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Il Trecentonovelle 3-4

Post n°1257 pubblicato il 22 Febbraio 2015 da valerio.sampieri
 

Il Trecentonovelle
di Franco Sacchetti

NOVELLA III

Parcittadino da Linari vagliatore si fa uomo di corte, e va a vedere lo re Adoardo d'Inghilterra, il qual, lodandolo, ha da lui molte pugna, e poi, biasimandolo, riceve dono.

Lo re Adoardo vecchio d'Inghilterra fu re di gran virtú e fama, e fu tanto discreto che la presente novella ne dimostrerrà in parte. Fu adunque nel suo tempo uno vagliatore a Linari in Valdensa nel contado di Firenze, il quale aveva nome Parcittadino. Venne a costui volontà di lasciare in tutto il vagliare ed esser uomo di corte, e in questo diventò assai sperto; e cosí spermentandosi nell'arte cortigiana, gli venne gran volontà di andare a vedere il detto re Adoardo; e non sine quare , ma perché avea udito molto delle sue magnanimità, e spezialmente verso li suoi pari. E cosí pensato, una mattina si misse in cammino, e non ristette mai che elli pervenne in Inghilterra alla città di Londra, dove lo re dimorava; e giunto al palagio reale, dove il detto re dimorava, di porta in porta trapassando, giunse nella sala, dove lo re il piú del tempo facea residenza; e trovollo fiso giucare a scacchi con lo gran dispensiere.
Parcittadino, giunto dinanzi al re, inginocchiandosi con le reverenti raccomandazioni, quella vista o quella mutazione fece il re come prima che giugnesse: di che stette Parcittadino per grande spazio in tal maniera. E veggendo che lo re alcun sembiante non facea, si levò in piede e cominciò a dire:
- Benedetto sia l'ora e 'l punto che qui m'ha condotto, e dove io ho sempre desiderato, cioè di vedere il piú nobile e 'l piú prudente e 'l piú valoroso re che sia fra cristiani; e ben mi posso vantare piú che altro mie pari, dappoi che io sono in luogo dove io veggio il fiore di tutti li altri re. O quanta gloria mi ha conceduta la fortuna! ché oggimai, se io morisse, con poca doglia verrei a quel passo, dappoi che io sono innanzi a quella serenissima corona la quale, come calamita tira il ferro, cosí con la sua virtú tira ciascuno con desiderio a veder la sua dignità.
Appena ebbe insino a qui Parcittadino condotto il suo sermone, che lo re si levò dal giuoco, e piglia Parcittadino, e con le pugna e calci, cacciandolo per terra, tante gliene diede che tutto il pestò; e fatto questo, subito ritornò al giuoco delli scacchi. Parcittadino assai tristo, levandosi di terra, appena sapea dove si fosse; parendoli aver male spesi i passi suoi, e similmente le lode date al re, si stava cosí tapino, non sapendo che si fare. E pigliando un po' di cuore, volle provare se, dicendo il contrario al re, gliene seguisse meglio, da che per lo ben dire glien'era colto male; incominciando a dire:
- Maladetto sia l'ora e 'l dí che in questo luogo mi condusse, che credendo esser venuto a vedere un nobile re, come la fama risuona, e io sono venuto a vedere un re ingrato e sconoscente: credea esser venuto a vedere un re virtuoso, e io sono venuto a vedere un re vizioso: credea esser venuto a vedere un re discreto e sincero, e io sono venuto a vedere un re maligno, pieno di nequizia: credea esser venuto a vedere una santa e giusta corona, e io ho veduto costui che male per ben guiderdona; e la prova il dimostra, che me piccola creatura, magnificando e onorando lui, m'ha sí concio ch'io non so se mai potrò piú vagliare, se mai al mio mestiero antico ritornare mi convenisse.
Lo re si lieva la seconda volta piú furioso che la prima, e va a una porta, e chiama un suo barone. Veggendo questo Parcittadino, qual elli diventò non è da domandare, però che parea un corpo morto che tremasse, e s'avvisò essere dal re ammazzato; e quando udí lo re chiamare quel barone, credette chiamasse qualche justiziere che lo crucifiggesse.
Giunto il barone chiamato dal re, lo re gli disse:
- Va', da' la cotal mia vesta a costui, e pagalo della verità, ch'io l'ho ben pagato della bugia io.
Il barone va subito, e recò a Parcittadino una robba reale delle piú adorne che lo re avesse, con tanti bottoni di perle e pietre preziose che, sanza le pugna e' calci ch'egli ebbe, valea fiorini trecento o piú. E continuo sospettando Parcittadino che quella robba non fosse serpe o badalischio che 'l mordesse, a tentone la ricevette. Dappoi rassicuratosi e messasela indosso, e dinanzi allo re si appresentò, dicendo:
- Santa corona, qualora voi mi volete pagare a questo modo delle mie bugie, io dirò rade volte il vero.
E conobbe lo re per quello che avea udito, e lo re ebbe piú diletto di lui.
Dappoi, stato quello che gli piacque, prese commiato e dal re si partí, tenendo la via per la Lombardia; dove andò ricercando tutti li signori, raccontando questa novella, la quale gli valse piú di altri fiorini trecento; e tornossi in Toscana, e andò a rivedere con quella robba gli suoi parenti vagliatori da Linari, tutti polverosi di vagliatura e poveri; li quali maravigliandosi, Parcittadino disse loro:
- Tra molte pugna e calci fui in terra, poi ebbi questa robba in Inghilterra.
E fece bene a assai di loro; poi si partí e andò a procacciare sua ventura.
Questa fu cosí bella cosa a uno re, come potesse avvenire. E quanti ne sono che, essendo lodati come questo re, non avessono gonfiato le gote di superbia? Ed elli sappiendo che quelle lode meritava, volle dimostrare che non era vero, usando nella fine tanta discrezione. Assai ignoranti, essendo lodati nel loro cospetto da piasentieri, se lo crederanno; costui, essendo valoroso, volle dimostrare il contrario.


