Prigione dei Sogni

Cercare adagio, umilmente, costantemente di esprimere, di tornare a spremere dalla terra bruta o da ciò ch'essa genera, dai suoni, dalle forme e dai colori, che sono le porte della prigione della nostra anima, un'immagine di bellezza che siamo giunti a comprendere: questa è l'arte. James Joyce

 

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Perdersi

Post n°87 pubblicato il 27 Aprile 2006 da Notram
 

Vi siete mai persi in un bosco?
Lui lo faceva sempre.
Appena ne aveva l’occasione prendeva la sua auto e la spingeva fin dove la strada lo permetteva, poi la parcheggiava e continuava a camminare a piedi. Sceglieva un bastone, abbastanza robusto da sorreggerlo, ma anche non troppo tozzo, in modo che si potesse piegare un po’ prima di rompersi, ed entrava nei meandri della sua foresta.
Il bosco era buio, nonostante fosse il pomeriggio di una calda giornata estiva. Solo ogni tanto, c’erano dei punti in cui i folti rami degli alberi lasciavano passare pochi raggi di sole.
Gli mancava tantissimo quell’odore di pini, felci e foglie morte.
La gente crede che le foglie secche ci siano solo d’autunno. Ignorano completamente che persino in pieno agosto le foglie dei faggi formano un soffice tappeto dorato.
Che bella senzazione provava, poi, quando all’improvviso una folata di vento smuoveva i rami e per un attimo tutto taceva.
Adorava il silenzio di quelle sue passeggiate, gli unici suoni che avvertiva erano il frinire dei grilli, il ronzio delle mosche ed, in lontananza, quello che doveva essere un picchio. Un tempo sapeva riconoscere ed imitare alla perfezione i versi di tutti gli uccelli, ora però non era sicuro di riuscirci...
Camminava così per ore, seguendo i percorsi di sempre, ma anche esplorando nuovi anfratti. Scendeva e poi risaliva quei pendii scoscesi con destrezza e abilità. Solo raramente, nonostante l’esperienza, scivolava finendo con il sedere per terra, come se fosse la natura stessa a prendersi gioco della sua sicurezza e a riportarlo indietro nel tempo, a quando era un ragazzino che non sapeva neanche come mettere i piedi per non cadere.
Si spingeva fino a dove neanche il suo senso dell’orientamento poteva aiutarlo. Non era, in fondo una cosa pericolosa come si potrebbe pensare, perché a quel punto, quando la memoria non gli era più utile, era il suo stesso corpo a ricondurlo verso luoghi conosciuti. Dopotutto lui tra quei boschi ci era cresciuto.
Quando era piccolo usciva di casa la mattina presto e tornava solo al tramonto. Quanti schiaffi aveva preso da suo padre…ma puntualmente, ogni mattina, usciva di casa e se ne andava nel bosco con i suoi amici. Anche ora, nonostante il lavoro e la sua famiglia lo avessero portato lontano dalla sua terra, lontano da quella natura, appena aveva un po’ di tempo libero non poteva fare a meno di tornare lì.
Sembrava eterno quel bosco, con quei faggi altissimi, quei pini imponenti e quelle rocce che sembravano stare lì da sempre. Ci aveva mangiato non so quante volte su quelle rocce...
Eppure ad un occhio attento tutto era cambiato. Nuovi alberi nascevano, il segno che aveva fatto sulla corteccia di quel pino, si era espanso, crescendo con il diametro del tronco. Addirittura non vi era più traccia della capanna, che lui e i suoi amici avevano costruito nell’arco di un intera estate quando erano bambini. A testimonianza della sua esistenza solo un paio di chiodi arrugginiti…
Senza che se ne accorgesse il tempo trascorse inesorabilmente. Il sole stava calando ormai, e la foresta non è un luogo sicuro per nessuno di notte, neppure per lui.
Tornò verso la sua auto e, ancora una volta, promise a se stesso che sarebbe tornato, per perdersi ancora, per ritrovarsi ancora…

 
Rispondi al commento:
Notram
Notram il 28/04/06 alle 22:59 via WEB
Spero che il mio racconto non venga letto come un invito ad andarsi a sperdere nei boschi. Bambini a casa, non lo fate! Scherzi a parte, grazie per il commento Lilith, ricambio il sorriso.
 
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