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« Il Malmantile racquistato 08-2A una neonata povera »

Il Malmantile racquistato 08-3

Post n°1888 pubblicato il 02 Agosto 2015 da valerio.sampieri
 

OTTAVO CANTARE

51.
Quei capelli, ch'un tempo avea chiamati
Del suo fascio mortal funi e ritorte,
Le bionde chiome, o Dio! quei crini aurati,
Che ricoprivan tante piazze morte (928)
Onde (929) scoperti furo i trincerati,
Ove il nimico si facea sì forte;
Perchè, per quanto un autore accenna,
Lo rimondaron fino alla cotenna.

52.
E così Martinazza ebbe il suo fine,
Volendo vendicarsi per tal via;
Perocchè buona parte di quel crine.
Ch'alcun non se n'avvedde, leppò via;
E fabbriconne al Tura le rovine,
Con una potentissima malía,
Che registrata in Dite al protocollo
In un lupo rapace trasformollo.

53.
E questo lupo raggirar si vede
Intorno a un montuoso casamento (930)
D'una gente, che mentre move (931) il piede
Sopra alla terra v'è rinvolta drento.
Di questa cosa il tempo non richiede
Così per ora fartene un comento;
Perch'egli è tardi, e pria che tu l'intenda,
Spedir devi lassù questa faccenda.

54.
Or dunque vanne, e perchè tu non faccia
Qualche marron ma venga a arar dritto,
Acciò tal magistero (932) si disfaccia,
Perchè scattando (933) un pel tu avresti fritto,
In questo libro qui faccia per faccia
L'ordine e il modo si ritrova scritto;
Portalo teco, e acciocchè tu discerna,
Perch'egli è buio, to' questa lanterna.

55.
Egli la prende con il libro insieme,
Dicendo che varrassi dell'avviso:
E che d'incanti e diavoli non teme,
Perch'egli è uom che sa mostrare il viso.
Si parte, e perchè al campo andar gli preme
In due parti vorrebbe esser diviso:
Pur vuol servírle, perch'ei si figura
Che non ci vada gran manifattura.

56.
Considerando poi nel suo cervello
Che s'a quel luogo a bambera (934) s'invia,
Potrebbe andar a Roma per Mugello (935)
Perch'ei non si rinvien dov'ei si sia,
Ricerca nel suo mastro scartabello
Di quei paesi la geografia;
Ma quel, per quanto noi potrem comprendere,
Non si vorria da lui lasciare intendere.

57.
Fu Paride persona letterata
Che già studiato avea più d'un saltero (936);
Ma poi non ne volendo più sonata,
Alla scuola studiò di Prete Pero (937);
Però, s'ei non ne intende boccicata,
È da scusarlo; e poi, per dire il vero,
Lettere ed armi van di rado unite,
Perc'han di precedenza eterna lite.

58.
Ma benchè la lettura sia fantastica
A un che si può dir non sa nïente,
E ch'altro (938) di vìrtù non ha scolastica
Che pelle pelle l'alfabeto a mente,
Tanto la biascia, strologa e rimastica,
Ch'a cómpito leggendo, finalmente
Il sunto apprende, e fra l'altre sue ciarpe
Ripone il libro, e sprona poi le scarpe.

59.
Così cammina, e a quel castello arriva;
Passa dentro, lo gira e si stupisce
Che quivi non si vede anima viva,
Perch'a quell'ora in casa ognun poltrisce.
Ma perchè non è tempo ch'io descriva
Quanto col Tura a Paride sortisce,
Con buona grazia vostra farem pausa,
Per diffinir di Piaccianteo la causa.

60.
Che da quei tristi, com'io dissi dianzi (939),
Fatto, mentre pappava, assegnamento
D'insaccarsi per lor quei pochi avanzi,
Toccò de' piè nell'arsenal del vento.
Di poi gli stessi sel cacciaro innanzi
Giusto come il villano il suo giumento.
Pungolandolo come un animale,
Finchè lo spinser dove è il generale.

61.
Appunto il generale a far s'è posto
Alle minchiate (940), ed è cosa ridicola
Il vederlo ingrugnato e maldisposto,
Perchè gli è stata morta una verzicola.
Le carte ha dato mal, non ha risposto,
E poi di non contare, anco pericola,
Sendo scoperto aver di più una carta,
Perchè di rado, quando ruba, scarta.

