio adesso!! Sei una delle cose più straordinarie che mi sia capitata nella vita, bella e vera, senza confini e definizioni. Non rovinare tutto...Siamo amici, tu ed io, no?"

"Fare la donna?? Fare la....Gli amici non fanno sesso!"

"Si che lo fanno! Con un pizzico di cuore, però."

...Non vedo, non sento, non parlo...

 
 
 
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