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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)
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Terze Rime 21-22
Post n°828 pubblicato il 15 Dicembre 2014 da valerio.sampieri
Terze Rime di Veronica Franco Addelkader Salza, Bari, Laterza 1913 XXI l'armi mie proprie, quelle, onde mi punge la fortuna crudel, che mi faranno? — S'io stessa, col fuggir dal mio ben lunge, sento che 'l duol via più mi s'avvicina, che la partenza mia mel ricongiunge; al mio languir contraria medicina certo avrò preso al vaneggiar del core, che per misera strada m'incamina. Lassa, or mi pento del commesso errore, anzi non mossi così tosto il passo dal dolce loco, ov'abita 'l mio amore, ch'io dissi: — Oimè! dunque è pur ver ch'io lasso quella terra e quell'acque, ove 'l mio sole di splendor rende ogni altro lume casso? — E, se ridir potessi le parole, che volgendomi indietro al caro suolo dissi, qual chi lasciar ciò ch'ama suole, vedrei gli augelli ancor con lento volo seguirmi ad ascoltar il mio lamento, alternando in pia voce il mio gran duolo; vedrei qual già. fermarsi a udirmi 'l vento, e quetar le procelle, e i boschi e i sassi moversi a la pietà del mio tormento. Ma per troppo gridar afflitti e lassi sono i miei spirti, onde già. i pesci e l'onde le mie miserie a meco pianger trassi. Tanta rena non han d'Adria le sponde, quante volte il suo nome allor chiamai, com'or qui 'l chiamo, ov'Eco sol risponde. Co' sospiri arsi e col pianto bagnai l'amate spoglie, e di lui in vece accolte al seno me le strinsi e le basciai, dicendo: — O spoglie, che già. foste avvolte intorno a quelle membra, che da Marte sembrano in forma di Narciso tolte; se 'l ciel mi riconduce in quella parte onde stolta parti', non sarà mai che quinci 'l fermo piè volga in disparte. — Non fu pietra né pianta, ov'io passai, che non piangesse meco, e forse allora non mi dicesse: — Folle! ove ne vai? — Dal cerchio estremo, ove fan la dimora scintillando le stelle, certamente meco pianger mostrár la notte ancora. Ben vidi 'l sol levar chiaro e lucente; ma, perché gli occhi ad abbagliarmi e 'l core un più bel lume impresso avea la mente, scorso del sol mi parve lo splendore; o fu, forse, ch'udendo 'l mio gran pianto, anch'ei si scolorì del mio dolore. Oh com'è privo d'intelletto, e quanto colui s'inganna, che nel patrio nido viver può lieto col suo bene a canto, e va cercando or l'uno or l'altro lido, pensando forse che la lontananza ai colpi sia d'Amor rifugio fido! Fugga pur l'uom, se sa: la rimembranza del caro obbietto sempre gli è d'intorno, anzi porta in cor viva la sembianza. S'io veggo l'alba a noi menar il giorno, mirando i fiori e le vermiglie rose, che le cingon la fronte e 'l crin adorno, — Tal — dico, — è 'l mio bel viso, in cui ripose tutti i suoi doni il cielo, e la natura la sua eccellenza più ch'altrove espose. — Poi, quando scorgo per la notte oscura accendersi là su cotante stelle, Amor, ch'è meco, sì m'afferma e giura che quelle luci in cielo eterne e belle tante non son, quante virtù in colui, che poi crudo del sen l'alma mi svelle. E, per far i miei dì più tristi e bui, dal mio raggio lontan, sempre al cor vivo ho 'l sole ardente, onde pria accesa fui: al qual piangendo e sospirando scrivo. XXII Della signora Veronica Franca [La crudeltà dell'amante l'ha spinta a rifugiarsi in campagna: quivi ogni spettacolo naturale, rivelandole la potenza d'Amore, la richiama alla sua triste sorte e a Venezia, miracolo unico di bellezza; onde sospira il ritorno.] Poi ch'altrove il destino andar mi sforza con quel duol di lasciarti, o mio bel nido, ch'in me più sempre poggia e si rinforza, con quel duol, che nel cor piangendo annido, con la memoria sempre a te ritorno, o mio patrio ricetto amico e fido: e maledico l'infelice giorno, che di lasciarti avennemi; e sospiro la lentezza del pigro mio ritorno. Dovunque gli occhi lagrimando giro, lunge da te, mi sembra orror di morte qualunque oggetto ancor ch'allegro miro. Tutto quel che ristora e gioia apporte, per questi campi e per le piagge amene, reca a me affanno e duol gravoso e forte. L'apriche valli, d'aura e d'odor piene, l'erbe, i rami, gli augei, le fresche fonti, ch'escon da