62.
Costoro alfine se gli fanno avanti,
Per dirgli del prigion c'hanno condotto;
Ma e' posson predicar ben tutti quanti,
Perch'egli, ch'è nel giuoco un uomo rotto
E perde una gran mano di sessanti
E gliene duole e non ci può star sotto,
Lor non dà retta, e a gagnolare intento,
Pietosamente fa questo lamento:

63.
Che t'ho io fatto mai, fortuna ria,
Che t'hai con me sì grande inimicizia,
Mentre tu mi fai perder tuttavia
Che e' non mi tocca (941) pure a dir Galizia?
Questo non si farebbe anche in Turchia,
L'è proprio un'impietade un'ingiustizia.
Vedi, non lo negar, che tu l'hai meco;
E poi se n'avvedrebbe Nanni cieco.

64.
Ma se volubil sei quanto sdegnosa,
Facciam la pace, manda via lo sdegno;
E se tu sei de' miseri pietosa,
Danne col farmi vincer qualche segno.
«Fu il vincer sempre mai lodevol cosa,
«Vincasi per fortuna o per ingegno;»
Perciò de' danni miei restando sazia,
La fortuna mi sia, non la disgrazia.

65.
Ma che gracch'io? forse che tai preghiere
Mi faran, dopo così gran disdetta,
Vincer la posta o porre a cavaliere (942)?
Sì, sì; ma basta poi non aver fretta.
O baccellaccio! l'orso (943) sogna pere,
L'è bell'e vinta, ovvia tientela stretta.
Capitale!(944) sai tu quel che tu hai a fare?
Se tu non vuoi più perder, non giocare.

66.
E cosi finiran tanti schiamazzi
Di chiamar la fortuna e i giuochi ingiusti;
Chè, mentre vi ti ficchi e vi t'ammazzi,
Tu spendi e paghi il boia che ti frusti.
Gli è ver; ma il libriccin del Paonazzi (945),
Ov'io ritrovo ognor tutt'i miei gusti,
Per forza al giuoco mi richiama e invita
Appunto come il ferro a calamita.

67.
E sarà ver ch'io abbia a star soggetto
Ad una cosa che mi dà tormento?
Come tormento? oibò! s'io v'ho diletto!
Sì; ma intanto per lui vivo scontento.
Oh perfido giocaccio! oh maladetto
Chi t'ha trovato e me che ti frequento!
Tu non ci hai colpa tu; a me il gastigo
Si dee dar, poichè con te m'intrigo.

68.
Datemi dunque un mazzo in sulla testa:
Vedete! eccomi qui ch'io non mi muovo;
Nè voi farete cosa men che onesta,
Se dal giocar, morendo, io mi rimuovo:
So ch'ogni dì sarebbe questa festa,
Ch'altro diletto che giocar non provo;
Ed a giocare omai son tanto avvezzo,
Che'l pentirmi non giovami da zezzo.

69.
L'usare ogni sapere, ogni mia possa
Non vale a farmi contro al giuoco schermo;
Imperocch'io l'ho fitto sì nell'ossa,
Ch'amo il mio mal qual assetato infermo,
E forse giocherò dentro alla fossa.
Che forse! diciam pur: tengo per fermo;
E se trovar le carte ivi non posso,
Farò, purch'e'si giuochi, all'aliosso (946).

70.
Van co' libri alla fossa i gran dottori,
I bravi colla spada e col pugnale:
Con libro ed armi anch'io da giocatori
Sarò portato morto al funerale,
Grillandato di fiori; e a picche e cuori
Trapunta avrò la veste, e per guanciale
Quattro mattoni (947); e poichè pien di vermini
I quarti avrò, vo' fare un quarto a' Germini (948).

71.
Volea seguir; ma tutti della stanza
Gli dieron su la voce, con il dire
Che il perdere è comune, e star usanza (949);
E perde una miseria di tre lire;
Però si quieti pure e abbia speranza,
Chè un giorno la disdetta ha da finire;
Perocchè i tempi variabili sono,
E dopo il tristo n'ha a venire il buono.

