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CHIARIMENTI
Le notizie riportate nel presente blog, ove altrimenti non specificato, sono affidate alla memoria dell' autore e non possono pertanto essere considerate degne della minima fede. Ritengo sia mio preciso obbligo morale diffondere bufale, spacciandole per vere e viceversa. Chi si fida di me sbaglia a farlo, ma, volendo, potrebbe prendere spunto da quel bel po' di verità che sarà in grado di trovare in ciò che scrivo, per approfondire l' argomento, se gli interessa, altrimenti, ciccia.
Chi volesse comunque riferirsi a fonti ancor meno affidabili di una vacillante memoria di un incallito bufalaro, potrà consultare Wikipedia o, peggio ancora, la Treccani Online che a Wikipedia spesso rinvia. Degno di considerazione è il fatto che le idiozie di cui Wikipedia è spesso -non sempre, siamo onesti- intrisa fino al midollo sono consultabili gratis, laddove per la redazione della Treccani online lo Stato ha erogato all' ente, presieduto da un non bene amato ex ministro di nome Giuliano, due bei milioncini di euro nostri: che fine avranno fatto? Non c'è alcuna malizia da parte mia, s'intende, nel formulare questa domanda: solo semplice curiosità.
La lettura di questo blog è vivamente sconsigliata a chi ignora cosa sia l'ironia e/o non è in grado di discernere il vero dal falso.
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Piccola biblioteca romanesca (I miei libri in dialetto romanesco)
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Cento sonetti in vernacolo romanesco (di Augusto Marini)
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Il Dittamondo (4-08)
Post n°1001 pubblicato il 08 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
Il Dittamondo di Fazio degli Uberti LIBRO QUARTO CAPITOLO VIII "Omai per questo mar gli occhi disvela, disse la guida mia, se tu disii trovar del filo a tesser la tua tela". E come da Carbasa mi partii, io vidi Eubea, dove Titano regna, che fu fratel del padre de gli dii. Questa a Boezia sí presso si segna, che crede, quando alcuno stran vi passa, che l’una e l’altra insieme si tegna. Poi fui in quella, la qual si compassa tra le Ciclade che piú sia nel mezzo: e questo vede qual di lá trapassa. Al tempo che s’ascose sole e rezzo pel diluvio, che fu sí tenebroso ch’a ricordarlo ancor pare un riprezzo, lo sol, che tanto era stato nascoso, perché prima i suoi raggi lá su sparse, Delos si scrisse e io cosí la chioso. Ancor perché la cotornice apparse in prima lí, che ’n greco ortigia è detta, Ortigia il loco giá nomato parse. La scorta mia non lasciò, per la fretta, di dirmi com la cotornice è strana e iusta a ciò che sua natura aspetta. Apollo, in questa isola, e Diana fun partoriti insieme da Latona, fuggita qui per iscampar piú sana. Poi fui in Chio, del qual si ragiona che ci abbonda di mastice per tutto: e chio, in greco, mastice a dir sona. E ben che degna sia per sí buon frutto, piú per Omero li do pregio e fama, ché quivi il corpo suo giace del tutto. In questo loco ancor rimase grama Adriana da Teseo tradita, cui ella troppo ed ello lei poco ama. Non pur con l’ago e con la calamita e con la carta passava quell’acque, ma come quel, ch’era meco, m’addita. Vidi Paros e il veder mi piacque 40 per lo nobile marmo che vi cova; Paros fu detto quando Minoia tacque. La sarda pietra quivi ancor si trova, la qual tra l’altre gemme è compitata sí vil, che non so dire a che si giova. 45 "Vedi Naxon, disse Solino, e guata ch’a Delos otto e diece miglia è presso: questa per nobil vin fu giá pregiata". Io la mirai ridendo fra me stesso, ricordandomi come Ovidio pone 50 che, andando Bacco per quel luogo stesso, vide Ofelte e vide Etalione cader nel mare ed ebbri andare a gioco Libis, Proreus, Licabas, Medone. E vidi, ricercando a poco a poco, 55 Citerea, la quale è cosí scritta per Venus, che d’amor vi pare un foco. Tra Samo e Miconum io vidi fitta Icaria, a la quale Icaro diè ’l nome: porto non ha, tanto è da’ sassi afflitta. 60 Vidi Melos, dove si dice come nacque Iansone, Filomeno e Pluto: e quest’isola è tonda come un pome. E vidi Samo e quest’è conosciuto per Giuno, per Pitagora e Sibilla, 65 piú che per cosa ch’io v’abbia veduto. Vidi Coos, dove la gran favilla nacque che fece lume a Galieno, per cui al mondo tanto ben distilla. E vidi, ricercando questo seno, 70 Lenno, de la quale ancora si scrive come ogni maschio giá vi venne meno. Piú in vèr levante trovammo le rive di Rodo, dove quel de lo Spedale co’ Turchi in guerra il piú del tempo vive. 75 Qui sospirai e dissi: "Ecco gran male: ché questi pochi son qui per la Fede ed a chi può di loro poco cale". Di lá partiti, sí come procede, navigavamo e io ponea in norma 80 sempre il piú bello che quivi si vede. Noi trovammo uno scoglio in propia forma di nave e per novella dire udio che da quella d’Ulisse prese l’orma. Un sasso sta tra Tenedon e Chio, 85 che Antandro è detto per quei del paese: capra mi parve, quando lo scoprio. Solino qui a ragionar mi prese l’altezza e la natura di monte Atto e durò in fin che de la nave scese. 90 E seguia poi: "De la Grecia t’ho tratto; ma, perché chiaro ciascun punto copoli, è buono udir come ’l paese è fatto. Cinque ci son linguaggi e sette popoli con quei del mar, che vedi che son due: 95 l’un le Ciclade e l’altro è Centopoli". E qui fe’ punto a le parole sue. |
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