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« Ecco pena dogliosaMuzzarelli o Benalio »

Canzone, Canzonetta, Ode

Canzone; canzonetta: la canzone è una forma lirica italiana, di origine provenzale (prov. chansos - lat. cantio).
Variamente conformata dapprima, essa trovò il suo legislatore in Dante, il quale, nel capitolo della Volgare eloquenza, destinato a chiarirne il carattere, a fissarne le leggi, dopo aver detto che la canzone è la compiuta azione di colui che detta parole armonizzate ed atte al canto, la definisce più precisamente una congiunzione di stanze e chiama la stanza una compagine di versi e di sillabe; il poeta discorre poi delle divisioni della stanza, del numero, della qualità, dei versi, delle relazioni tra le rime; e le regole esposte illustra di copiosi esempi. - Il Petrarca, senza allontanarsi dalle leggi stabilite nella Volgare eloquenza, modificò in qualche parte l’organismo della canzone, per renderla più armoniosa, più agile e più adatta a riprodurre i vari affetti dell’animo suo.
Dopo Dante e il Petrarca, considerata nella sua forma più comune e più perfetta, la Canzone si può definire costituita di un numero non determinato di stanze, formate di un numero non determinato di versi endecasillabi e settenari, variamente disposti e variamente rimati. Ciascuna stanza può essere divisa in due parti: la fronte e la sirima (da una voce greca che significa strascico, coda); e nell'una e nell’altra si possono trovare suddivisioni di periodi minori, detti piedi e volte, collegati o indipendenti tra loro nell’ ordine delle rime. La Canzone italiana è spesso, come la provenzale, conchiusa dal commiato o congedo, che designa più chiaramente la persona a cui la lirica è rivolta, o ne compendia gli intendimenti e lo scopo: è una stanza più breve delle altre che, per la qualità dei versi e per l’ordine delle rime, corrisponde di solito all’ultima parte della strofa precedente.
Usata dai più antichi rimatori italiani, definita da Dante ecccellentissimum modum cantionum, la più propria, cioè, a rappresentare i pensieri più nobili e più gagliardi: prescelta dai poeti dello stil nuovo per dichiarare e diffondere le più sottili e più squisite dottrine d’amore: nobilitata dal Petrarca con argomenti non pure amorosi, ma morali e politici, la Canzone fiorì largamente nel sec. XIV, e prevalse a tutti gli altri metri lirici.
Decaduta nel periodo di rinascimento della cultura classica, risorse coi petrarchisti, e trovò nel Guidiccioni e nel Tasso chi le restituì l’antico splendore, pur conservandone l’organismo e le leggi metriche tradizionali; partecipò, nel seicento, al decadimento d’ ogni forma di arte, perdendo quella temperata e misurata armonia delle parti, che ne aveva formato la grazia e la bellezza. Ma il Chiabrera, il Testi, il Guidi, il Filicaia ne nobilitarono l’uso, la tolsero ai vincoli di norme troppo regolari e determinate, e le diedero così maggiore agilità e maggiore larghezza di ritmo. Infine Giacomo Leopardi alla canzone, interamente libera da leggi, impresse un carattere schiettamente personale.
La Canzonetta può essere considerata una varietà della canzone. Diversa da questa, soltanto pel nome in alcuni tra i rimatori italiani più antichi, designò, in altri, un componimento lirico d’argomento più umile, di intonazione più popolare, costituito di stanze e di versi di più breve misura. Raramente trattata sino al cinquecento e ristretta sempre all’uso popolare, il Chiabrera ne nobilitò nel seicento le origini, ne costituì nuovi esemplari, felicemente variati nella misura e nella cadenza del verso, nella disposizione delle rime, e rese così la Canzonetta più adatta alle esigenze della musica e del canto. Usata e abusata dall’Arcadia, elegantemente coltivata dal Rolli e dal Metastasio, nel rinnovamento della poesia italiana mutò col Parini di contenuto e di nome, e diventò, nelle Odi di lui, espressione efficace d’una robusta e sana lirica civile. V. Ode.
Cfr: il De Vulgari Eloq. di DANTE, Il; i
Manuali cit. dcl CASINI o del GUARNERIO e
inoltre D'Ovimo. lllr’trir‘a della canzone dan
tesca in Saggi Critici. Napoli, Morano, 1878, e saggi sulla c. del Biadene.

Ode: è la canzonetta melica, rinnovata di contenuto e di metro nella seconda metà, del secolo XVIII, specialmente per opera di Giuseppe Parini, che la foggiò variamente, costituendo la strofa di versi settenarî od ottonari, piani o sdruccioli, sciolti o rimati, inserendo tra essi, talvolta, anche l’endlecasillabo e sostituendo talora all’unica strofa la strofa doppia, costituita da due periodi eguali, conchiusi ciascuno da un verso tronco di rima conforme, come nell’ode pariniana Il Pericolo:

In vano in van la chioma
Deforme di canizie
E l’anima già doma
Da i casi, e fatto rigido
Il senno dall’età,

Si crederà che scudo
Sien contro ad occhi fulgidi,
A mobil seno, a nudo
Braccio e a l’altre terribili
Arme de la beltà.

