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Rime eteree 11-20

Post n°1849 pubblicato il 19 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

XI

I freddi e muti pesci avezzi omai
ad arder sono, ed a parlar d' amore,
e tu Nettuno, e tu Anfitrite or sai
come rara bellezza allacci un core,

da che 'n voi lieto spiega i dolci rai
il Sol che fu di queste sponde onore:
il chiaro Sol, cui più devete assai
ch' a l' altro uscito del sen vostro fuore.

Ché quegli ingrato, a cui non ben soviene
com' è da voi cortesemente accolto,
v' invola il meglio, e lascia il salso e 'l greve.

Ma questi con le luci alme e serene
v' affina, e purga e rende il dolce e 'l lieve,
e molto più vi dà che non v' è tolto.

XII

Erbe felici, che già in sorte aveste
di vento in vece, e di temprato sole,
il raggio di duo luci accorte oneste,
e l' aura di dolcissime parole;

che già dal bianco piè presse cresceste,
e qualor più la terra arsa si duole,
pronta a scemar il vostro ardor vedeste
la bella man, che i cori accender suole;

ben sete dono aventuroso e grato,
ond' addolcisco il molto amaro, e sazio
il digiuno amoroso a pieno i' rendo.

Già novo Glauco in ampio mar mi spazio
d' immensa gioia, e 'l mio mortale stato
posto in oblio, divina forma i' prendo.

XIII

Poi che madonna sdegna
fuor d' ogni suo costume
volger in me de' suoi begli occhi il sole,
qualch' arte, Amor, m' insegna,
ond' io del vago lume
alcun bel raggio ascosamente invole,
e gli occhi egri console.
Né giusto fia che teco ella se 'n doglia:
ché se furommi il core,
fia 'l mio furto minore
quando in dolce vendetta un guardo i' toglia.

XIV

Amor l' alma m' allaccia
di dolci aspre catene:
né mi doglio io perciò, ma ben l' accuso
che mi leghi ed affrene
la lingua, acciò ch' io taccia
anzi a madonna timido e confuso,
e 'n mia ragion deluso.
Sciogli pietoso Amore
la lingua, e se non vuoi
che mi stringa un sol men de' lacci tuoi,
tanti n' aggiungi in quella vece al core.

XV

Aura, ch' or quinci intorno scherzi, e vole
fra 'l verde crin de' mirti e de gli allori,
a destando ne' prati i vaghi fiori
con dolce furto un caro odor n' invole;

deh se pietoso spirto in te mai suole
svegliarsi, lascia i tuoi lascivi errori,
e colà drizza l' ali, ove Licori
stampa in riva del Po gigli e viole.

E nel tuo molle sen questi sospiri
reca, e queste querele alte amorose
là 've già prima i miei pensier n' andaro.

Potrai poi quivi a le vermiglie rose
involar di sue labra odor più caro,
e riportarlo in cibo a' miei desiri.

XVI

Chi di non pure fiamme acceso ha 'l core,
e lor ministra esca terrena immonda,
chiuda l' incendio in parte ima e profonda,
sì che favilla non n' appaia fuore.

Ma chi infiammato d' un celeste ardore
d' ogni macchia mortal si purga e monda,
ragion non è che 'l nobil foco asconda
chiuso nel sen: né tu 'l consenti, Amore.

Ché s' altri (tua mercé) s' affina e terge,
vuoi che 'l mondo il conosca, e ch 'indi impare
quanto in virtù di duo begli occhi puoi.

E s' alcun pur il cela, insieme i tuoi
più degni fatti in cieco oblio sommerge,
e de l' alte tue glorie invido appare.

XVII

Vedrò da gli anni in mia vendetta ancora
far di queste bellezze alte rapine;
vedrò starsi negletto il bianco crine,
ch' ora l' arte e l' etate increspa e 'ndora;

e 'n su le rose, ond' ella il viso infiora,
sparger il verno poi nevi e pruine:
così 'l fasto e l' orgoglio avrà pur fine
di costei, ch' odia più chi più l' onora.

Sol rimarranno allor di sua bellezza
penitenza e dolor, mirando sparsi
suoi pregi, e farne il Tempo a sé trofei.

E forse fia ch' ov' or mi sdegna e sprezza,
poi brami accolta dentro a' versi miei
quasi in rogo Fenice rinovarsi.

XVIII

Quando avran queste luci e queste chiome
perduto l' oro e le faville ardenti,
e di tua beltà l' arme or sì pungenti
saran dal tempo rintuzzate e dome;

fresche vedrai le piaghe mie, né come
in te le fiamme, in me gli ardori spenti,
e rinovando gli amorosi accenti
rischiarerò la voce al tuo bel nome;

e quasi in specchio, che 'l difetto emende
de gli anni, ti fian mostre entro a' miei carmi
le tue bellezze in nulla parte offese.

Fia noto allor ch' a lo spuntar de l' armi
piaga non sana, e ch' esca un foco apprende
che vive quando spento è chi l' accese.

XIX

Quando vedrò nel verno il crine sparso
aver di neve e di pruine algenti,
e 'l seren de' miei dì lieti e ridenti
col fior de gli anni miei fuggito e sparso;

non sarò punto al tuo bel nome scarso
de le mie lodi e de gli usati accenti
né da gel de l' età fiano in me spenti
quegli incendi amorosi, ond' or son arso.

Anz' io, ch' or sembro augel palustre e roco,
cigno parrò lungo il tuo nobil fiume,
che già l' ore di morte abbia vicine.

E quasi fiamma, che vigore e lume
ne l' estremo riprenda anzi 'l suo fine,
risplenderà più chiaro il mio bel foco.

XX

Chi chiuder brama a' pensier vil il core
apra in voi gli occhi, e i doni in mille sparsi
uniti in voi contempli, e 'n lui crearsi
sentirà nove voglie e novo amore.

Ma se scender nel seno estremo ardore
sente da' lumi di pietà sì scarsi,
non s' arretri o difenda, ove in ritrarsi
non è salute o in far difesa onore.

Anzi, sì come già vergini sacre
nobil fiamma nutrir, tal egli sempre
esca rinovi al suo vivace foco:

ché dolcezze soffrendo amare ed acre,
e quasi Alcide ardendo a poco a poco
cangerà, fatto Dio, natura e tempre.

Torquato Tasso

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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