72.
Intanto gli mostraron il prigione,
Che sott'il manto dell'ipocrisia
In carità, dicendo, in divozione
Faceva lo scultore (950), idest la spia;
Però, perch'in effetto egli è un guidone,
L'impicchi, s'ei vuol fare opera pia:
Serragli pur, dicean, la gola; e poi,
S'ei ridice più nulla, apponlo a noi.

73.
Amostante, ch'è uom di buona pasta
E poi dabbene, ancorch'egli abbia il vizio
Di questo suo giocar dov'ei si guasta,
Fa liberarlo senz'alcun supplizio,
Dicendo ch'a impiccarlo non gli basta
L'aver semplicemente un po' d'indizio;
Ma quand'anch'egli avesse ciò commesso,
Del far la spia non se ne fa processo,

74.
Ed al prigion preterito imperfetto (951)
Rivolto colle carte in man, l'invita,
Già fattoselo porre a dirimpetto,
A giocar d'una crazia la partita
Ovver si metta fuor in sul buffetto (952)
Un testoncino (953), e sia guerra finita (954);
Così lo prega, lo scongiura e in parte
Bada pur sempre a mescolar le carte.

75.
Quegli, che compiacerlo non gli costa
E vede averla avuta a buon mercato,
L'invito tiene e regge (955) a ogni posta,
Bench'ei non abbia un bagattino (956) allato;
E dice: al più faremo una batosta (957),
Quand'ei mi vinca e voglia esser pagato;
Di rapa sangue non si può cavare,
Nè far due cose: perdere e pagare.

76.
Duraro a battagliar forse tre ore
Poi la levaron quasi che del pari;
Se non ch'il general fu vincitore
Di certa po' di somma di danari.
E perchè gli domanda e fa scalpore,
Quei, che gli spese in cene e in desinari,
Non aver, dice, manco assegnamento (958);
Talchè Amostante resta al fallimento.