Tra i poeti che più usarono l’ode, variandone lo schema metrico e nelle rime e nella misura del verso, ricordiamo il Foscolo, che scrisse le due bellissime odi All’amica risanata e a Luisa Pallavicino: il Monti nell'ode Al signor di Montgolfier: il Manzoni negli Inni sacri: il Mameli, l’autore dell’inno popolare Fratelli d’Italia, L’Italia s’è desta....., e più recentemente il Prati e il Carducci, ecc.
Cfr. Guarnerio: Manuale di versificaz. ital., Milano, Vallardi, 1893; BERTOLDI, Le Odi di G. Parini, illustrate e commentate, Firenze. Sansoni. 1890 (v. le notizie metriche preposte a ciascuna ode).

Tratto da: Prof. Vittorio Turri del R. Liceo T. Tasso di Roma. Dizionario Storico Manuale della Letteratura Italiana (1000-1900) Compilato ad uso delle Persone colte e delle Scuole. 4^ Edizione - 4° Migliaio con un’Appendice bibliografica. Ditta G. B. Paravia e Comp. (Figli di I. Vigliardi-Paravia) Torino-Roma-Milano-Firenze-Napoli, pagina 53 e 242.

Canzoni.
a) Canzoni filosofiche, morali, storiche.
"Tutto quello che dalla cima delle teste degli illustri poeti è disceso alle loro labbra, solamente nelle canzoni si ritruova. E però al proposito è manifesto che quelle cose che sono degne di altissimo volgare, si denno trattare nelle canzoni." (Dante, De Vulg. El. Lib. II, cap. ITI).
"La veste dell'alta poesia filosofica e mistica" - come la dice il Carducci - "la più antica e più notevole delle forme liriche italiane, fu adoperata in ogni tempo per 1' espressione dei pensieri più nobili e dei sentimenti più elevati. Nel sec. XV ebbe un momento di decadenza." (Casini. - V. anche D'Ovidio, Saggi critici, p. 416 e segg. ).
Sec. XIII: pag. 1, 4, io, 16, 17, 96, 104, 124, 133, 180, 185. 193, 250, 264, 310, 330.
Sec. XIV: pag. 35, 40, 59, 66, 76, 91, 98, 116, 126, 129, 148, 163, 170, 191, 256, 298, 315, 326, 334.
Sec. XV: pag. 5, 31. 52, 210, 252.
b) Canzoni a ballo o ballate, barzellette, frottole.
"Le canzoni fanno per se stesse tutto quello che denno, il che le ballate non fanno, perciò che hanno bisogno di sonatori ai quali sono fatte : adunque seguita che le canzoni siano da essere stimate più nobili delle ballate." (Dante, De Vulg. El. Lib. II, cap. III).
"Questi componimenti che in Toscana si dicevano canzoni a ballo, si chiamarono barzellette nell' Italia superiore e il nome si diffuse poi dovunque e si compresero anche sotto la più generica appellazione ài frottole. Salite dalle piazze e dai trivi nelle aule dei signori e cantate sulla lira nelle feste e nei ritrovi furono assai accolte alla società elegante dell' estremo quattrocento. (Rossi. - 'V. anche Flamini, Studi di storia leti. Hai. e straniera).
"In Italia - dice il Carducci - la ballata riceve l'ultima e tipica forma tra le feste del popolo toscano a cielo scoperto. Allo svelto e gaio epodo, al facile svolgersi delle strofe per due mutazioni medie nella volta finale dove torna sempre la stessa armonia e rima, mostra bene eh' ella dovesse essere cantata dai danzatori stessi in ballando, o cantata da un altro dovesse temperare i giri del ballo... e divenne la forma della poesia più sensibile e colorita, comune al popolo ed ai borghesi non che ai poeti propriamente detti quando al popolo si voleano accostare... Ebbe nel dugento due maniere diverse, la fantastica e malinconicamente severa del Cavalcanti, la imaginosa e mollemente florida di Lapo Gianni... nel secolo XIV le ballate appena composte eran rivestite di note musicali e correano dall' un capo all'altro d' Italia e in Inghilterra e in Francia...
Con lo scader dei costumi la ballata perde di quell' ideale cbe al tempo di Dante si riflettea sin nella forma sensibile, sempre più facendosi volgare, senza però scapitare di grazia, di gaiezza, d'amenità, finché Franco Sacchetti l'avvezzò burlesca o raotteggevole. Nel quattrocento fini di liberarsi da certe soggezioni della letteratura dotta e a questo punto la presero il Medici e il Poliziano...
Dopo il quattrocento non ebbe più propria e vera vita. ,,
Sec. XIII: pag. 25, 26, 71, 64, 117, 140, 147, 174, 195, 233, 238, 241, 243, 266, 295, 323.
Sec. XIV: pag. 13, 15. 20 32, 43, 75, 119, 120.148,153, 157, 169, 184. 199, 200, 202, 204, 225, 232, 23S, 235, 277, 282, 286, 295, 308, 309.
Sec. XV: pag, 27, 107, 154, lói, 172, 189. 242.

Tratto da: "Lirica italiana antica, novissima scelta di rime dei secoli decimoterzo, decimoquarto, e decimoquinto; illustrate con melodie del tempo e con note dichiarative", di Eugenia Levi (1876-?), Firenze, Bemporad 1908, pagina XVIII.

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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