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Giovanni Guidiccioni 5

XXI
Di M. Giovanni Guidiccione

48

A la bell’ombra de la nobil pianta,
De’ cui soavi fior nasce onestate
Che sol nodrisce l’anime ben nate
E ’l mondo illustra, che l’onora e canta,

I possenti desir con gloria tanta
Ho vinti e sparse le nemiche armate
Schiere de’ vizii, che le tempie ornate
Spero anco aver de la sua fronde santa;

E con lei poi, che dritta s’erge al cielo,
Per non trito sentier salire in parte
Ove saetta di pensier non giunga;

O con che ardente allor bramoso zelo
Abbracciando i bei rami a parte a parte
Dirò: "Non fia chi mai me ne disgiunga!".


49

Grazie rendo a’ bei lumi onesti e chiari
Onde mosse virtù ch’accese il core
Sì ch’egli avampa d’un beato ardore
Simil a quel che ’n cielo arde i più cari.

Nanzi a’ lor santi rai convien ch’io ’mpari
Per divota umiltà schivar disnore
E sciorre il nodo d’ogni antico errore,
Onde l’oscuro de’ miei dì rischiari.

E ’n disparte sent’io scolpir ne l’alma
Le vere forme de’ duo vivi soli
Da quel pensier che le dà lume e vita.

Da tal vien la mia fiamma eletta ed alma,
Che perché sempre il cor freni e consoli
Presso mi mostra il ver, lungi m’aita.


50

Splende nel mio pensier l’imagin viva
Di lei, che m’arse il cor perch’io salissi
Seco talor là ’v’io l’alma nodrissi,
Che era del vero ben digiuna e priva.

E come pur con la virtù visiva
Ognor in lei nuova beltà scovrissi
E ’l dolce suon de le parole udissi,
La mia speranza ognor più si raviva.

Fosco desir non turba il bel sereno
De’ giorni miei, né può forza d’oblio
Spegner favilla del mio foco bello.

Così mi vivo, e nel suo casto seno
Vola audace talor lo spirto mio
E forma ciò che poi scrivo e favello.


51

Parmi veder che su la destra riva
D’Arno s’assida, ragionando insieme
Co’ suoi pensier, colei c’ha la mia speme
Alzata a par de l’alta fiamma viva;

E tutta in atto paventosa e schiva,
Come chi morte di sua fama teme,
Veder s’attriste le sue lode sceme
Nel mio stil che sonar sì lungi udiva.

Parmi sentir che sospirando dica:
"Spento è (chi ’l crederia?) quel foco chiaro,
Ond’ebbe lume la sua oscura vita.

Ei vede del rio vulgo aura nemica
Sparger a terra il mio leggiadro e caro
Fior di vera onestate, e non m’aita".


52

Al chiaro foco del mio vivo sole,
Ov’accende virtù suoi caldi raggi,
Ardo contento, e qui tra gli orni e faggi
Col pensier miro sue bellezze sole;

Qui l’alma, se pur mai si dolse o duole,
S’appaga e sgombra i pensier men che saggi,
Ferma di gir per dritti alti viaggi
A l’eterno Signor che sembra e cole;

Ch’indi uscir veggio di lontan faville
Che le più folte oscure nebbie aprendo
Segnano il bel sentier ch’al cielo aggiunge.

Così stella talor nascer tra mille
Per l’ombra ho visto de la notte lunge,
Il bel dorato crin seco traendo.


53

Qui dove i lumi bei solean far giorno
A le tue notti e mie, qui dove il riso
N’aperse il chiuso ben del paradiso,
Veggio ombre oscure ovunque miro intorno;

Ma pur ne l’aria del bel viso adorno,
C’ha me dal mondo e te dal cor diviso,
Soavemente col pensier m’affiso,
E con lui più che mai lieto soggiorno.

Tu no, cui fiamma men pudica il core
Arde e consuma, né piacer può quella
Bellezza che lontan vede occhio interno;

E credi ghiaccio il mio non vero ardore,
Cui più che ’l velo suo l’alma par bella,
E gioiscon gli spirti nel suo eterno.


54

CORREGGIO, se ’l tuo cor sospira in vano
La neve onde gelò, le fiamme ond’arse,
Ch’Amor istesso per le guancie sparse,
E gli occhi vaghi e ’l dolce riso umano,

Io gioisco, ed in atto umile e piano
Lodo e ’nchino il mio sol, che tal m’apparse
Che, siammi lungi le sue luci o scarse,
Co’ bei pensier le mie ferite sano.

Né temo io già che ’l fior de la speranza
Vento d’invidia mai fieda o disperga,
Né ch’altro tra ’l mio dolce il suo fel mischi.

La mente eterno ben vede e s’avanza
Nel bel de l’alma sua, dov’ella alberga;
Nel frale a pena vuol che gli occhi arrischi.