NOVELLA IV

Messer Bernabò signore di Melano comanda a uno abate che lo chiarisca di quattro cose impossibili; di che uno mugnaio, vestitosi de' panni dello abate, per lui le chiarisce in forma che rimane abate e l'abate rimane mugnaio.

Messer Bernabò signore di Melano, essendo trafitto da un mugnaio con belle ragioni, gli fece dono di grandissimo benefizio. Questo signore ne' suoi tempi fu ridottato da piú che altro signore; e come che fosse crudele, pur nelle sue crudeltà avea gran parte di justizia. Fra molti de' casi che gli avvennono fu questo, che uno ricco abate, avendo commesso alcuna cosa di negligenza di non avere ben notricato due cani alani, che erano diventati stizzosi, ed erano del detto signore, li disse che pagasse fiorini quattromila. Di che l'abate cominciò a domandare misericordia. E 'l detto signore, veggendolo addomandare misericordia, gli disse:
- Se tu mi fai chiaro di quattro cose, io ti perdonerò in tutto; e le cose son queste che io voglio che tu mi dica: quanto ha di qui al cielo; quant'acqua è in mare; quello che si fa in inferno; e quello che la mia persona vale.
Lo abate, ciò udendo, cominciò a sospirare, e parveli essere a peggior partito che prima; ma pur, per cessar furore e avanzar tempo, disse che li piacesse darli termine a rispondere a sí alte cose. E 'l signore gli diede termine tutto il dí sequente; e come vago d'udire il fine di tanto fatto, gli fece dare sicurtà del tornare.
L'abate, pensoso, con gran malenconia, tornò alla badía, soffiando come un cavallo quando aombra; e giunto là, scontrò un suo mugnaio, il quale, veggendolo cosí afflitto, disse:
- Signor mio, che avete voi che voi soffiate cosí forte?
Rispose l'abate:
- Io ho ben di che, ché 'l signore è per darmi la mala ventura se io non lo fo chiaro di quattro cose, che Salamone né Aristotile non lo potrebbe fare.
Il mugnaio dice:
- E che cose son queste?
L'abate gli lo disse.
Allora il mugnaio, pensando, dice all'abate:
- Io vi caverò di questa fatica, se voi volete.
Dice l'abate:
- Dio il volesse.
Dice il mugnaio:
- Io credo che 'l vorrà Dio e' santi.
L'abate, che non sapea dove si fosse, disse:
- Se 'l tu fai, togli da me ciò che tu vuogli, ché niuna cosa mi domanderai, che possibil mi sia, che io non ti dia.
Disse il mugnaio:
- Io lascerò questo nella vostra discrizione.
- O che modo terrai? - disse l'abate.
Allora rispose il mugnaio:
- Io mi voglio vestir la tonica e la cappa vostra, e raderommi la barba, e domattina ben per tempo anderò dinanzi a lui, dicendo che io sia l'abate; e le quattro cose terminerò in forma ch'io credo farlo contento.
All'abate parve mill'anni di sustituire il mugnaio in suo luogo; e cosí fu fatto.
Fatto il mugnaio abate, la mattina di buon'ora si mise in cammino; e giunto alla porta, là dove entro il signore dimorava, picchiò, dicendo che tale abate voleva rispondere al signore sopra certe cose che gli avea imposte. Lo signore, volontoroso di udire quello che lo abate dovea dire, e maravigliandosi come sí presto tornasse, lo fece a sé chiamare: e giunto dinanzi da lui un poco al barlume, facendo reverenza, occupando spesso il viso con la mano per non esser conosciuto, fu domandato dal signore se avea recato risposta delle quattro cose che l'avea addomandato.
Rispose:
- Signor sí. Voi mi domandaste: quanto ha di qui al cielo. Veduto appunto ogni cosa, egli è di qui lassú trentasei milioni e ottocento cinquantaquattro mila e settantadue miglia e mezzo e ventidue passi.
Dice il signore:
- Tu l'hai veduto molto appunto; come provi tu questo?
Rispose:
- Fatelo misurare, e se non è cosí, impiccatemi per la gola. Secondamente domandaste: quant'acqua è in mare. Questo m'è stato molto forte a vedere, perché è cosa che non sta ferma, e sempre ve n'entra; ma pure io ho veduto che nel mare sono venticinque milia e novecento ottantadue di milioni di cogna e sette barili e dodici boccali e due bicchieri.
