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« Sur repiano de le scaleEr confessore »

Giovanni Guidiccioni 4

XXI
Di M. Giovanni Guidiccione

34

Sì come vola il ciel rapidamente
Dietro a l’anima sua, ch’in ogni parte
Di lui la sua virtù muove e comparte
Per gran disio che d’appressarla sente,

Così corro io dietro al bel lume ardente
De gli occhi vostri, ove da me in disparte
L’anima stassi, e mai quindi non parte
Per unir seco il mio mortal dolente.
 
Che se vostra onestà talor mi schiva,
Lo spirto vien con voi, riman la spoglia
Gelato sasso che distilli umore.

Dunque non spiaccia a voi ch’io meco viva
Nel lume vostro che sì m’arde e ’nvoglia,
Stelle chiare del ciel, gloria d’Amore.


35

Falda di viva neve, che mi furi
Talor il cor perché pietà me ’l rendi,
E mentre lacci d’or gl’ordisci e tendi,
Di sue dubbie speranze l’assecuri,

Di quai lo spargi tu diletti puri,
Se ’l tuo puro candor discuopri e stendi
Sul nero manto, o man che mi difendi
Da’ colpi spessi di fortuna e duri!

Tu prima cari e bei pietosi detti
Tessesti insieme e mi tenesti in vita,
Ch’a la morte correva a gran giornate.

Tu poscia al sommo de gli onor perfetti
M’alzasti con pietà vera e ’nfinita:
O che perder gentil di libertate!


36

Sì come il sol, ch’è viva statua chiara
Di Dio nel mondan tempio, ove riluce
De la sua vaga e sempiterna luce,
Ogni cosa creata orna e rischiara,

Così a ciascun questa mia bella e cara,
Che ’l ciel diè per sua gloria e per mia duce,
Lume e conforto co’ begli occhi adduce
Ov’ogni occulto ben d’amor s’impara.

E ’l fa perché la mente oltra passando
D’una in altra sembianza a Dio s’unisca,
Non già per van desio, com’altri crede.

Se ’l guardo alma che ’n foco arda e languisca
Talor soccorre, il bello spirto stando
Altrove il suo Fattor contempla e vede.


37

Fidi specchi de l’alma, occhi lucenti,
Che con dolci, amorosi e chiari lampi
M’aprite il cor perché del foco avampi
Ch’arde ed alluma le più nobil menti,

Io co’ pensier nel vostro raggio intenti
Cerco dov’orma di virtù si stampi,
Per far, s’avien che da l’invidia scampi,
Chiari i miei dì poi che saranno spenti.

Che splendon sì l’alme faville vive
Ch’io veggio piani i gradi ond’a la rara
Gloria con bel trionfo uom talor sale,

E leggo in lettre d’or, ch’ivi entro scrive
Amor, e ’ntenta le virtù le ’mpara:
"Miri in noi sol chi ’l divin pregio vale".


38

Fiamma gentil, che da’ begli occhi muovi
E scendi per li miei veloce al core
Empiendol tutto d’amoroso ardore,
Perch’eterna dolcezza ardendo piovi,

Tosto ch’ei sente la tua forza e i nuovi
Piaceri, or vola entr’al bel petto, or fore
Si posa e scherza in compagnia d’Amore,
Cotanto l’arder suo par che gli giovi.

Io per sola virtù de le faville
Che vive lasci in me perch’io non pera,
Altro cor, e più pio, nascer mi sento.

O lealtà d’Amor, che sì tranquille
Il desio de gli amanti! O pietà vera,
Che cangi i cori e fai dolce il tormento!


39

Che degna schiera di pensieri eletti
Dal petto del bel vivo idolo mio
Talor si muove, e va volando a Dio
Guidata da gli angelici intelletti!

E par che dolce in aprir l’ali aspetti
E con saggie lusinghe preghi ch’io
Seco mi levi al ciel con pensier pio,
Deposto il peso de’ terreni affetti.

"Pon mente", dice, "in quella unica e viva
Luce che n’apre il ver, ratto fugendo
L’ombra ch’al seme di salute noce".

Stella nel nascer suo del mare schiva
Non mostrò mai salir come, schernendo
Il mondo, allor m’alz’io scarco e veloce.



40

Chi desia di veder dove s’adora
Quasi nel tempio suo vera pietate,
Dove nacque bellezza ed onestate
D’un parto, e ’n pace or fan dolce dimora,

Venga a mirar costei che Roma onora
Sovra quante fur mai belle e pregiate,
A cui s’inchinan l’anime ben nate
Com’a cosa qua giù non vista ancora.

Ma non indugi, perché io sento l’Arno,
Che ’nvidia al Tebro il suo più caro pegno,
Richiamarla al natio fiorito nido.

Vedrà, se vien, come si cerca indarno
Per miracol sì nuovo, e quanto il segno
Passa l’alma beltà del mortal grido.


