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La meraviglia delle piccole cose

Post n°273 pubblicato il 12 Gennaio 2012 da mariopulimanti
 
Foto di mariopulimanti

Mi congedo da piccole cose.

Proprio come un albero in tempo d’autunno muore nelle sue foglie.

 Testaccio.

 Dai salesiani.

Don Losappio.

Raccontava di Orazio Coclite e Muzio Scevola.

Mi ricordo ancora l’immagine del libro di storia: Muzio nella tenda di Porsenna che si brucia la mano destra sul fuoco.

 E poi la vergine Clelia.

 Quella sì.

 Che correva, scarmigliata, portando le compagne in salvo.

 La vergine Clelia.

Assomigliava a Rita, mia cugina.

 E Attilio Regolo, con la sua botte piena di chiodi.

 E Furio Camillo: Roma si conquista col ferro, non con l’oro.

 Furio Camillo: ora è solo una fermata della metro.

 E i Romani? Una banda di fuoriusciti più spietata delle altre.

 Sono stati loro a inventare l’asilo politico di massa.

 Romolo però non l’ho mai sopportato.

 A conti fatti, era uno che aveva ammazzato il fratello.

 Esco dall’ufficio.

 Passa il 60.

 Scendo alla Piramide, entro nella metro.

 Penso ad mia nonna Jole.

 E’ stata per due mesi in coma irreversibile.

 Era a due passi dal cielo, diceva mia madre.

 Al Sacro Cuore.

 Sempre dai salesiani.

 Don Rossi.

 Diceva che ci sono tre assassini nei Promessi Sposi.

 Gertrude, la più infelice.

Il Griso, il più simpatico, uno che ha imparato l’obbedienza, non la virtù.

 E Lodovico, il solo che alla vista dell’uomo “morto da lui”, decide di cambiare vita.

Di espiare.

 Che parola antica.

 Espiare.

 Scomparsa da ogni gergo.

 Seppellita.

Alla fine la tristezza è la morte delle cose semplici.

Quelle semplici cose che restano a farti male dentro nel cuore.

Arrivo a Ostia.

Scendo dalla metro.

Mi incammino verso casa.

Passo davanti al Teatro Manfredi.

Saluto Luciano.

Sorpasso Regina Pacis.

Arrivo a Piazza Anco Marzio.

Intorno a me gente.

Single o in coppia.

Coppie! Quasi tutte con incrinature, penso.

O disturbate da quei non detti che entrano di soppiatto, senza che uno se ne accorga, e s’insinuano nel tempo, nell’alto silenzio della vita di tutti i giorni.

La Sapienza.

Università di Roma.

Lipari, professore di diritto privato.

Parlava dell’usucapione.

Una delle cose più interessanti del diritto.

A me non andava giù che potesse esistere una norma come quella.

Se una cosa è mia, è mia, dicevo.

Che qualcun altro possa entrare in possesso di un bene solo per il fatto che l’ha usato per anni è un’assurdità.

Le cose sono di chi le usa, replicava con un certo fervore Rosario Nicolò, preside di allora.

E il fatto che  la legge sancisca che la proprietà privata non è un diritto assoluto è un segno di grande civiltà.

Che ci insegnano i romani antichi, anzitutto, ci raccontava il civilista Pietro Rescigno.

La proprietà di chi lascia un bene ad altri si può definire dunque  una sorta di prestito temporaneo con diritto di riscatto, sancito dal tempo che passa, aggiungeva Riccardo Orestano, prof di diritto romano.

 Ciò che è tuo non è tuo, se non lo possiedi veramente, mi spiegava Remo Franceschelli, giurista esperto in diritto commerciale, nonché professore della mia tesi.

 Giugno settantanove.

 Due mesi dopo moriva mio nonno. Angelino.

Torno a casa.

Bevo una bottiglia di Brunello di Montalcino.

Perfetto.

Vado a letto.

Cercherò di dormire un po’ stanotte.

 Non voglio ammalarmi per colpa di queste riflessioni.

 Dico sul serio.

 Ciao.  

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)

 
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