Note:
(928) PIAZZE MORTE. Qui, Cicatrici e margini senza capelli.
(929) ONDE. Per la qual tosatura si scopersero quei luoghi trincerati quelle margini alle quali rodevan si bene gl'insetti.
(930) MONTUOSO CASAMENTO. Il castello di Montelupo, poco lontano da Firenze e vicino a Malmantile.
(931) MENTRE MOVE ecc. Con questa circonlocuzione designa i fabbricatori di vasi di terra.
(932) MAGISTERO. Qui, Malia.
(933) SCATTANDO. Allontanandoti minimamente dall'istruzione.
(934) A BAMBERA. Sconsigliatamente.
(935) MUGELLO. Regione di Toscana.
(936) SALTERO. Libricciuolo contenente alcuni Salmi, che si dà a leggere a' ragazzi, quando hanno imparato a conoscere le lettere dell'abbiccì. (Minucci.)
(937) PRETE PERO, cioè Piero, dicono che insegnava dimenticare.
(938) E CH'ALTRO. Costr. E che non ha altro di virtù scolastica.
(939) COME DISSI DIANZI. Vedi c. V verso la fine.
(940) MINCHIATE. Ad intelligenza di questa e delle ottave seguenti, si è creduto necessario riprodurre la lunga nota del Minucci.
«Minchiate. È un giuoco assai noto, detto anche Tarocchi, Ganellini, o Germini. Ma perchè è poco usato fuori della nostra Toscana, o almeno diversamente da quel che usiamo noi, per intelligenza delle presenti ottave stimo necessario sapersi, che il giuoco delle minchiate si fa nella maniera che appresso. È composto questo giuoco di novantasette carte. delle quali 56 si dicono Cartacce, e 40 si dicono Tarocchi, ed una, che si dice Il matto. Le carte 56 son divise in quattro specie, che si dicono Semi, che in 14 sono effigiati Denari (che da Galeotto Marzio diconsi esser pani antichi contadineschi), in 14 Coppe, in 14 Spade, ed in 14 Bastoni: e ciascuna specie dì questi semi comincia da uno, che si dice Asso, fino a dieci, e nell'undecima è figurato un Fante, nella 12 un Cavallo, nella 13 una Regina, e nella 14 un Re: e tutte queste carte di semi, fuorchè i Re, si dicono cartacce. Le 40 si dicono Germini, o Tarocchi: e questa voce Tarocchi, vuole il Monosino che venga dal greco etaroi, colla qual voce, dice egli coll'Alciato, denotantur sodales illi, qui cibi causa ad lusum conveniunt. Ma quella voce non so che sia; so bene che étairoi e étaroi vuol dire sodales: e da questa voce diminuita all'usanza latina si può esser fatto hetaroculi, cioè compagnoni. Germini, forse da gemini, segno celeste, che fra' Tarocchi col numero è il maggiore. In queste carte di Tarocchi sono effigiati diversi geroglifici e sogni celesti: e ciascuna ha il suo numero, da uno fino a 35 e l'ultime cinque fino a 40 non hanno numero, ma si distingue dalla figura impressavi la loro maggioranza, che è in quest' ordine: stella, luna, sole, mondo, e trombe, che è la maggiore, e sarebbe il numero 40. L'allegoria è, che siccome le stelle son vinte di luce dalla luna, e la luna dal sole, così il mondo è maggiore del sole, e la fama, figurata colle trombe, vale più che il mondo; talmente che anche quando l'uomo n'è uscito, vive in esso per fama, quando ha fatte azioni gloriose. Il Petrarca similmente ne' Trionfi fa come un giuoco; Perchè Arnore è superato dalla Castità, la Castità dalla Morte, la Morte dalla Fama, e la Fama dalla Divinità, la quale eternamente regna. Non è numerata né anche la carta 41 ma vi è impressa la figura d' un matto, e questa si confà con ogni carta, e con ogni numero, ed è superata da ogni carta, ma non muor mai, cioè non passa mai nel monte dell'avversario, il quale riceve in cambio del detto matto un'altra cartaccia da quello che dette il matto: e se alla fine del giuoco quello che dette il matto non ha mai preso carte all'avversario, conviene che gli dia il matto, non avendo altra carta da dare in sua vece, e questo è il caso nel quale si perde il matto. Di tali Tarocchi altri si chiamano nobili, perchè contano, cioè, chi gli ha in mano vince quei punti, che essi vagliono: altri ignobili perchè non cont'ano. Nobili sono 1, 2, 3, 4 e 5, che la carta dell' Uno conta cinque, e l'altre quattro contano tre per ciascuna. li numero l0, 13, 20, e 28, fino al 35 inclusive, contano cinque per ciascuna, e l'ultime cinque contano dieci per ciascuna, e si chiamano arie. Il matto conta cinque, ed ogni re conta cinque, e sono ancor essi fra le carte nobili. Il numero 29 non conta, se non quando è in verzicola, chè allora conta cinque, ed una volta meno delle compagne respettivamente. Delle dette carte nobili si formano le verzicole, che sono ordìni e seguenze almeno di tre carte uguali, come tre re, o quattro