cristalline e pure vene, l'ombrose selve, e i coltivati monti, che da salir son dilettosi e piani, e più facili quant'uom più su monti, e tutto quel, che con industri mani qui l'arte e la natura e 'l ciel opráro, sono per me deserti alpestri e strani. Non può temprar alcun dolce l'amaro ch'io sento de l'acerba dipartita, ch'io fei dal natio loco amato e caro: quivi lasciai nel mio partir la vita, ch'ai piè negletta del mio crudo amante da me giace divisa e disunita. E pur tra questi fiori e queste piante la vo cercando, e di quell'empio l'orme, ch'ovunque io vada ognor mi sta davante. E par ch'io 'l vegga, e poi ch'ei si trasforme or d'un abete, or d'un faggio, or d'un pino, or d'un lauro, or d'un mirto in varie forme; parmelo aver negli occhi da vicino, e le mani a pigliarlo avide stendo, e la bocca a basciarlo gli avicino: in questo lo mio error veggio e comprendo, ché, da l'imaginar e da la speme delusa, un tronco o un sasso abbraccio e prendo. Se cantando posar gioiosi insieme duo augelletti sopra un ramo veggo, con quel desio ch'Amor dolce al cor preme, del mio misero stato, e più m'aveggo che col rimedio de la lontananza, dov'altri non m'aita, invan proveggo. Stan pur duo uccelli in lieta dilettanza, godendo di quel bene unitamente, ch'al lor desire agguaglia la speranza; ne le selve e nei boschi Amor si sente, dal consorzio degli uomini sbandito, tra i bruti, i quai pur s'aman parimente; un concorde voler al dolce invito de la gioia d'amor le fiere tragge, con affetto in duo cori egual partito; per monti e valli e selve e lidi e piagge, quinci e quindi congiunta in modo stretto coppia sen va di due bestie selvagge: e l'uom, dal cielo a dominar eletto tutti gli altri animali de la terra, dotato di ragione e d'intelletto; l'uom, che se non vuol, rado o mai non erra, fa, nei desir d'amor dolci, a se stesso così continua abominosa guerra, sì ch'a lui poi d'amar non è concesso, senza trovar di repugnanti voglie de la persona amata il core impresso. In ciò contrario a le donne si voglie più ch'agli uomini 'l ciel; ch'amano senza sentir quasi in Amor altro che doglie. Far non può de le donne resistenza la natura sì molle ed imbecilla, di Venere del figlio a la potenza; picciol'aura conturba la tranquilla feminil mente, e di tepido foco l'alma semplice nostra arde e sfavilla. E quanto avem di libertà più poco, tanto 'l cieco desir, che ne desvia, di penetrarne al cor ritrova loco; sì che ne muor la donna, o fuor di via esce de la comun nostra strettezza, e per picciolo error forte travia. Quanto a la libertate è manco avezza, tanto in furia maggior l'avien che saglia, s'Amor quei nodi violento spezza; né per poco vien mai che doglia assaglia per tirar il suo amante al suo desio ma ciascun mezzo prova quant'ei vaglia. Così sforzata son di far anch'io, d'amor ne la difficile mia impresa, per ottener il ben ch'amo e desio; e, se ben fatt'a me vien grande offesa, nullo argomento usato in espugnarti, amante ingrato mi rincresce o pesa. Per darti luogo, venni in queste parti, ed al tuo arbitrio di te cassa vivo, sperando in tal maniera d'acquistarti. Qui, dov'è 'l prato verde e chiaro il rivo, venni, e de le dolci onde al roco suono, e degli uccelli al canto e parlo e scrivo. In luogo ameno e dilettevol sono, ma non è quivi l'allegrezza mia, se non quanto di te penso e ragiono; anzi 'l pensar di te dagli occhi invia lagrime amare, e de l'altrui piacere sento più farsi la mia sorte ria. L'altrui gioie d'amor tante vedere a le fiere, agli augelli, ai pesci darsi mi fa nel mio dolor più doglia avere: non può l'invidia mia dentro celarsi, ma con sospiri e pianto, e con lamenti vien per la bocca e gli occhi a disfogarsi. Ben più, che degli altrui dolci contenti, allargo 'l pianto e senza fin mi doglio de l'acerba cagion de' miei tormenti; ma, poi d'ammollir tento un aspro scoglio, che più s'indura, e più s'impietra, quanto più mostro il sospiroso mio cordoglio, e poi che 'l mio dolor ti giova tanto, io mi vivrò, tra queste selve ombrose, sol de la tua memoria e del mio pianto. Qui farà l'ore mie liete e gioiose veder che 'l prato, il poggio, il bosco e 'l fiume dian ricetto a l'altrui gioie amorose; veder per natural dolce costume gli augei, le fiere e i pesci