55

SCIPIO, io fui rapto dal cantar celeste,
E l’alma immersa nel profondo oblio;
Pur mi raccolsi e riconobbi anch’io
Quel che voi prima sì lodato feste.

Copria gli omeri bei candida veste,
Com’è candido il cor, puro il desio,
Quand’ella mosse il suon gentile e pio
Ch’orna la gloria e la virtù riveste.

Sottil velo accoglieva il biondo crine,
Sedean le Grazie ne’ begli occhi suoi
E di foco spargean le bianche gote,

Ordiva reti Amor tenaci e fine,
Dava luce a la notte e dicea poi:
"Beate orecchie, ove il bel suon percuote!".


56

Questi, che gli occhi abbaglia e l’alma accende,
(Se così dir conviensi) angelo umano,
Col lampeggiar del riso umile e piano
Sovra la fuga del mio duol intende;

Col seren poi de gli occhi, ov’Amor tende
D’or in or l’arco e mai non tira in vano,
Purga il mio cor d’ogni desio non sano
E più mi raddolcisce ove più splende.

Ma quel che penetrò fu la divina
Sua voce e ’l soavissimo concento
Che fa de l’alme altrui dolce rapina.

Se voci umane son queste ch’io sento,
Che paradiso in terra mi destina
Amor, che pace eterna e che contento?


57

Mentre che voi, cui vien dal ciel concesso
Quanto a molt’altri di valor comparte,
Per onorar il buon popol di Marte,
Che per disio di voi si lagna spesso,

E per ornar di bei pregi voi stesso,
E de gli ’nchiostri e de’ pensier le carte,
Da l’empie man d’Amor fuggite in parte
Ov’è lunge il caduco e ’l fermo presso,

Io qui, com’uom che tardo si consiglia
E con propri sospir nodre il suo foco,
Cerco acquetar con un sol guardo il core.

Peggio è ch’io mostro a le turbate ciglia,
A i passi lenti, al parlar rotto e fioco,
In quante guise il dì m’ancide Amore.


58

Lo stral che ’n sorte ebb’io, dentro a’ begli occhi
Indorò la Pietà, mentre tendea
L’arco suo Amor, ch’altronde non temea,
Ben ch’io mal cauto, ed ei nascosto scocchi,

E: "Dolce passi al cor, dolce lo tocchi",
Con chiara ed umil voce li dicea;
Ei che mirando lei piacer bevea
Non conosciuto da’ mortali sciocchi,
L’arrise e disse a me: "Diletto e pace
Sia teco", e diemmi il colpo che m’aperse
Il duro fianco, e non senti’ dolore.

Dolce piaga vital, ch’or sì verace
Gioia distilli, e crei virtù diverse,
Viva ti tien Pietà via più ch’Amore.


59

Avezzianci a morir, se proprio è morte
E non più tosto una beata vita
L’alma inviar per lo suo regno ardita,
Ov’è chi la rallumi e la conforte;

L’alma, ch’avvinta d’uno stretto e forte
Nodo al suo fral, ch’a vano oprar la ’nvita,
Non sa da questo abisso ov’è smarrita
Levarsi al ciel su le destr’ali accorte:

Che sì gradisce le visibil forme
E ciò ch’è qui tra noi breve e fallace
Ch’oblia le vere e ’l suo stato gentile.

Quel tanto a me, ch’io men vo dietro a l’orme
Di morte così pia, diletta e piace;
Ogn’altra vita ho per noiosa e vile.


60

CRESPO, s’avvolto sei tra scogli e sirti
Ov’è sol notte dolorosa e oscura,
Allor che l’uso de l’età matura
Dovea tranquillo e chiaro giorno aprirti,

Con pietà t’ascolt’io, ma vo’ ben dirti
Che notrir dèi meno ostinata cura:
Il periglio, il voler, gli anni misura
Come fanno i ben nati e saggi spirti:

Sì vedrai tu come Natura appaga
Un modesto desio, come son l’ore
Ratte a partir, come son presti i danni.

Fuggi il canto mortal de l’empia maga
E sotto umil fortuna acqueta il core,
E vivrai teco consolati gli anni.


61

Sia tanto lungi il tuo focile e l’esca,
Amor, del petto mio, dentr’a cui sento
Strider la fiamma, e ’n van quetarla tento,
Ch’io respiri e talor del dolor esca.

Potei soffrir ne l’età verde e fresca
Il foco de’ tuoi strai sottile e lento,
Non posso or no, che quel vigore è spento
E desio più cocente il duol rinfresca.

Non chieggio io già che la mia vita sia
Senza parte del caldo ond’apri e allumi
Le menti ed immortal gloria dispensi,

Ma ch’io possa talor com’io solia
Raccor lo spirto mio ne’ suo’ bei lumi,
E pensar di virtù quanto conviensi.

Giovanni Guidiccioni
Da: Rime diverse di molti Eccellentissimi Autori (a cura di Lodovico Domenichi - Giolito 1545)

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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