re; o di tre carte andanti, come 1, 2, 3, 4 e 5, o composte, come 1, 13, e 28; 1, matto, e 40, che sono le trombe, 10, 20, e 30, ovvero 20, 30, e, 40. E queste verzicole vanno mostrate prima che cominci il giuoco, e messe in tavola: il che si dice accusare la verzicola. Con tutte le verzicole si confà il matto, e conta doppiamente o triplicatamente, come fanno l'altre che sono in verzicola, la quale esiste senza matto, e non fa mai verzicola, se non nell'uno, matto, e trombe. Di queste carte di verzicola si conta il numero, che vagliono tre volte, quando però l'avversario non  ve la guasti, ammazzandovene una carta o più con carte superiori, chè in questo caso quelle, che restano, contano due volte, se però non restano in sequenza di tre. Per esempio: io mostro a principio del giuoco 32, 33, 34 e 35, e mi muore il 33 o il 34, che rompono la seguenza di tre, la verzicola è guastata: e quelle che restano contano solamente due volte per una, ma se mi muore il 32 o il 35, vi resta la seguenza di tre, e per conseguenza è verzicola, e contano il lor valore tre volte per ciascheduna. Il matto, come s'è detto, non fa seguenza. ma conta sempre il suo valore due volte o tre, secondochè conta la verzicola, o guasta o salvata. E quando s'ha più d'una verzicola, con tutte, va il matto, ma una sol volta conta tre, ed il resto conta due, E questo s'intende delle verzicole accusate e mostrate prima che si cominci il giuoco: perchè quelle fatte colle carte ammazzate agli avversari, come sarebbe, se avendo io il 32 ed il 33 ammazzassi all'avversario il 31 o il 34, ho fatta la verzicola, e questa conta due volte. Quando è ammazzata alcuna delle carte nobili, ciascuno avversario segna a colui a cui è stata morta, tanti segni o punti, quanti ne valeva quella tal carta; eccetto però di quelle che sono state mostrate in verzicola, delle quali, sendo ammazzato, non si segna cosa alcuna, se non da quello che per privilegio non giuoca; perchè tali segni vengono dagli avversari guadagnati nello scemamento del valore di essa verzicola, che dovria contar tre volte, e morendo conta due: ed il 29, morendo la verzicola dove esso entrava, conta solo cinque. L'altre carte poi, le quali si dicono carte ignobili e cartacce, non contano (sebbene ammazzano talvolta le nobili che contano, come i Tarocchi dal numero 6 in su ammazzano tutt'i piccini, cioè l'1, 2, 3, 4, e 5; dall'11 in su ammazzano il 10; dal 14 in su ammazzano il 13; e dal 21 in su ammazzano il 20, ed ogni Tarocco ammazza i Re), ma servono per rigirare il giuoco. Questo giuoco appresso di noi non usa, se non in quattro persone al più: ed allora si danno 21 carta per ciascuno: e quando si giuoca in due o in tre, se ne danno 25. E giuocandosi in quattro persone, il primo che seguita dopo quello che ha mescolate le carte in sulla mano dritta (che si dice aver la mano), ha la facultà di non giuocare, e paga segni trenta a quello che nel giuoco piglia l'ultima carta: e questo che piglia ultima carta (che si dice far l'ultima) guadagna a ciascuno di quelli che hanno giuocato, dieci segni. Colui che non giuoca, guadagna ancor egli de' morti, cioè segna ancor lui il valore della carta a colui al quale è ammazzata detta carta. Se questo primo giuoca, il secondo ha la facultà di non giuocare, pagando 40 segni: se il secondo giuoca, il terzo ha detta facultà pagando 50 segni; se il terzo giuoca, passa la facultà nel quarto, che paga 60 segni come sopra. Ma se il giuoco è solamente in tre persone: non ci è questa facultà di non giuocare. Mescolate che sono le carte, quello de' giuocatori, che è a mano sinistra dì quello che ha mescolato, n'alza una parte: e se ve n'è nel fondo di quella parte del mazzo, che gli resta in mano, una delle carte nobili o un Tarocco dal 21 al 27 inclusive, la piglia, e seguita, a pigliarle fino a che non vi trova una carta ignobile. Quello che ha mescolato le carte, dopo averne date a ciascuno, ed a sè stesso dieci la prima girata e undici la seconda, e scoperta a tutti l'ultima carta, la scuopre anche a sè medesimo, e poi guarda quella che segue: e la piglia, se sarà carta nobile o Tarocco dal 21 al 27, e seguita a pigliarne come sopra: e questo si dice rubare. E queste carte, che si rubano e si scuoprono, sendo nobili, guadagnano a colui a chi si scuoprono, o che le ruba, tanti segni, quanti ne vagliono: e coloro che le rubano, è necessario che scartino; cioè si levino di mano altrettante carte a loro elezione, quante ne hanno