41

Sovra un bel verde cespo, in mezz’un prato
Dipinto di color mille diversi,
Due pure e bianche vittime ch’io scersi
Dianzi ne’ paschi del mio Tirsi amato,

Zefiro, io voglio offrirti: e da l’un lato
Donne leggiadre in bei pietosi versi
Diran come i tuoi dì più cari fersi
Nel lume d’un bel viso innamorato;

Da l’altro porgeran giovani ardenti
Voti ed incensi, e tutti in cerchio poi
Diranti unico re de gli altri venti,

Se i fior che ’l sol nel suo bel viso ancide
Bianchi e vermigli con soavi tuoi
Fiati rinfreschi, a cui l’aria e ’l ciel ride.


42

Vedrà la gente omai che quanto io dissi
Di questa di virtù candida aurora,
Che col giel d’onestà m’arde e ’nnamora,
Fu picciol rio de’ più profondi abissi;

Vedrà che mi dettò ciò che mai scrissi
Fido spirto del vero, e dirà ancora:
"O felice chi l’ama e chi l’onora,
E nel divino obietto ha gli occhi fissi.

L’altra Lucrezia, che sì ardita strinse
Il ferro e ne l’età ch’ella fioriva
Morendo fe’ i suoi dì più vivi e chiari,

Non s’agguagli a costei, che casta e viva
Con gl’invitti d’onor suoi pensier cari
Ne’ dubbi rischi il suo nemico vinse".


43

O cor, più ch’altro saggio e più pudico,
Che ’n sul leggiadro ancor tenero fiore
De gli anni carchi di maturo onore
Hai vinto sì possente aspro nemico,

Se ’l mondo ascolti con silenzio amico
Tue vittorie, e le ’ntagli in marmo e ’ndore,
E se ’n memoria del tuo bel valore
Pianti mill’alte palme in colle aprico,

Raffrena il corso al rio che vago scende
Da gli occhi e d’un bel lucido cristallo
Riga la guancia fresca e colorita:

Che ’ntorno a te si legge il non tuo fallo
Di bei diamanti scritto, e ’n atto ardita
V’è Castità che t’orna e ti difende.


44

Sovra il bel morto Adon non fur già quelle
Pioggie di pianto sì dolci e pietose,
Né voci così ardenti ed amorose
Tra bei sospir s’udian formar con elle,

Come vid’io quel dì le mie due stelle
Sparger quasi notturne rugiadose
Stille d’argento in su vermiglie rose
Giù per le guancie delicate e belle,

E mover queste sospirando al cielo,
Ch’era forse a mirar fermo in quel punto
Le maraviglie del bel viso santo.

"Signor", mi parean dire, "il bianco velo
E ’l puro cor che del tuo strale è punto
Non macchi infamia, se fur casti tanto".


45

Donna, che ’ntesa a’ bei pensier d’onore
Gite non men di castitate altera
Ch’umil de la virtù tanta e sì vera,
Del bel viver gentil cogliendo il fiore,

Non rompe il ghiaccio di che armate il core
Punta di stral, né forza altra più fiera,
Sempre più accorta e più franca guerrera
Contra le insidie che vi tende Amore.

O qual da’ saggi e chiari figli d’Arno
Corona di topazi e di diamanti
Vi si prepara, e quai trionfi ed archi!

Diran che ’l mar di vostre lode indarno
Solcai, che i detti miei furo a cotanti
Vostri sublimi onor languidi e parchi.


46

Fonte d’alto valor, de’ cui bei rivi
Cresce l’Arno e sen va superbo e chiaro,
Ch’avete il don di castità sì caro
Difeso sol co’ pensier saggi e schivi

Da l’empie man di quei che serbò vivi
Il ciel per dar a voi pregio più raro,
Vostri onor fanno a morte alto riparo,
E già loco vi dan gli spirti divi;

E stanno intenti ad aspettar il vostro
Santo ritorno, e le terrene genti
Chiaman ne’ voti loro il vostro nome,

Privilegio gentil del secol nostro
E lume del mio stil, che da voi come
Da divin foco avrà fiamme lucenti.


47

Spargete, o ninfe d’Arno, arabi odori
A l’apparir di lei ch’io tanto onoro,
E su gli omeri belli e sul crin d’oro
Un nembo de’ più vaghi e scelti fiori;

Volin d’intorno i pargoletti Amori
Lieti cantando in dilettoso coro:
"Ecco chi d’onestà salvò il tesoro.
U’ son ora le palme? U’ son gli allori,

Onde la bella vincitrice ardita
Ne l’età giovinetta s’incoroni,
Innamorando il ciel di sua virtute?

O vivo specchio de l’umana vita,
Ove le forme de’ celesti doni
Risplendon per altrui pace e salute!".

Giovanni Guidiccioni
Da: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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