Prigione dei Sogni

Cercare adagio, umilmente, costantemente di esprimere, di tornare a spremere dalla terra bruta o da ciò ch'essa genera, dai suoni, dalle forme e dai colori, che sono le porte della prigione della nostra anima, un'immagine di bellezza che siamo giunti a comprendere: questa è l'arte. James Joyce

 

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L'agenda

Post n°96 pubblicato il 22 Maggio 2006 da Notram
 

Vecchie foto, giochi di un tempo. Testimonianze di una vita che non c’era più.
Gli scaffali erano ricolmi di libri, tanto che, col tempo si erano un po’ incurvati. La scrivania invece era in ordine, con la sua lampada, il portapenne pieno e quel posacenere che, da sempre, utilizzava per gli spiccioli.
Sua madre aveva lasciato tutto così, come per restare aggrappata a quel periodo, a quando quel suo figliolo era solo un ragazzo di belle speranze. Come se quei quindici anni non ci fossero mai stati e da un momento all’altro si fosse aspettata un suo ritorno.
Un ritorno che non c’era mai stato, almeno fino ad oggi.
Le circostanze della vita l’avevano messo di fronte a ciò che restava del suo passato.
Ora, quel passato, sarebbe stato sezionato e distribuito in scatoloni vuoti. In parte sarebbe andato perso per sempre.
I ricordi dovrebbero essere delle entità astratte. Tuttavia essi vengono spesso innescati da un qualcosa, quindi in un certo qual modo si può dire che possano assumere una forma concreta.
A questo pensava mentre scavava nel suo passato come una talpa scava nel terreno. Con la stessa cecità. Con la stessa consapevolezza.
Alla fine però la sua attenzione fu attirata da un oggetto: la sua vecchia agenda. Aveva circa venti anni quando il padre gliela regalò. Nelle intenzioni del genitore quel regalo sarebbe stato utile al figlio per conti, promemoria e quant’altro.
Invece era stata la prigione dei suoi sogni, il luogo dove rinchiudere e sigillare la sua vera essenza.
Ci scriveva, in quella sorta di diario. Ci scriveva non esperienze quotidiane, non momenti di vita vissuta. Niente di tutto ciò. Eppure in ognuna di quelle pagine era presente qualche squarcio di sé; in ogni storia che vi scriveva, in ogni personaggio a cui dava vita con la penna.
E si stupì, sfogliando le pagine, nello scoprirsi incapace di leggere la sua stessa scrittura. Si sforzava, ma i caratteri gli erano indecifrabili.
Incuriosito e soprattutto irritato da questa “scoperta” cercò altre cose scritte da lui nella sua giovinezza: vecchi quaderni di scuola, temi, relazioni.
Notò con sorpresa che questi documenti gli risultavano molto più leggibili e chiari. Era come se fossero stati scritti da un’altra persona rispetto al padrone dell’agenda. Eppure entrambe quelle persone erano lui.
Davvero non riusciva a darsi una spiegazione di questo fenomeno.
La sua scrittura era sempre stata spigolosa, per molti illeggibile. Un grafologo l’avrebbe giudicata sintomatica di un carattere chiuso e timido. Ma possibile che questa sua timidezza l’avesse portato, da ragazzo, a mascherare così tanto i suoi sentimenti da renderli illeggibili persino a se stesso? Oppure qualcosa negli anni lo aveva cambiato rendendolo incapace di leggere e comprendere i suoi pensieri di un tempo?
Probabilmente, pensò, erano vere entrambe le cose. Il suo scrivere per gli altri era sempre stato diverso dal suo scrivere per se stesso ed, evidentemente, lui era diventato un’altra persona.
Rimase a lungo a pensare se fosse il caso di gettare via quell’agenda impolverata. Stava per farlo ma alla fine non ci riuscì.
Voleva imparare di nuovo a leggere quelle storie, voleva leggere di quel ragazzo. Lo voleva con tutto se stesso…

 
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patah
patah il 22/05/06 alle 21:21 via WEB
Magari... lettera per lettera, con calma...
 
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