Disse il signore:
- Come 'l sai?
Rispose:
- Io l'ho veduto il meglio che ho saputo: se non lo credete, fate trovar de' barili, e misurisi; se non trovate essere cosí, fatemi squartare. Il terzo mi domandaste quello che si faceva in inferno. In inferno si taglia, squarta, arraffia e impicca, né piú né meno come fate qui voi.
- Che ragione rendi tu di questo?
Rispose:
- Io favellai già con uno che vi era stato, e da costui ebbe Dante fiorentino ciò che scrisse delle cose dell'inferno; ma egli è morto; se voi non lo credete, mandatelo a vedere. Quarto mi domandaste quello che la vostra persona vale; e io dico ch'ella vale ventinove danari.
Quando messer Bernabò udí questo, tutto furioso si volge a costui, dicendo:
- Mo ti nasca il vermocan; sono io cosí dappoco ch'io non vaglia piú che una pignatta?
Rispose costui, e non sanza gran paura:
- Signor mio, udite la ragione. Voi sapete che 'l nostro Signore Jesú Cristo fu venduto trenta danari; fo ragione che valete un danaro meno di lui.
Udendo questo il signore, immaginò troppo bene che costui non fosse l'abate, e guardandolo ben fiso, avvisando lui esser troppo maggiore uomo di scienza che l'abate non era, disse:
- Tu non se' l'abate.
La paura che 'l mugnaio ebbe ciascuno il pensi; inginocchiandosi con le mani giunte, addomandò misericordia, dicendo al signore come egli era mulinaro dell'abate, e come e perché camuffato dinanzi dalla sua signoria era condotto, e in che forma avea preso l'abito, e questo piú per darli piacere che per malizia.
Messer Bernabò, udendo costui, disse:
- Mo via, poi ch'ello t'ha fatto abate, e se' da piú dí lui, in fé di Dio, e io ti voglio confirmare, e voglio che da qui innanzi tu sia l'abate, ed ello sia il mulinaro, e che tu abbia tutta la rendita del monasterio, ed ello abbia quella del mulino.
E cosí fece ottenere tutto il tempo che visse che l'abate fu mugnaio, e 'l mugnaio fu abate.
Molto è scura cosa, e gran pericolo, d'assicurarsi dinanzi a' signori, come fe' questo mugnaio, e avere quello ardire ebbe lui. Ma de' signori interviene come del mare, dove va l'uomo con grandi pericoli, e ne' gran pericoli li gran guadagni. Ed è gran vantaggio quando il mare si truova in bonaccia, e cosí ancora il signore: ma l'uno e l'altro è gran cosa di potersi fidare, che fortuna tosto non venga.
Alcuni hanno già detto essere venuta questa, o simil novella, a... papa, il quale, per colpa commessa da un suo abate, li disse che li specificasse le quattro cose dette di sopra, e una piú, cioè: qual fosse la maggior ventura che elli mai avesse aúto. Di che l'abate, avendo rispetto della risposta, tornò alla badía, e ragunati li monaci e' conversi, infino al cuoco e l'ortolano, raccontò loro quello di che avea a rispondere al detto papa; e che a ciò gli dessono e consiglio e aiuto. Eglino, non sappiendo alcuna cosa che si dire, stavano come smemorati: di che l'ortolano, veggendo che ciascheduno stava muto, disse:
- Messer l'abate, però che costoro non dicono alcuna cosa, e io voglio esser colui e che dica e che faccia, tanto che io credo trarvi di questa fatica; ma datemi li vostri panni, sí che io vada come abate, e di questi monaci mi seguano; e cosí fu fatto.
E giunto al papa, disse dell'altezza del cielo esser trenta voci. Dell'acqua del mare disse: "Fate turare le bocche de' fiumi, che vi mettono entro, e poi si misuri". Quello che valea la sua persona, disse: "Danari ventotto"; ché la facea due danari meno di Cristo, ché era suo vicario. Della maggior ventura ch'egli avesse mai, disse: "Come d'ortolano era diventato abate"; e cosí lo confermò. Come che si fosse, o intervenne all'uno e all'altro, o all'uno solo, e l'abate diventò o mugnaio o ortolano.

 
 
 
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