insieme amarsi in modo, che da l'uom non si costume; e senza alcun sospetto insieme andarsi liberamente ovunque Amor gli guide, e l'uno in grembo a l'altro riposarsi. Nulla il gran lor piacer toglie o divide, ma sempre il sommo lor diletto cresce; di che me, con duol mista, invidia uccide. Ecco, che fuor d'un antro, or ch'io parlo, esce coppia felice di due dame snelle, cui sempre star in un sol luogo incresce; e là due rondinette unirsi anch'elle veggo in un ramo verde. Ahi del mio amante voglie contrarie al mio desir rubelle! Dove parlan d'amor l'erbe e le piante, dove i desir d'ognun sono concordi, in quest'almo paese circostante m'addusse Amor, perch'io più mi ricordi, ne la dolcezza de l'altrui venture, dei pensier d'uom crudel dai miei discordi. Né questo accresce sol le mie sventure, per prova intender dai boschi e dai sassi quanto sian meco acerbe le sue cure; ché sempre avanti a la memoria stassi quanto, per fuggir l'odio di colui, da la patria gentil mi dilungassi: da quell'Adria tranquilla e vaga, a cui di ciò che in terra un paradiso adorni non si pareggi alcun diletto altrui: da quei d'intagli e marmo avrei soggiorni, sopra de l'acque edificati in guisa, ch'a tal mirar beltà queto il mar torni; e perciò l'onda dal furor divisa quivi manda a irrigar l'ama cittade del mar reina, in mezzo 'l mar assisa, a' cui piè l'acqua giunta umile cade e per diverso e tortuoso calle s'insinua a lei per infinite strade. Quivi tributo il padre Ocean dàlle d'ogni ricco tesoro, e 'l cielo amico ciascun'altra a lei pon dopo le spalle; sì che nel tempo novo o ne l'antico non fu mai chi tentasse violarla, ch'al pensar sol confuse ogni nemico. Tutto 'l mondo concorre a contemplarla, come miracol unico in natura più bella a chi si ferma a mirarla, e, senza circondata esser di mura, più d'ogni forte innaccessibil parte senza munizion forte e sicura. Quanto per l'universo si comparte d'utile e necessario a l'uman vitto, da tutto l'universo si diparte; ed, a render recato a lei 'l suo dritto, di quel, che in lei non nasce, ella più abonda d'ogni loco al produr atto e prescritto, sì ch'eterna abondanzia la circonda, e di tutti i paesi fruttuosi più ricca è d'Adria l'arenosa sponda. Altro che valli amene o colli ombrosi sembrano d'Adria placida e tranquilla i palagi ricchissimi e pomposi. Il mar e 'l lito quivi arde e sfavilla d'amor, che tra nereidi e semidei quell'acque salse di dolcezza instilla. Venere in cerchio ancor degli altri dèi scende dal ciel su questa bella riva, con l'alme Grazie in compagnia di lei. E senza che più avanti io la descriva, per fortuna noiosa e violenta, gran tempo son di lei rimasta priva: per far la voglia altrui paga e contenta io diparti', sperando alfin quell'ira, se non estinguer, e far tepida e lenta. Or, che quanto si piange o si sospira per me infelice è tutto sparso al vento, ché 'l mio amante la vista altrove gira; poi che 'l crudele ad altro oggetto è intento, perché lontan da la mia patria amata vo facendo più grave il mio tormento? Ma, se t'ho follemente, Adria, lasciata, del cor l'arsura alleviar pensando, dal mio danno veder allontanata, l'ardor più tosto è in ciò gito avanzando, e con la gelosia e col sospetto s'è venuto più sempre riscaldando. L'altrui d'amor goduto a pien diletto per questi campi, e 'l temer che compagna l'empio, a me, non faccia altra del suo letto, e de la patria mia celebre e magna gli alti ornamenti e lo splendor superno qui 'l bosco odiar mi fanno e la campagna: ad Adria col pensier devoto interno ritorno e, lagrimando, espressamente a prova del martìr l'error mio scerno. Ma, se 'l suo fallo scema chi si pente, d'esser da te partita mi pentisco, o mio bel nido, e me ne sto dolente; e, dapoi che non cessa il mio gran risco per lontananza il meglio è ch'io mi mora del gran dolor che per amar soffrisco, senz'a' miei danni aggiunger questo ancora, di far da le mie cose a me più care per tanto spazio sì lunga dimora. Perch'alfin mi risolvo di tornare, e, se non m'è contraria a pien la sorte, se ben un'ora un secolo mi pare, spero tornar in spazio d'ore corte. |
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Inviato da: amistad.siempre
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