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Canzoniere petrarchesco 18

Post n°1856 pubblicato il 21 Luglio 2015 da valerio.sampieri
 

Canzoniere petrarchesco

121

Or vedi, Amor, che giovenetta donna
tuo regno sprezza, et del mio mal non cura,
et tra duo ta' nemici è sí secura.

Tu se' armato, et ella in treccie e 'n gonna
si siede, et scalza, in mezzo i fiori et l'erba,
ver' me spietata, e 'n contra te superba.

I' son pregion; ma se pietà anchor serba
l'arco tuo saldo, et qualchuna saetta,
fa di te et di me, signor, vendetta.


122

Dicesette anni à già rivolto il cielo
poi che 'mprima arsi, et già mai non mi spensi;
ma quando aven ch'al mio stato ripensi,
sento nel mezzo de le fiamme un gielo.

Vero è 'l proverbio, ch'altri cangia il pelo
anzi che 'l vezzo, et per lentar i sensi
gli umani affecti non son meno intensi:
ciò ne fa l'ombra ria del grave velo.

Oïme lasso, e quando fia quel giorno
che, mirando il fuggir degli anni miei,
esca del foco, et di sí lunghe pene?

Vedrò mai il dí che pur quant'io vorrei
quel'aria dolce del bel viso adorno
piaccia a quest'occhi, et quanto si convene?


123

Quel vago impallidir che 'l dolce riso
d'un'amorosa nebbia ricoperse,
con tanta maiestade al cor s'offerse
che li si fece incontr'a mezzo 'l viso.

Conobbi allor sí come in paradiso
vede l'un l'altro, in tal guisa s'aperse
quel pietoso penser ch'altri non scerse:
ma vidil' io, ch'altrove non m'affiso.

Ogni angelica vista, ogni atto humile
che già mai in donna ov'amor fosse apparve,
fôra uno sdegno a lato a quel ch'i' dico.

Chinava a terra il bel guardo gentile,
et tacendo dicea, come a me parve:
Chi m'allontana il mio fedele amico?


124

Amor, Fortuna et la mia mente, schiva
di quel che vede e nel passato volta,
m'affligon sí, ch'io porto alcuna volta
invidia a quei che son su l'altra riva.

Amor mi strugge 'l cor, Fortuna il priva
d'ogni conforto, onde la mente stolta
s'adira et piange: et cosí in pena molta
sempre conven che combattendo viva.

Né spero i dolci dí tornino indietro,
ma pur di male in peggio quel ch'avanza;
et di mio corso ò già passato 'l mezzo.

Lasso, non di diamante, ma d'un vetro
veggio di man cadermi ogni speranza,
et tutti miei pensier' romper nel mezzo.


125

Se 'l pensier che mi strugge,
com'è pungente et saldo,
cosí vestisse d'un color conforme,
forse tal m'arde et fugge,
ch'avria parte del caldo,
et desteriasi Amor là dov'or dorme;
men solitarie l'orme
fôran de' miei pie' lassi
per campagne et per colli,
men gli occhi ad ognor molli,
ardendo lei che come un ghiaccio stassi,
et non lascia in me dramma
che non sia foco et fiamma.

Però ch'Amor mi sforza
et di saver mi spoglia,
parlo in rime aspre, et di dolcezza ignude:
ma non sempre a la scorza
ramo, né in fior, né 'n foglia
mostra di for sua natural vertude.
Miri ciò che 'l cor chiude
Amor et que' begli occhi,
ove si siede a l'ombra.
Se 'l dolor che si sgombra
aven che 'n pianto o in lamentar trabocchi,
l'un a me nòce et l'altro
altrui, ch'io non lo scaltro.

Dolci rime leggiadre
che nel primiero assalto
d'Amor usai, quand'io non ebbi altr'arme,
chi verrà mai che squadre
questo mio cor di smalto
ch'almen com'io solea possa sfogarme?
Ch'aver dentro a lui parme
un che madonna sempre
depinge et de lei parla:
a voler poi ritrarla
per me non basto, et par ch'io me ne stempre.
Lasso, cosí m'è scorso
lo mio dolce soccorso.

Come fanciul ch'a pena
volge la lingua et snoda,
che dir non sa, ma 'l piú tacer gli è noia,
così 'l desir mi mena
a dire, et vo' che m'oda
la dolce mia nemica anzi ch'io moia.
Se forse ogni sua gioia
nel suo bel viso è solo,
et di tutt'altro è schiva,
odil tu, verde riva,
e presta a' miei sospir' sí largo volo,
che sempre si ridica
come tu m'eri amica.

Ben sai che sí bel piede
non tocchò terra unquancho
come quel dí che già segnata fosti;
onde 'l cor lasso riede
col tormentoso fiancho
a partir teco i lor pensier' nascosti.
Cosí avestú riposti
de' be' vestigi sparsi
anchor tra' fiori et l'erba,
che la mia vita acerba,
lagrimando, trovasse ove acquetarsi!
Ma come pò s'appaga
l'alma dubbiosa et vaga.

Ovunque gli occhi volgo
trovo un dolce sereno
pensando: Qui percosse il vago lume.
Qualunque herba o fior colgo
credo che nel terreno
aggia radice, ov'ella ebbe in costume
gir fra le piagge e 'l fiume,
et talor farsi un seggio
fresco, fiorito et verde.
Cosí nulla se 'n perde,
et piú certezza averne fôra il peggio.
Spirto beato, quale
se', quando altrui fai tale?

O poverella mia, come se' rozza!
Credo che tel conoschi:
rimanti in questi boschi.

Francesco Petrarca

 
 
 
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Data di creazione: 26/04/2008
 

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