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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)
Centoventi sonetti in dialetto romanesco (di Luigi Ferretti)
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I trovatori (Dalla Prefazione di "Poesie italiane inedite di Dugento Autori" dall'origine della lingua infino al Secolo Decimosettimo raccolte e illustrate da Francesco Trucchi socio di varie Accademie, Volume 1, Prato, Per Ranieri Guasti, 1847)
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Rime inedite del Cinquecento Indice 2 (di vari autori)
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Il Dittamondo (2-05)
Post n°796 pubblicato il 12 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
Il Dittamondo di Fazio degli Uberti LIBRO SECONDO CAPITOLO V La grazia che nel mondo al Padre piacque di far, com’hai udito, fu la pace quando il Figliuol de la Vergine nacque. Morto Ottavian, che fu tanto verace e grazioso a governar lo ’mperio, che quanto piú ne parto e piú mi piace, il gener suo e privigno Tiberio, del qual parlar di sopra m’hai udito, eletto fu a tanto magisterio. Prudente il vidi e molto in arme ardito e fortunato e di sottile ingegno, d’alta scienza e con parlar pulito. Ma poi ch’egli ebbe ben preso il mio regno, divenne avaro e senza coscienza, simulatore e d’altri vizi pregno. Al tempo suo la umana semenza vita recoverò col benedetto sangue, che sparse la somma Potenza. Qui ti vo’ dir, perché ti sia diletto, Pilato fe’ confinare a Vienna, dove s’uccise d’ira e di dispetto. E non vo’ che rimanga ne la penna ch’Erode ed Erodiade lá moriro sí pover, che vendero e gonna e benna. Ma di quel ch’or dirò ancor sospiro: finí Ovidio, nel tempo ch’io dico, in esilio cacciato del mio giro. Diciott’anni fu meco questo antico e, facendo in Campagna sua dimora, provò il velen quant’è del cor nemico. Dopo costui fu dato il mio allora al suo nipote Gaio scelerato, del qual parlar m’è gran dispetto ancora. Superbo il vidi, avaro e dispietato e di lussuria sí acceso e pieno, che ne la propia carne usò il peccato. Bestia dir puossi, ché fu senza freno; ed el cosí come bestia fu morto e quattro anni mi tenne o poco meno. A Claudio poi fu il mio tesoro porto: qui Pietro a seminar quel seme venne, che poi fe’ sí buon frutto nel mio orto. Otto anni e sei questo signor mi tenne, lo qual Bretagna con l’isole Arcade ritornar fece sotto le mie penne. 45 Ben dèi pensar che sí lungi contrade non s’acquistâr, che non vi fosser molte battaglie gravi e piú colpi di spade. E benché or sian disoneste e sciolte le mie parole e la novella strana, 50 nondimen voglio che tu qui m’ascolte. Una donna ebbe costui, Messalana, tanto lussuriosa, che palese con l’altre lupe stava ne la tana. Cosí la trista il suo onore offese; 55 cosí la trista il suo signore abassa, né mai di cotal fallo si riprese, e, per quel che si parla e si compassa, a cosí fatto vizio mai costei non fu veduta sazia, ma sí lassa. 60 Or qui è bel tacere omai di lei, ché troppo è lungo a dir ciò che si dice di questo fallo e de gli altri suoi rei. In questo tempo apparve la fenice in Egitto, la qual veduta fue 65 prima in Arabia per piú lunga vice. Cinquecento anni vive e ancor piue e, quando a la fin sua apressa, questa si chiude ove arde poi le membra sue. Il collo ha che par d’oro, e la sua testa, 70 sí bel, ch’abbaglia altrui col suo splendore e, per corona, una leggiadra cresta. Il petto paoneggia d’un colore di porpora e il dosso suo par foco e com’aguglia è grande e non minore. 75 Tutti i nobil colori a loco a loco fra le sue penne ha sí ben ritratto, che ’l pavon vi parrebbe men che poco. E perché noti ben ciascun suo fatto, un vermicel de la cenere nasce, lo qual, crescendo, trasforma in questo atto. Incenso e mirra è quello onde si pasce; e sappi ben che mai non è piú d’una; castitá guarda ne le belle fasce. Ma qui ritorno a dir la mia fortuna, 85 la qual seguio, come udir potrai, acerba e dura quanto mai alcuna. Morto costui di tosco, io mi trovai del dispietato e superbo Nerone, per lo qual caddi di ricchezza assai. 90 De la mia vesta nel piú bel gherone, lassa!, questo crudele il foco mise, seguitando il voler senza ragione. Piú senatori e ’l suo fratello uccise e la sua donna e odi se fu rio, 95 che per lo corpo la madre divise. Lo primo fu che i cristian perseguio e morir fece di veleno ancora Seneca, ch’era del mondo un disio. La fine sua molto mi piacque allora, 100 perché fu tal quale a lui si convenne, ben che ’l ciel troppo a ciò voler dimora, ché tredici anni e piú trista mi tenne. |
Inviato da: cassetta2
il 12/08/2024 alle 08:41
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