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Mario Pulimanti, ovvero le confessioni di una mente pericolosa (parte prima)
Mi sveglio.
No, non posso, debbo uscire.
Anzi, penso che debbo sbrigarmi, altrimenti faccio tardi in ufficio.
Esco dal bagno.
Mi infilo frettolosamente camicia e pantaloni, indosso la giacca ed esco.
Poi scosso da un brivido di freddo, mi abbottono per bene il cappotto.
Guardo l’orologio e realizzo che faccio ancora in tempo per un cappuccino prima di prendere l’autobus.
Sul metrò della linea Ostia-Roma, penso.
Questa mattina di pensieri ce n’è un’insalata
Il gruzzoletto in banca nel caso di vacche magre.
Così mi ha insegnato papà Valeriano.
E poi all’improvviso il gruzzolo è improvvisamente sparito.
E sono rimasto a secco.
No, non ho una scelta più retributiva di lavoro messa via nel cassetto dei calzini.
No, affatto.
Sì, la cosa può anche essere raccontata diversamente agli altri e a me stesso ma, a torta finita, il desiderio di maggior guadagno resta solo una chimera appollaiata in un retrobottega del mio cervello.
Il nocciolo è che di soldi, anzi di euro, ce ne sono pochi in circolazione e, almeno per quanto mi riguarda, ci sono troppe occasioni per non esserci più.
Sarò di una perspicacia rara, ma non mi riferisco a divertimenti e vacanze ai Caraibi, per esempio Barbados o altro.
Gli euro devono coprire tasse e balzelli vari.
Non mi lascio intrappolare.
Vada al diavolo pure la tristezza.
Arrivo in ufficio.
Percorro i gelidi corridoi.
Esito.
Davanti a me una collega con un viso umano piuttosto inquietante, occhi minacciosi e labbra sottili. Sobbalzando mi volto verso di lei.
Sta parlando con un uomo magro sulla cinquantina, con la faccia tonda, che guarda verso di me sogghignando: ladri di reggenze!
Bè, questa è la mia teoria.
Il mio volto si oscura: chi li fabbrica, mi chiedo.
I loro potenti sponsor?
No, non devo pensare a queste cose.
Cristo, adesso ho l’aspetto tormentato della persona invidiosa.
Capita, quando si ha fame.
Okay, al lavoro.
Pausa pranzo.
Ah, in una stanza dall’altra parte del corridoio un amico mi saluta.
Mi invita al bar.
Ci accomodiamo al tavolo, poi lui si siede di fronte a me.
Dopo di che, mangiando croissant al prosciutto, discutiamo del più e del meno.
Riprendo a lavorare.
Nel frattempo, si è fatto tardi.
Rientro a casa.
Sono seduto su un duro sedile di un vagone del metrò.
Socchiudo gli occhi..
Ma ecco che, riflettendo e rimuginando, a un tratto mi trovo, ahimè, coinvolto in mistiche congetture.
Mio malgrado, sia ben chiaro!
Sarà per il fatto che sono stanco.
Sarà perché mi sento una fame da lupi come mi accadeva quando avevo appena dato un esame all’Università.
Non lo so.
Però penso, penso, penso…
Non mi ritengo né allegro, né spiritoso e se pensate che sia soddisfatto del mio stipendio da statale, potete allora definire Bagdad una meta turistica.
Sono solo un funzionario statale bloccato al nono livello da molto tempo.
Funzionario statale suona, comunque, un po’ stalinista, a mio parere.
Da quando va avanti questa storia?
Da 20 anni.
Sto perdendo fino all’ultima molecola del mio amor proprio, anche se non ho mai pensato di suicidarmi.
Ehi, non mi va di essere inquadrato per uno che molla.
Esatto.
Penso ad un mio amico del quale sono stato il testimone di nozze.
E’ una cosa che fra uomini come me dovrebbe rappresentare un legame per tutta la vita.
Eppure ultimamente ci siamo visti poco.
Ho deciso, appena torno a casa gli telefono.
Parola di giovane marmotta.
Ultimamente ho preso la consuetudine di scrivere su giornali e su internet mie considerazioni per cercare di coinvolgere gli altri in un entusiasmo che temo siano invece riluttanti a condividere.
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Inviato da: cassetta2
il 20/08/2019 alle 21:05
Inviato da: mariopulimanti
il 17/02/2017 alle 17:08
Inviato da: amoilmareetu
il 02/02/2016 alle 11:47
Inviato da: gaia_870
il 14/10/2015 alle 09:53
Inviato da: cp2471967
il 14/10/2014 alle 17:03