rubate, per ridurre le lor carte al numero adeguato a quello de' compagni: e chi non scarta, o per altro accidente di carte mal contate si trova da ultimo con più carte o con meno degli avversari, per pena del suo errore non conta i punti che vagliono le suo carte, ma se ne va a monte. Colui che dà le carte, se ne dà più o meno del numero stabilito, paga 20 punti a ciascuno degli avversari: e chi se ne trova in mano più, e' deve scartare quelle che ha di più; ma non può far vacanza, cioè gli deve rimanere di quel seme che egli scarta: se ne ha meno, la deve cavar dal monte a sua elezione, ma senza vederla per di dentro, cioè chieder la quinta o la sesta, ecc. di quelle che sono nel monte: e quello che mescolò le carte (che si dice far le carte), fattele alzare, gli dà quella che ha chiesto. Cominciasi il giuoco dal mostrar le verzicole che uno ha in mano: poi, il primo dopo quello che ha mescolato le carte in sulla mano destra, mette in tavola una carta (il che si dice dare), quegli altri che seguono, devon dare del medesimo seme, se ne hanno; e non ne avendo, devono dar Tarocco: e questo si dice non rispondere: e dando del medesimo seme, si dice rispondere. Chi non risponde, ed ha in mano di quel seme che è stato messo in tavola, paga un sessanta punti a ciascuno, e rende quella carta nobile che avesse ammazzato. Per esempio: il primo dà il Re di danari, ed il secondo, benchè abbia danari in mano, dà un Tarocco sopra il Re, e l'ammazza: scoperto di avere in mano denari, rende il Re a colui di chi era, e paga agli avversari sessanta punti per ciascuno, come s'è detto. Ogni Tarocco piglia tutti i semi, e fra lor Tarocchi il maggior numero piglia il minore, ed il matto non piglia mai, e non è preso, se non nel caso detto di sopra. Così si seguita dando le carte, ed il primo a dare è quello che piglia le carte date: ed ognuno si studia di pigliare all'avversario le carte che contano: e quando s'è finito di dare tutte le carte che s'hanno in mano, ciascuno conta le carte che ha prese: ed avendone di più delle sue 21, segna a chi n'ha meno tanti punti, quante sono le carte che ha dì pìù: dipoi conta i suoi onori, cioè il valore delle carte nobili e verzicole, che si trova in esse suo carte, e segna all'avversario tanti punti, quanti co' suoi onori conta più di esso: ed ogni sessanta punti si mette da banda un segno, il quale si chiama un sessanta, o un resto: e questi sessanti si valutano secondo il concordato. E tanto mi pare, che basti per facilitare l'intelligenza delle presenti ottave, a chi non fosse pratico del giuoco delle minchiate che usiamo noi Toscani, che è assai differente da quello che colle medesime carte usano quelli della Liguria: che lo dicono ganellini; perchè minchiate in quei paesi è parola oscena. Da questo giuoco vengono molte maniere di dire: come essere il matto fra' tarocchi, entrare in tutte le verzicole, essere le trombe, cartaccie, contare, non contare, e simili.»
(941) St. 65. NON MI TOCCA. Non ho punto il conto mio; non posso fiatare. È ignota l'origine di questo proverbio.
(942) PORRE A CAVALIERE. Restar superiore.
(943) L'ORSO ecc. Ognun sogna di quel che brama.
(944) CAPITALE! Modo correttivo, che vale: Piaccia a Dio che non segua in contrario!
(945) IL PAONAZZI fabbricava carte da giuoco.
(946) ALIOSSO. È un giuoco di sorte che si fa gettando sopra una tavola o in terra quell'osso che hanno nelle gambe di dietro gli animali d'ugna fessa. Quest' osso ha naturalmente certi buchi e segni a cui si dà un valore convenzionale; e secondochè, nel gettarlo, resta di sopra l'uno o l'altro segno si vince o si perde.
(947) I MATTONI sono i Quadri.
(948) GERMINI Vedi st. 61.
(949) STAR USANZA. È detto alla maniera dei Tedeschi che, incominciano a ciangottare la nostra lingua.
(950) SCULTORE, Ascoltatore.
(951) PRETERITO IMPERFETTO. Vuol dipingere la goffaggine di Piaccianteo e il suo viso grasso, grosso e tondo.
(952) BUFFETTO. Tavolino.
(953) TESTONCINO. Moneta che valeva lire italiane 1, 68.
(954) E SIA ecc. E sin finito il giuoco.
(955) REGGE ecc. Tiene ogni posta.
(956) BAGATTINO. La quarta parte d'un quattrino.
(957) UNA  BATOSTA. Una questione a parole.
(958) ASSEGNAMENTO. Nè danari nè modo di trovarne.

"Il Malmantile racquistato" di Lorenzo Lippi (alias Perlone Zipoli), con gli argomenti di Antonio Malatesti; Firenze, G. Barbèra, editore, 1861)

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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