Prigione dei Sogni

Cercare adagio, umilmente, costantemente di esprimere, di tornare a spremere dalla terra bruta o da ciò ch'essa genera, dai suoni, dalle forme e dai colori, che sono le porte della prigione della nostra anima, un'immagine di bellezza che siamo giunti a comprendere: questa è l'arte. James Joyce

 

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Conseguenze

Post n°137 pubblicato il 23 Febbraio 2007 da Notram
 

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“Se non sono riuscito a difenderlo io era colpevole, no?”

Li osservava dalla finestra di casa sua, in un misto di rabbia e disgusto.
Schegge impazzite: questo erano. Da lassù non poteva distinguere i volti, ma se li immaginava benissimo con quelle faccette idiote arrossate per la fretta e con i capelli scompigliati dal vento di quella giornata di inizio autunno.
Accarezzava la Colt e li guardava, maledicendoli ed insultandoli col pensiero.
Maledetti tutti! Era anche loro la colpa se lui si era ridotto a quel modo. Erano stati loro a renderlo la creatura meschina che era diventato.
Trentasei anni della sua vita ci avevano messo a fiaccare la sua resistenza, a convincerlo che lui era solo un piccolo essere insignificante. Trentasei anni, ma alla fine ci erano riusciti. Lui si era arreso.
Non sarebbe dovuta andare così la sua vita, ma ormai non c’era più speranza per lui. Non poteva punire tutti, è vero, ma qualcuno sul banco degli imputati ce l’aveva anche lui stavolta.
L’uomo legato alla sedia era caduto in un muto silenzio da quando l’aveva colpito. Continuava a fissarlo con quei piccoli occhi grigi in attesa di una sua parola.
Ma che diavolo avrebbe dovuto dire? Non riusciva ad immaginarselo.
“Non si ricorda neanche il mio nome…”, pensò con amarezza girandosi verso di lui.
Quell’uomo gli aveva rovinato la vita, gli aveva portato via tutto, eppure non aveva la più pallida idea di chi lo avesse rapito.
Il suo nome lui, non l’avrebbe mai più dimenticato: Alfredo Mantovani, il migliore avvocato della città;  “l’avvocato sorridente” l’aveva ribattezzato la sua sorellina la prima volta che l’aveva visto. E quel sorriso niente e nessuno  era stato in grado di cancellarlo fino a quella mattina.
“Non preoccuparti, questa causa è normale routine per me!”, aveva detto a suo padre quando aveva accettato di difenderlo. Erano stati compagni di scuola, quindi il suo vecchio nutriva una cieca speranza verso quell’uomo.
Ma non era stata colpa di suo padre: tutti, persino lui, rimanevano ammirati al cospetto di quel signore dai modi distinti e raffinati, sempre cortese con tutti.
Lo aveva rassicurato ogni giorno: “Ragazzo tu sei innocente ed hai il migliore avvocato del mondo. Mi spieghi come facciamo a perdere?”… “ C’è un vizio di forma, il processo non durerà nemmeno mezza giornata”… “ Il giudice è un mio vecchio amico, mi deve una cena, chissà che questo non lo renda bendisposto”…
Alla fine ci aveva creduto, aveva voluto crederci, a quel mare di parole. Ci aveva persino creduto quando il processo si era allungato, quando l’accusa aveva smontato i suoi testimoni e sua madre era  scoppiata in lacrime in aula.
“Non sono stato io ed ho il migliore avvocato del mondo…” continuava a ripetere a se stesso.
“Colpevole.”
Quella parola gli rimbalzò in testa per molti mesi, ma poi furono altre le parole che gli rimasero impresse.
“Mi dispiace ragazzo” gli aveva detto il grande avvocato, per un attimo il sorriso era persino scomparso, ma poi lo aveva visto, mentre stringeva la mano all’avvocato dell’accusa. Quelle furono le parole che lo martellarono per i successivi quattordici anni: “Se non sono riuscito a difenderlo io era colpevole, no?”. Le aveva dette sorridendo…
Quattordici anni di carcere.
La sua giovinezza era scivolata via nel grigio squallore di una cella e durante le sue notti, tutte le maledette notti, lo aveva visto, Alfredo Mantovani, mentre dava una pacca sulla spalla all’accusa e, porgendogli la mano, pronunciava quelle parole con il sorriso che si tramutava in un ghigno malefico.
“Se non sono riuscito a difenderlo io era colpevole, no?”
Ora ce l’ aveva davanti agli occhi, il vero colpevole di tutto. La sua tendenza alla pinguedine era peggiorata negli anni ed i capelli avevano abbandonato la sommità della sua testa formando una grottesca aureola grigia.
Alzò la pistola contro di lui.
- No, ti prego – iniziò a singhiozzare – ti prego, ho dei bambini –
Un’altra bugia: due matrimoni e due divorzi, nessun bambino, solo una incorreggibile propensione  all’adulterio.
- E con quale delle due mogli hai avuto questi bambini avvocato? Non dovresti raccontare frottole in questa situazione –
- Io…li ho avuti da un’altra persona, una mia amante. Ti prego, te lo giuro. Non mi uccidere per favore, ti darò tutto quello che vuoi –
Come se ci fosse qualcosa in grado di ripagarlo di tutti quegli anni persi…
- Te lo ricordi almeno il mio nome? Dimmelo! -
- Io…io ecco…-
Non se lo ricordava. Non se lo ricordava!
Gli si scaraventò addosso premendogli la canna della pistola contro la fronte, pronto a premere il grilletto. Vide i pantaloni del vecchio bagnarsi e sentì immediatamente il tanfo disgustoso del terrore.
La sua mano tremava mentre guardava quel piccolo essere piagnucolante.
Possibile che fosse stato davvero quello il fantasma che l’aveva perseguitato per tutti quegli anni?
Sorrise. Stavolta fu lui a sorridere.
- Se non sono riuscito a difenderlo io era colpevole, no? – disse.
Poi si puntò la pistola alla tempia e sparò.
In fondo voleva solo uccidere un sorriso…

 
Rispondi al commento:
Odette292
Odette292 il 04/03/07 alle 14:20 via WEB
Bravo Notram :)
 
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